Con Le Grand Macabre del musicista ungherese György Ligeti Omer Meir Wellber conclude la direzione musicale al Massimo Dal 2025 il direttore israeliano sarà alla Staatsoper di Amburgo
«La pace? La fanno gli uomini, non certo la musica». Inevitabile, in tempo di guerra, la guerra che dal 7 ottobre (e non solo) infiamma il Medioriente, la domanda. La musica può fare qualcosa per la pace? «La pace la fanno gli uomini» dice concreto Omer Meir Wellber. «Non posso restare su un livello teorico. Sono coinvolto in prima persona perché là vivono ancora mia mamma e mia sorella» dice il direttore d’orchestra israeliano alla vigilia dell’inaugurazione, «la mia ultima, dopo cinque anni intensissimi», della stagione del Teatro Massimo di Palermo. Inevitabile la domanda sul conflitto in Medioriente. Tanto più che Wellber, nato a Be’er Sheva nel 1981, ha scelto un titolo fuori dal comune, non uno di quelli da “serata inaugurale”, Le Grand Macabre di György Ligeti che domani alle 18.30 apre il nuovo cartellone del Massimo. In scena, tra gli altri, Zachary Altman, Dan Karlström, Maya Gour e Magdaléna Hebousse. Repliche sino al 1 dicembre. «Un’opera che affronta il tema del rapporto tra dittatura e libertà, tra dominatore e dominato, e lo fa sotto tanti aspetti, spaziando dal livello macroscopico a quello minimo delle vicende dei singoli individui, dalla politica degli stati alla vita di coppia» racconta Wellber, che conclude con questo titolo il suo mandato di cinque anni come direttore musicale del Teatro Massimo. Regia di Barbora Horáková che propone l’opera del compositore ungherese, scritta nel 1978, nella versione inglese del 1996. «Un’opera che fa pensare – spiega il direttore –, ma è anche molto, molto divertente».
Una scelta originale e curiosa quella di inaugurare la sua ultima stagione palermitana con Le Grand Macabre. Perché Omer Meir Wellber?
«Penso all’opera di Ligeti sin dal mio primo giorno a Palermo tanto che c’era già un progetto, poi bloccato dalla pandemia, per metterla in scena con la regia di Grahm Vick, che ci ha lasciati proprio a causa del Covid. Arriva ora ed è la conclusione ideale del mio percorso palermitano iniziato sotto la sovrintendenza di Francesco Giambrone e che ora si compie con Marco Betta, al quale proprio di recente è stato rinnovato il mandato. Più vivo Palermo, più mi addentro nella sua storia e più mi accorgo che Le Grand Macabre racconta la storia di questa città, fatta di bellezza, di mafia, di fede e di morte. Ligeti nel suo unico melodramma ha voluto mettere tutto questo, raccontare un’apocalisse imminente, le grandi dittature, anche quella ungherese dalla quale il compositore fuggì. Si raccontano le vicende del paese immaginario di Bruegelland, che evoca i quadri di Bruegel, ma si parla del nostro mondo con toni da farsa. Ci sono sesso e politica, lotta tra i sessi, paura della morte raccontati in una forma di teatro musicale totale dove musica e parole sono sullo stesso piano».
Una sfida anche musicale per la “sua” orchestra.
«In questi anni siamo cresciuti insieme. Tutto il lavoro compiuto insieme in questi cinque anni è servito a preparare quest’opera, che è la sfida più complessa che abbiamo affrontato. Lascio l’orchestra meglio di come l’ho trovata. Lo dice il percorso di prove che abbiamo affrontato per preparare Le Grand Macabre, opera complessa che richiede grande virtuosismo da parte dei musicisti e l’elasticità di passare da un genere all’altro, dal melodramma al music hall al jazz. Erano previste sette letture orchestrali, ma ne abbiamo fatte solo quattro perché sono state sufficienti, l’orchestra è arrivata prontissima e l’intesa tra noi è immediata. L’abbiamo affinata nel tempo con Parsifal, con il Tristano incredibile dello scorso maggio, con le proposte musicali fatte durante la pandemia quando siamo stati il primo teatro italiano a prendere di petto la situazione e a fare di un ostacolo una risorsa. Ci hanno anche dato il premio Abbiati per questo. Per la nostra, dico nostra, palermitana, capacità di reazione».
Come se lo spiega?
«In Sicilia c’è una cultura antica, c’è la storia. E c’è, lo sappiamo, il disagio. Ma nei luoghi di conflitto la gente è sempre pronta a intervenire nell’emergenza, penso alla Sicilia della criminalità organizzata e penso alla mia terra, Israele, sebbene io ormai mi senta senza una patria. Con Le Grand Macabre ho voluto raccontare la forza e il coraggio di un territorio che per cinque anni è stato la mia patria. Con la lente deformata del grottesco Ligeti racconta le grandi dittature, il fascismo ungherese che lo ha perseguitato. Temi che quotidianamente la cronaca ci racconta».
Un’opera necessaria, oggi, Le Grand Macabre?
«Necessaria perché ci mette di fronte a vizi e virtù del nostro mondo. Ci si viene a divertire, a vedere questo caos assurdo che Ligeti mette in scena, perché caotica e assurda è la vita di tutti noi, per alcuni in modo più evidente, per altri meno. Il tabù oggi non sono più sesso e morte, ma la cultura del politicamente corretto che potrebbe riportarci a farli diventare tabù. Negli anni Settanta tutto era vietato, ma tutti facevano tutto, oggi che tutto è permesso nessuno fa più nulla. Con le luci accese su tutto si rovinano magia e romanticismo».
Saluta Palermo con Ligeti…
«… ma tornerò già a maggio con Salome di Richard Strauss».
Un titolo tedesco, come tedesca sarà la sua prossima “casa”. Nel 2025 inizierà il suo incarico di generalmusikdirektor della Staatsoper di Amburgo.
«Frequento da tempo la Germania e i suoi teatri. Ad Amburgo, teatro di repertorio che porpone decine di titoli a stagione, penso che occorra una rivoluzione strutturale, per proporre un nuovo modi di fruire la musica. Partirò dai concerti, anche perché per il primo anno non dirigerò titoli operistici. E ad Amburgo cercherò di portare il metodo che ho sperimentato in Israele con la Raanana symphonette orchestra e i progetti Sarab Strings of Change con i giovani beduini dai quali torno ogni tanto per concerti per far conoscere queste realtà».
Laboratori musicali di pace…
«La musica è una delle espressioni che possono dare sensazioni di pace, ma la pace la devono fare gli uomini. E vedendo come sta andando il mondo penso che i valori della cultura saranno sempre meno importanti. E dunque la pace sarà sempre più difficile. Ma non ci arrendiamo».
Nella foto @Rori Palazzo Omer Meir Wellber
Intervista pubblicata su Avvenire del 23 novembre 2024