Scappucci, prima italiana sul podio della Scala

I Capuleti e i Montecchi di Bellini con la musicista romana prima donna italiana a dirigere un’opera al Piermarini

«Sono salita su un cavallo in piena corsa, con quel pizzico di follia che in alcuni casi nella nostra vita serve». Calendario prove ridisegnato: in sala con l’orchestra, al piano con i cantanti e poi in palco, assiemi e prova generale. Tutto in poco più di una settimana. E il 18 gennaio Speranza Scappucci dirige I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini al Teatro alla Scala. Ed entra nella storia perché è la prima donna italiana a salire sul podio del Piermarini. In 244 anni di storia l’hanno preceduta solo tre musiciste straniere, la francese Claire Gibault, nel 1995 per La station thermale di Fabio Vacchi, l’americana Marin Alsop per un concerto sinfonico nel 2008 e la finlandese Susanna Mälkki nel 2011 per Quartett di Luca Francesconi. Un primato, quello che stasera scrive Speranza Scappucci, che sulla carta era già stato “prenotato” della musicista romana, classe 1973. Occorreva solo aspettare maggio quando avrebbe debuttato a Milano salendo sul podio per un concerto della stagione sinfonica. Invece la pandemia ci ha messo lo zampino.

«Sono arrivata in corsa dieci giorni fa per sostituire Evelino Pidò che dopo aver provato diversi giorni l’opera di Bellini è ora bloccato a casa con il Covid, ma fortunatamente senza sintoni» racconta Speranza Scappucci, chiamata dal sovrintendente Dominique Meyer. «Ci conosciamo da tanto perché lei era la responsabile dei pianisti alla Staatsoper di Vienna quando io ero sovrintendente là. Per me è come una figlia che poi ha preso la sua strada. Riccardo Muti l’ha voluta accanto come pianista e clavicembalista dappertutto. Poi è diventata una direttrice di talento. A Vienna abbiamo fatto cinque o sei spettacoli insieme e ora sono felice di averla alla Scala» dice Meyer che, una volta saputo della positività al Covid di Pidò, ha alzato il telefono e ha chiamato la Scappucci. «Ci voleva qualcuno che conoscesse già l’opera» dice il sovrintendente.

«Non ci ho pensato due volte a dire sì, cancellando qualche concerto che avevo in agenda – racconta la Scappucci –. Il giorno dell’Epifania ero a Milano con la partitura di Bellini che ho diretto l’ultima volta, seppur in una versione accorciata, nel 2013 all’Università di Yale». Palco, quello dell’ateneo statunitense, che nel novembre 2011 ha visto la Scappucci fare il salto da pianista a direttrice. «Mi hanno offerto di dirigere il Così fan tutte di Mozart, fu la mia prima volta su un podio» ricorda la musicista che studia da quando aveva quattro anni, prima il conservatorio di Santa Cecilia a Roma, poi a 19 anni la Julliard school di New York. «Ma a 14 anni entrai in crisi. Volevo mollare tutto. Il carico di lavoro tra la scuola e il conservatorio mi pesava. Poi un lungo discorso di mia madre sulla necessità di far fruttare i talenti che ci sono stati dati, come ci insegna la parabola evangelica. Ci ho riflettuto a lungo e quando la crisi è passata ho trovato il piacere di fare musica» ci aveva raccontato qualche tempo fa la Scappucci. «Dirigere qui è un onore, perché alla Scala è stata scritta la storia del melodramma. E da italiana l’emozione è ancora più forte e intensa. Certo, sento una grande responsabilità sulle mie spalle, ma anche un’incredibile energia che è quella che investe sempre noi artisti nei momenti della verità, nei momenti importanti della carriera».

A Milano, dove I Capuleti e i Montecchi di Bellini manca dal 1987 quando la diresse Muti, «orchestra, coro, cantanti, tecnici, tutti si sono messi subito a disposizione e hanno fatto il possibile per cercare di rendere più facile il lavoro in una situazione così assurda e fenomenale. Sono stati sette giorni frenetici ed entusiasmanti» racconta la direttrice che ha lavorato al piano con Marianne Crebassa (Romeo), Lisette Oropesa (Giulietta), Michele Pertusi (Lorenzo), Jinxu Xiahou (Tebaldo) e Jongmin Park (Cappellio), che ha lavorato in sala prove con orchestra e coro e che si è confrontata con il regista Adrian Noble (anche per lui, a lungo direttore artistico della Royal Shakespeare company, un debutto alla Scala). «Tutto il teatro si è stretto a me con calore, facendomi sentire subito a casa». Il Metropolitan di New York, l’Opernhaus di Zurigo, gli Champs élysées e l’Opera di Parigi, il Liceu di Barcellona, il Mariinsky di San Pietroburgo. L’Opera di Roma il Regio di Torino, il Rossini opera festival di Pesaro. E poi Berlino, Vienna, Amsterdam, Los Angeles. E dal 2017 la direzione musicale dell’Opera royale di Wallonie di Liegi nel curriculum di Speranza Scappucci. «Penso – ha sempre sostenuto la direttrice – che chi semina con tenacia e costanza, nel tempo raccoglie. Certo, ci sono state molte persone che hanno avuto fiducia in me, ma io ce l’ho messa tutta: mi sono sempre data delle mete da raggiungere, per dare un senso alla vita e per far fruttare al meglio i talenti che Dio mi ha donato».

Tra le mete raggiunte da oggi c’è il Teatro alla Scala. «Certo, fare un titolo così importante qui, è difficile per un direttore o una direttrice d’orchestra. La musica di Bellini è ricca di melodie che arrivano dritte al cuore e ci colpiscono nella loro semplicità per la grande bellezza» spiega la musicista convinta che «Bellini è un compositore che guarda al futuro. Nei Capuleti c’è già tanto dei Puritani. C’è una musica bellissima che culmina nell’incredibile scena finale dove tutto passa attraverso la parola, gli accenti con l’orchestra che commenta l’azione con poche note, elementi musicali che sono quasi impressionistici. Da pianista mi ricorda la malinconia di Chopin. Trasformare la grande semplicità di Bellini in profondità musicale è una sfida estremamente difficile, ma al contempo affascinante» racconta oggi Speranza Scappucci per la quale, come ci aveva detto, «non c’è un approccio al maschile o al femminile alla musica. Parlerei piuttosto di approccio unico e originale per ogni musicista. Perché ciascuno ha la sua sensibilità che mette in campo quando si accosta ad una partitura. Quello che conta è la musica, le idee che metti in campo. Quando lavoro con un’orchestra i musicisti reagiscono al mio gesto, alle mie richieste e alle mie idee e non al fatto che sul podio ci sia una donna».

Nella foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala Speranza Scappucci in prova

Articolo pubblicato su Avvenire del 18 gennaio 2022

@Dario Acosta