Assolirica, dopo il virus chiediamo più tutele

Rosanna Savoia, presidente dell’associazione di categoria chiede a politica e teatri di riscrivere insieme le regole «Pagati solo per le recite. Il 60% dei guadagni va in spese»

Gli artisti, che per papa Francesco sono coloro «che ci fanno capire cos’è la bellezza», sono quelli che «stanno pagando il prezzo più alto della pandemia all’interno del mondo dello spettacolo perché un cantante è pagato a recita e non percepisce nulla nel periodo di prove. E se gli spettacoli saltano, salta tutto». Rosanna Savoia è una di loro. Soprano, che da qualche tempo ha scelto la strada dell’insegnamento. Ma non solo. Ha scelto anche la strada dell’impegno perché ha fondato insieme ad alcuni colleghi Assolirica, associazione di categoria di cui è presidente e che in questi mesi di emergenza è passata da 60 a 370 iscritti. «Non solo cantanti lirici, ma abbiamo aperto a tutti i lavoratori del mondo della lirica come registi, scenografi, costumisti, datori luci, figure che la pandemia ha lasciato senza stipendio e senza tutele».

Ci sono, però, i provvedimenti messi in campo dal governo per i lavoratori, per le partite Iva, Rosanna Savoia.

«Secondo il decreto Cura Italia chi ha più di 50mila euro di reddito e 30 giorni di produzione (che vuol dire in media due spettacoli) non ha diritto ai sussidi. Ma la norma come è scritta lascia fuori la maggior parte degli artisti lirici: molti cantanti hanno un guadagno lordo superiore in quanto facendo una media di 20/25 recite l’anno con cachet tra i 2mila e i 4mila e 500 euro a recita la cifra è ben presto superata. Ma il nostro è un mestiere costoso e va specificato che calcolando i guadagni non si tiene conto che dalla cifra che va a indicare il reddito si devono togliere le spese di vitto e alloggio e di viaggio, le spese previdenziali, quelle per l’agenzia e così circa il 60% del guadagno se ne va. In più se non canti non sei pagato e dunque tutte le spese sostenute sono a carico tuo».

Avete fatto sentire la vostra voce?

«C’è un’interlocuzione con il Mibact, con il direttore generale Onofrio Cutaia. E naturalmente con i teatri. Sui provvedimenti del governo, invece, nessuno ci ha ancora interpellati. Non penso sia una cosa voluta: si è partiti dai vertici, dalla messa in sicurezza dei lavoratori dei teatri, comprensibile. Ora tocca anche a noi. Se ci daranno la possibilità potremo dire la nostra: per ripartire, finché non ci sarà un vaccino, occorrono test sierologici, controlli sulle misure sanitarie da applicare. Occorrono poi certezze, protocolli ben precisi altrimenti sarà difficile tornare a fare musica nei luoghi chiusi. Intanto per l’estate è possibile progettare appuntamenti all’aperto, dove è più facile mantenere le distanze. Occorre farlo, per dare un segnale che ci siamo, che il teatro è vivo: dobbiamo portare l’opera alla gente anche con un’esecuzione in forma di concerto, basta poco, un costume, un accenno a qualche movimento. Su questo, comunque, i teatri si stanno attivano. Noi dovremo lavorare sulle regole e sulle tutele per gli artisti».

Quali i nodi?

«Le normative che sono in vigore ancora oggi risalgono ancora al periodo fascista. In più in questi anni hanno perso pezzi, soprattutto a livello di tutele. Penso che questo periodo possa essere l’occasione per voltare pagina. La battaglia delle battaglie, al di là del coronavirus e dei suoi effetti da contenere, sarà quella di provare a ridisegnare i rapporti e a riscrivere le regole per dare le tutele minime agli artisti che portano nel mondo con il melodramma il nome dell’Italia. E per fare questo dovremo dialogare con i teatri e con la politica; anche per questo non possiamo permetterci di alzare muri».

C’è chi vorrebbe farlo?

«Mi sembra che in molti artisti manchi la coscienza di appartenere ad una categoria. Molti corrono da soli tanto che c’è molto primadonnismo in questo ambiente (non solo a livello artistico) che uccide le battaglie comuni. Qualcosa che si è accentuato dal 2005, quando i tagli al Fus, il Fondo unico per lo spettacolo, hanno portato alla riduzione dei cachet, e si è cronicizzato per il fatto che ci sono teatri in ritardo con i pagamenti o addirittura insolventi. Il rischio di impresa è grande in questo mestiere e sono molti gli artisti che hanno lasciato preferendo non mettere a rischio vita e famiglia. Chi resta deve, però, fare squadra perché ci aspettano tempi complessi».

Quali battaglie all’orizzonte?

«Dopo la pandemia sicuramente si andrà incontro a un nuovo taglio dei compensi. In questo momento dobbiamo pensare ai più fragili, ai più giovani, alle nuove generazioni per lasciare loro un sistema più giusto e tutelato rispetto a quello che abbiamo trovato noi».

Assolirica lavorerà al fianco dei sindacati per questo?

«Certo, ma mantenendo il nostro ruolo di associazione di categoria che non può colorarsi di un colore politico, altrimenti si sfascia. Dobbiamo rappresentare tutti i lavoratori. Spero che questo periodo possa aiutare a creare una coscienza di categoria per essere più forti nel portare avanti le battaglie comuni. Non tutti gli artisti, anche quelli con una carriera di prim’ordine, capiscono l’importanza di essere una squadra e non battitori liberi per essere più forti nel dialogo con le istituzioni. Dobbiamo sforzarci di farlo soprattutto per dare ai ragazzi la possibilità di continuare a sognare facendo questo mestiere».

La presidente di Assolirica, Rosanna Savoia

Nella foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala La Bohème con la regia di Franco Zeffirelli