Tutti a fare il trenino nelle Nozze di Talevi

Al Comunale di Bologna Le nozze di Figaro di Mozart rilette dal regista sudafricano e dirette da Dendievel

Alla fine tutti si lanciano in un trenino sgangherato, chi getta una gamba di qua e chi alza un braccio di là. Corrono tutti – d’altra parte il libretto di Lorenzo Da Ponte lo dice, «corriam tutti a festeggiar» – guidati da Marcellina in uno di quei trenini che si fanno alle feste quando tutto va in vacca, quando l’alcool è sopra il livello di tolleranza e ci si butta in squallidi e ritriti riti collettivi (illusione di gioventù) che, se fatti da gente di mezza età, mettono tanta, ma tanta tristezza. Marchio di fabbrica, stigma (o tatuaggio difficilmente cancellabile) di un mondo di eterni Peter Pan in abiti leopardati che non vogliono non tanto crescere, ma non vogliono ammettere che sono cresciuti (e parecchio, a vedere l’anagrafe). Così l’amarezza che ti resta in bocca dopo Le nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart in scena sul palco in cinemascope del Comunale Noveau – la sede provvisoria del Teatro Comunale di Bologna mentre la sala del Bibiena è in restauro – è un’amarezza sociale. La stessa amarezza che ti prende (anche se cerchi di vaccinarti cambiando canale) di fronte a Uomini e donne che – tronisti seduti su un trono che di regale ha solo il nome e i colori oro e rosso della pacchiana tappezzeria – si corteggiano nel pomeriggio della tv commerciale o pseudo famosi che si prendono per i capelli su un’Isola che ti arriva in casa con il suo mare blu in una sera infrasettimanale. Aspiranti inquilini di una casa dove un Grande fratello – ma non pensate a Orwell, magari fosse quello – spia pettegolezzi, invidie e maldicenze dette a bassa voce e catturate in un microfono appeso al collo.

Li vedi, sul palco del Comunale Noveau, che fanno il trenino. E sono gli stessi che ballano tutti in fila, chi gettando una gamba di qua e chi alzando un braccio di là, alle sagre di paese. E sono gli stessi che si mettono in fila per un selfie con l’artista del talent di turno. E sono gli stessi che sui social dicono la loro sulla vita dei cosiddetti influencer pensando di avere la “ricetta” della vita. Sognando il piccolo schermo. Sognando like e K accanto al numero di follower sui social. Ed è lì, in quel trenino sgangherato,  intuizione (voluta o involontaria? perché l’impressione è che il trenino parta perché non si sa come chiudere lo spettacolo) del regista Alessandro Talevi, la pietra tombale dell’attualità sociale del racconto che Mozart e Da Ponte prendono da Beaumarchais. Radicale, completo ribaltamento, il finale (e non solo quello) voluto dal regista sudafricano per il nuovo allestimento delle Nozze a Bologna, della forza rivoluzionaria della commedia dello scrittore francese. Mariage de Figaro che è sì una Folle journée (il racconto inizia alle prime ore del giorno e passando per il mezzogiorno e la sera, si chiude nel buio della notte), ma è soprattutto il racconto, anche sinistro e minaccioso – ogni volta che Figaro canta in faccia al Conte «io non impugno mai quel che non so» è un brivido –, dell’alba di una rivoluzione. La Rivoluzione per eccellenza. Quella che voleva appianare dal basso (e livellare verso il basso) le differenze tra ricchi e poveri. Che ci sono ancora oggi, tra i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. E che si cerca di appianare, certo. Ma verso l’alto. Non come si faceva nel Terrore rivoluzionario azzerando i privilegi dei ricchi e dei potenti che sfruttano la “povera gente”, quanto cercando di fare propri questi privilegi. E così imitazione, emulazione, sono le parole chiave per leggere la rivoluzione di oggi, dove tutti vogliono essere ricchi e famosi (il dubbio, certo, ti vene che il desiderio di ricchezza muovesse anche i rivoluzionari francesi al di là degli ideali) e influencer… orologio pataccaro al polso, vestito alla moda (anche a costo di risultare pacchiani), una donna (o un uomo) via l’altra, tenore di vita sempre al di sopra delle proprie possibilità.

Illusione dei social, inganno di una società dove l’argent fait tout – Talevi ci ha avvertito subito, scrivendolo chiaro sul sipario e lasciando la scritta lì per tutto il tempo dell’ouverture. Raccontano questa “ascesa sociale” le Nozze bolognesi con il ventottenne belga Martijn Dendievel sul podio. Nozze che partono nel più classico dei mondi – al di là dell’ambientazione moderna e degli abiti (più che costumi, anche se in locandina accanto al nome di Stefania Scaraggi c’è giustamente la dicitura “costumi”) sonoramente chiassosi – con Figaro che misura la stanza che il Conte ha dato a lui e alla futura moglie Susanna per farci la camera da letto. Proseguono tradizionalissime – Bartolo è in carrozzina (che è poi la stessa di servizio del teatro che alla fine della recita accompagna una signora a prendere il taxi davanti al padiglione fieristico), la Contessa nasconde Cherubino nella sua “cabina armadio”, Antonio si presenta con un vaso di fiori rotto, quello sul quale è saltato Cherubino buttandosi dalla finestra… – per poi diventare pop, sgangherate nel raccontare tipi umani molto particolari. E nel terzo atto tutto si trasforma in uno show sopra le righe, luci stroboscopiche, coloratissime, da discoteca – e anche i personaggi si lanciano più o meno goffamente nelle movenze tipiche di un club. Tutto diventa una sorta di reality dove ognuno mette in scena se stesso o quello che vorrebbe essere o quello che (pirandellianamente) gli altri vorrebbero che fosse – tutto il quarto atto, già nel libretto, è un gioco di travestimenti e svelamenti.

Così la scena fissa (dello stesso Talevi) che nel corso dei tre atti si è scomposta e ricomposta rimanendo sempre uguale a se stessa, qui si sfalda, si frammenta, si apre su uno schermo di luce abitato da due grandi cigni (che nel finale del terzo atto avevamo visto sulla torta nuziale), animali bellissimi, ma altrettanto cattivi, corrispettivo del mondo animale di certa umanità. E siamo in una sorta di studio tv, di set da esperimento dove va in scena la commedia finale. Funziona? Sì, ma se riletto a bocce ferme per dare un senso al racconto. Perché sulle prime, vedendolo nella platea del Comunale Nouveau, l’impressione è quello di uno spettacolo da Accademia (con la lettera maiuscola, intendiamoci, le accademie di canto dei teatri…), buona fattura, certo, ma con quel sapore da saggio di fine anno che fino alla fine, fino al trenino finale (non so cosa fare e ci piazzo un trenino…), resta attaccato addosso alla regia di Talevi. Certo, il palcoscenico del Comunale Nouveau non ha graticcia, ma la sfida (ora e nei quattro anni che il padiglione fieristico sarà la casa della fondazione lirica emiliana) dovrebbe essere quella di mettere in campo nuove idee e nuove forme di rappresentazione proprio a partire dai gap, dalle particolarità degli spazi che si hanno a disposizione – e di esempi virtuosi ce ne sono…

Ritmo, pulsazioni teatrali nello spettacolo di Talevi. Come nella lettura di Martijn Dendievel, modellata sulle letture dei grandi mozartiani del podio (un Muti, su tutti, per intenderci… lo senti nei tempi scelti sin dall’ouverture). Una lettura tutta precipitosa, protesa in avanti (anche troppo con soli in orchestra che scappano già dall’ouverture) dove il direttore belga mette certo il mestiere per tenere insieme buca e palcoscenico (anche se Nozze è un’opera che va da sola…), ma non quella malinconia e quel disincanto di cui le Nozze sono intrise. Perché non sono solo la Folle journé, ma l’alba di una Rivoluzione e – forse, soprattutto – il tramonto di un’epoca (non per niente il Rosenkavalier di Strauss, l’opera per eccellenza della malinconia e della fine impero è tutta un calco delle Nozze mozartiane) e la presa di coscienza di come cambia l’amore. Tanto che, ascoltando l’approccio tutto muscolare (anche nel gesto ampio e teatrale che si fa ben notare) di Dendievel, ti convinci che Nozze (come Don Giovanni o come Falstaff) non è un’opera per giovani, da dirigere con la frenesia dei primi anni, ma è un testo che, avendo dentro la vita, deve essere affrontato da chi dalla vita è stato temprato.

Scelte. Punti di vista. Taglio – drammaturgico – del racconto (scenico e musicale). Che a Bologna, nelle cinque recite una in fila all’altra programmate al Comunale Nouveau, è affidato a un doppio cast. Dove c’è però, un denominatore comune con la Marcellina (vocalmente al limite, se non oltre, ma scenicamente efficace) di Laura Cherici, il Bartolo di un Francesco Leone in costante crescita, il preciso Antonio di Dario Giorgelè, il Basilio viscido di Paolo Antognetti, il Don Curzio stralunato di Cristiano Olivieri e la Barbarina (direttamente dalla Scuola dell’opera del Comunale) di Patricia Daniela Fodor. Roberto Lorenzi si impone da subito per presenza scenica e disegna un Figaro in continua crescita, sempre più convincente con il passare degli atti, musicale, puntuale, incisivo, ma al tempo stesso misurato, senza mai strafare. Come Tetiana Zhuravel, una Susanna spigliata, risoluta disegnando la quale (con una bella voce, governata alla perfezione) il soprano ucraino non rinuncia a pennellate di malinconica dolcezza. Impeccabile il Conte di Vincenzo Nizzardo, bella voce di baritono e carisma scenico che riempiono il palco e la platea. Fascinosa anche la voce di Maria Novella Malfatti che restituisce, non senza alcune difficoltà tecniche, una Contessa dolente. Chiara Tirotta mette la sua irruenza scenica e vocale nel personaggio (quello che attira sempre le maggiori simpatie) di Cherubino.

Nel trenino finale corrono «tutti a festeggiar», poveri e ricchi insieme, con l’illusione dei primi di poter essere – grazie a un selfie, a un like… – tutti uguali. Illusione. Perché forse quel trenino torna alla stazione di partenza e tutti, ricchi e poveri, corrono a ripetere gli errori che ci hanno raccontato sulla musica di Mozart.

Nelle foto @Andrea Ranzi Le nozze di Figaro al Comunale di Bologna