Meli, ecco il mio primo disco a tutto Verdi

Solo arie del compositore di Busseto nell’album d’esordio del popolare tenore genovese che sogna di cantare Otello

Le istruzioni per costruire un camion della Lego. Tanti mattoncini rossi e neri sparsi ovunque. E una scritta, «Lavori in corso». In un angolo un tag @serena_gamberoni. Serena Gamberoni che in un’altra storia, dal suo profilo, riposta lo scatto del marito, il tenore italiano oggi più conosciuto e amato. Su Instagram Francesco Meli racconta il suo Natale in famiglia, a Genova. A giocare con i figli in attesa dell’ultima replica (mercoledì 29 dicembre) del Macbeth di Giuseppe Verdi che il 7 dicembre ha inaugurato la nuova stagione del Teatro alla Scala. «Ma prima nel teatro della mia città parlo di un progetto che ho inseguito da tempo, il mio primo disco. Che non poteva che essere interamente dedicato a Giuseppe Verdi» racconta Meli, genovese, classe 1980, che martedì 28 dicembre alle 18.30 al Carlo Felice presenta Prima Verdi, il disco pubblicato dalla Warner e inciso «a giugno 2020 in piena pandemia, quando i teatri erano ancora chiusi, con l’orchestra del Maggio musicale fiorentino diretta da Marco Armiliato».

Perché “prima” Verdi, Francesco Meli?

«Perché Verdi, il compositore, deve venire prima di tutto, prima di noi interpreti. Perché questo è un disco “su” Verdi e non un disco dove trovate il Verdi “di Francesco Meli”. E poi Prima Verdi perché è il mio primo disco…».

Una prima volta che avviene sulla soglia dei vent’anni di carriera che festeggerà nel 2022. Perché il primo disco arriva solo ora?

«Nessuno mi ha mai proposto un contratto in esclusiva. Dicono che incidi se canti in Germania e io ho cantato pochissimo, solo due volte, nel 2008 ad Amburgo e di recente un Trovatore a Monaco. Quello discografico è un mondo che non conosco, con meccanismi complessi e strani, basti pensare a quelle meteore che fanno due dischi e poi spariscono nel nulla. Un progetto discografico, poi, è sempre complesso a livello artistico ed economico. E richiede tempo. Quando il Maggio musicale fiorentino mi ha proposto questo recital verdiano da mandare in streaming e da registrare ho detto subito sì».

Chi è per lei Verdi?

«Per me che trovo congeniale la sua scrittura alla mia vocalità è diventato il compositore d’elezione degli ultimi dieci anni della mia carriera. Verdi è prima di tutto un uomo di teatro, un drammaturgo della musica che unisce parole e note in modo indissolubile: in ogni sua opera il testo racconta la musica e viceversa. Per questo occorre restituirlo nel modo più fedele possibile».

Dunque niente acuti di tradizione aggiunti, fedeltà alla partitura… quasi una missione che lei e alcuni suoi colleghi portate avanti.

«Io ho deciso di affidarmi totalmente a ciò che è scritto e di restituirlo in modo più fedele possibile. Certo questo non può sempre avvenire perché la resa di un cantante è legata anche alle sue condizioni fisiche: possiamo voler fare il si bemolle dell’Aida in pianissimo, come scritto, ma se la nostra voce quella sera non riesce a farlo dobbiamo trovare un compromesso. Siamo uomini».

Per un cantante qual è la più grande lezione di Verdi?

«Verdi è un grande didatta, è un autore che ti insegna in metodo di studio da applicare a tutti gli altri autori. Applicando questo metodo a tutta l’altra musica ti accorgi che dietro ogni partitura c’è un pensiero profondo da restituire intatto. E se esegui ogni autore in modo rispettoso nei confronti della sua scrittura ti accorgi che le cose cambiano».

I lombardi alla prima crociata e Luisa Miller, Trovatore e Boccanegra, Aida e Otello: il disco è un viaggio dal primo Verdi a quello della maturità…

«… avrei voluto incidere le arie per tenore da tutte le 27 opere verdiane, ma sarebbe stato un progetto troppo ampio».

Ma a quale “Verdi” si sente più vicino?

«Il ruolo che mi è più caro è sicuramente quello di Riccardo del Ballo in maschera. Ho cantato il primo Verdi e quello della maturità e ora mi sento più vicino a quest’ultimo dove vengono portate a compimento tutte le intuizioni e le rivoluzioni già presenti nei lavori degli anni di galera: penso all’aria dei Foscari che ho inciso, Notte! Perpetua notte che qui regni dove c’è una scrittura incredibilmente moderna che ci fa già intravedere l’O tu che in seno agli angeli della Forza».

Molti dei personaggi che canta in questo disco li ha già portati in scena, altri non ancora. Arriveranno?

«Se il riferimento è al Moro di Venezia penso che prima o poi arriverà perché interpretare Otello è una delle sfide che mi sono prefisso nel mio percorso nella vocalità verdiana. Vorrei cantarlo una volta e poi lasciarlo sedimentare e decantare, come il vino, per poi riprenderlo dopo un po’ di anni. Molti teatri me lo hanno già chiesto, ma ho detto no. Devo trovare il contesto ideale che nin significa facile perché i miei debutti verdiani non sono stati mai imposti “facili”; il mio primo Rigoletto è stato a Londra, il primo Ballo a Parma il primo Radames di Aida a Salisburgo».

La copertina del disco di Francesco Meli

A proposito di posti non “facili” da poco ha inaugurato la Scala e proprio con Verdi.

«Il ruolo di Macduff è piccolo, ma offre una delle arie di tenore più conosciute e quindi c’è una grande risposta del pubblico. Nel prossimo futuro ci sarà un altro 7 dicembre nel quale ci sarò anch’io, certo non è il Boris del prossimo anno».

E sarà un altro Verdi per il “verdiano” Francesco Meli che, però, è nato “rossiniano”.

«Rossini ha avuto un ruolo importante nei miei primi dieci anni di carriera e il Rof di Pesaro è stato un grande trampolino di lancio. E Rossini è anche l’autore di cui ho più rimpianti per non aver interpretato alcuni ruoli o perché era troppo tardi per la mia vocalità o perché i progetti non sono andati in porto, penso a La donna del lago, Otello, Zelmira, Armida e Tancredi».

Difficile dire no?

«Difficile, ma necessario. In vent’anni, anche quando fatto un passo falso, ho avuto la fortuna di essermi fermato un attimo prima, non sempre per una mia scelta, ma anche per alcune fatalità o coincidenze, penso a quando dovevo fare la mia prima Sonnambula a Firenze che poi non ho debuttato per una tracheite: quel contratto cancellato è stato utile per la mia crescita più di tanti altri andati in porto».

Sua moglie Serena è una cantante lirica, un soprano. Questo aiuta?

«Io e Serena siamo cresciuti come persone e come musicisti insieme, ci siamo conosciuti che lei aveva vent’anni e io ventuno. Le nostre carriere sono come altri due figli e per forza con i figli ti capisci al volo. I nostri gusti, le nostre idee e il nostro modo di lavorare è cresciuto insieme. Certo, poi abbiamo anche opinioni differenti, ma il confronto non manca mai».

I vostri figli studiano musica?

«Melissa per un po’ ha cantato musica leggera, Giovanni e Leonardo studiano violoncello e pianoforte. Non fanno fatica perché la musica la conoscono da sempre, è qualcosa di familiare. Siamo felici che suonino, ma cosa fare nella vita deve essere solo una loro scelta. Come è stato per me che ho chiesto ai miei genitori di studiare pianoforte e canto. Penso che la musica sia qualcosa di viscerale e deve farla solo chi vuole farla davvero: non è una scienza con regole da applicare, è una matematica fantasiosa e per farla ci vogliono talento e volontà».

Nella foto @Victor Santiago Francesco Meli

Intervista pubblicata in parte su Avvenire del 28 dicembre 2021