Scala, Chailly apre la stagione con Šostakovič Sparicse Gatti dal primo cartellone di Ortombina

Presentata la stagione 25/26 che si apre con la Lady Macbeth Dopo la nomina di Chung a direttore musicale da gennaio 2027 Gatti non farà il Pélleas et Mélisande con la regia di Castellucci Tredici titoli d’opera e si chiude il Ring con la regia di McVicar

«Oggi parliamo solo dell’attuale direttore musicale, del maestro Riccardo Chailly». Non cita il prossimo, che pure è già stato nominato. Fortunato Ortombina fa il nome di Myung-Whun Chung solo elencando le opere della stagione 2025-2026 del Teatro alla Scala, stagione nella quale il direttore d’orchestra coreano, che dal 1 gennaio 2027 prenderà il posto di Chailly alla guida musicale del Piermarini, sarà sul podio per la Carmen di Georges Bizet. «Parliamo di chi c’è, non di chi non c’è» incalza Ortombina, dal 1 marzo nuovo sovrintendente del Teatro alla Scala.

E chi non c’è, in locandina della prossima stagione scaligera, è Daniele Gatti. Avrebbe dovuto dirigere il Pelléas et Mélisande di Claude Debussy che segnerà il debutto scaligero del regista Romeo Castellucci. Invece alla vigilia della presentazione del cartellone, che si aprirà il prossimo 7 dicembre con Una lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitrij Šostakovič, Gatti ha cancellato i suoi prossimi impegni scaligeri. A iniziare dall’attesissimo Pelléas (che vedrà sul podio Maxime Pascal). Avrebbe dovuto dirigerlo lui, Ortombina l’aveva annunciato al cd e ai sindacati presentando in anteprima il prossimo cartellone (e basta guardare il cast che è un cast inequivocabilmente targato Gatti con Sara Blanch nei panni di Mélisande, Marie-Nicole Lemieux in quelli di Geneviève e John Releya come Arkel, artisti con i quali Gatti ama lavorare, insieme al Pelléas di Bernard Richter e al Golaud di Simon Keenlyside). Ma dopo la nomina di Chung a prossimo direttore musicale Gatti ha preferito fare un passo indietro. Il nome del direttore d’orchestra milanese, classe 1961, direttore della Staatskapelle di Dresda (pare che l’orchestra avesse messo Gatti di fronte a un aut aut, o noi o loro…) era circolato insistentemente per guidare la Scala (piaceva ai membri del precedente cda, era appoggiato dal sindaco Sala), ma al fotofinish Ortombina gli ha preferito Chung, musicista con il quale l’attuale sovrintendente scaligero ha collaborato a lungo negli anni passati al vertice del Teatro La Fenice di Venezia. Chung dal 2027 al 2030… e chissà che poi sia la volta di Gatti… nome e talento dicono tutto, non serve aggiungere nulla.

«Parliamo di Chailly» ribadisce Ortombina. E parte l’applauso. “Chiamato” dal sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi che apre la conferenza con una lunga serie di numeri. «Nel 2024 il ministero della Cultura ha versato 35milioni873 mila euro alla Scala aumentando il contributo del Fondo unico per lo spettacolo rispetto all’anno precedente. In totale, nel 2023, lo Stato ha sostenuto il mondo dell’opera lirica in Italia con 271 milioni di euro, di cui cinquanta di patrimonializzazione, mentre Regioni, Comuni e Città metropolitane hanno versato 114 milioni, così che il Paese ha dato alla lirica 385 milioni di euro». Perché «crediamo in questo patrimoni come il nostro biglietto da visita nel mondo». Un applauso, quello di Mazzi a Chailly, al quale si uniscono il sovrintendente e il sindaco di Milano, presidente del consiglio di amministrazione scaligero , Beppe Sala. Applauso davvero affettuoso. Chailly risponde con un sorriso. E con una certezza. «Se guardo al futuro è un futuro che non termina nei prossimi anni quindi non ho una sensazione di nostalgia. Vedo il percorso che va avanti, si conclude in parte, ma in parte si evolve perché l’intesa con l’orchestra scaligera è cresciuta negli anni, ci si capisce con uno sguardo. Così come con il coro. L’ultima inaugurazione con la verdiana Forza del destino lo dice chiaramente» sottolinea il musicista milanese, classe 1953.

«Ultima conferenza stampa nella veste di direttore musicale – rimarca Ortombina –. Ma questi anni di direzione musicale sono solo un breve segmento di un lungo arco temporale che ha legato Chailly alla città e al teatro, quarantasette anni iniziati nel 1978 con I masnadieri di Verdi. Un arco temporale, ma anche un arco stilistico molto ampio, unico nel suo genere, dal primo Verdi fino al Boris di Mussorgskij a Kurt Weill che dirige in questi giorni». E allo Šostakovič di Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, titolo scelto per inaugurare la prossima stagione. «Un testo difficile, un soggetto urticante per un capolavoro imprescindibile del Novecento che tratta un argomento molto scabroso. E sul quale cadde la scure della censura del regime comunista di Stalin. Sul leggio avrò la versione originale del 1934, quella che venne stroncata con un articolo commissionato da Stalin sulla Pravda. Dopo questa esperienza Šostakovič non scrisse mai più opere. In questa Lady Macbeth c’è il coraggio del giovane compositore, c’è un valore musicale che sconcerta perché alterna un linguaggio che spesso può sembrare facile ad idee assolutamente sconvolgenti per l’epoca in cui l’opera è stata scritta».

Regia del russo Vasily Barkhatov, protagonista Sara Jakubiak che è Ekaterina a finaco di Alexander Roslavets (Boris Timofeevicč Izmajlov) e Yevgeny Akimoiv (Zinovij Boricovič Izmajlov). Prima versione, ancora più ruvida e meno edulcorata rispetto alla seconda, quella che Šostakovič realizzò nel 1962, rimettendo mano alla partitura. «Negli archivi della Scala c’è una lettera che Antonio Ghiringhelli e Francesco Siciliani alla fine degli anni Cinquanta, anni di intensi e segreti rapporti tra Italia e Urss con Togliatti faceva avanti e indietro da Mosca, scrissero a Šostakovič. Avevano saputo che il compositore stava lavorando alla revisione della Lady Macbeth e lo pregavano di far debuttare questa seconda versione alla Scala. Un tentativo che andò a vuoto, anche se la nuova Lady Macbeth, dopo il debutto a Mosca nel 1963m arrivò a Milano nel 1964» racconta Ortombina.

Dodicesima inaugurazione per Chailly che poi dirigerà Nabucco di Giuseppe Verdi con Luca Salsi e Anna Netrebko. «Inserendo nel terzo atto dieci minuti di Ballabili che Verdi scrisse nel 1848 per la ripresa dell’opera a Bruxelles. Perché non si finisce mai di conoscere quello che crediamo di conoscere. Anche con Verdi» racconta Chailly che a ottobre 2026 dirigerà (e inciderà) la Messa da Requiem di Verdi, con Anna Netrebko, Elina Garanča, Fabio Sartori e Michele Pertusi, ultimo atto della sua direzione musicale.Perché il 7 dicembre 2026 sarà affidato a Chung che dirigerà un altro Verdi, quello di Otello con la regia di Damiano Michieletto.

Tredici titoli d’opera con la Götterdämmerung che chiude il Ring wagneriano con la doppia bacchetta di Simone Young e Alexander Soddy e la regia di David McVicar – Ring che a marzo 2026 sarà proposto in due cicli (e a gennaio niente opera sul palco del Piermarini per lasciare spazio all’allestimento di questo monumento musicale di oltre 15 ore). Torna la Turandot con la regia di Davide Livermore per celebrare i cento anni dell’opera di Puccini (dirige Nicola Luisotti, protagonista Anna Pirozzi) e torna l’immancabile Traviata verdiana nell’allestimento del 1990 di Liliana Cavani con protagonista Nadine Sierra con Piero Pretti e la bacchetta di Michele Gamba. La Carmen che dirige Chung è una coproduzione con Londra e Madrid con la regia di Michieletto, in scena Clémentine Margaine e Vittorio Grigolo. Speranza Scappucci dire la donizettiana Lucia di Lammermoor con Rosa Feola e Pene Pati, ripresa nella regia di Yannis Kokkos. Donizetti anche per l’opera dell’Accademia, L’elisir d’amore diretto da Marco Alibrando con la regia di Maria Mauti. Chiusura di stagione con Faust di Gounod diretto da Daniele Rustioni e la regia (nuova, anche se ne aveva già realizzata una per l’Oper Köln, ma sulla versione opera-comique della partitura) di Johannes Erath.

Otto serate di balletto con la prima volta di una coreografia di Pina Bausch danzata dal Corpo di ballo – sarà Le sacre du printemps di Stravinskij, lavoro ottenuto per Milano dal neodirettore del ballo, Frédéric Olivieri – e l’Alice’s adventure in wnderland di Christopher Wheeldon. Trittico con pezzi di Wayne McGregor, Jean-Christophe Maillot e Ohad Naharin (dove anche il pubblico sarà coinvolto nello spettacolo). Poi due classici di Rudolf Nureyev, La bella addormentata e il Don Chisciotte insieme all’immancabile Giselle. E poi concerti sinfonici (torna Daniel Barenboim ed Esa-Pekka Salonen dirige la prima mondiale del suo Concerto per corno e orchestra), musica da camera, concerti di canto (arriva Jakub Orliński), spettacoli per bambini e famiglie.

Una stagione «che mi sono preso a cuore da subito, in gran parte disegnata dal mio predecessore Dominique Meyer sulla quale ho fatto alcuni cambiamenti, come la sosttuzione della prevista Semiramide di Rossini con il Faust di Gounod» racconta Ortombina che ha voluto mettere uno slogan al cartellone, Nel cuore di Milano. «Ho sempre detto che l’obiettivo che mi pongo è quello che fra qualche anno nessun milanese possa dire di non essere mai stato alla Scala. Perché «La Scala e Milano sono due cose unite. Il successo della Scala dipende dal successo di Milano e la Scala offre un contributo fondamentale non solo come biglietto da visita, ma come caposaldo politico e culturale del nostro paese» ha detto il sindaco Sala, soddisfatto che «un terzo del totale del pubblico, con 1500 abbonamenti, è formato da giovani con meno di 35 anni. E questa è la migliore garanzia per il nostro futuro». Ruolo politico che ha riconosciuto al Piermarini anche il sottosegretario Mazzi. «Un veicolo importante per portare l’Italia nel mondo». Tanto più che la Scala è un modello per un sistema dove pubblico e sponsor privati interagiscono, diventando, sottolinea Ortombina, «un esempio che in Italia non è raro, ma unico». Sponsor ed enti pubblici che, conclude il sovrintendente, «sono come i cavalieri del Graal, i custodi del dovere di cercare e di perseguire l’eccellenza».

Nella foto @Brescia/Amisano Frédéric Olivieri, Fortunato Ortombina e Paolo Gavazzeni