Addio a Levine, uomo prima che musicista

17.03.2021 Prima di essere un direttore d’orchestra. Prima di essere un artista. Prima di essere, attenzione, un “molestatore” come viene ricordato (o non ricordato, ipocrisia nel dramma) negli Stati Uniti, James Levine era un uomo. Era, perché è morto il 9 marzo a Palm Spring, in California – ma l’annuncio è stato dato solo dopo alcuni giorni. Aveva 77 anni. Era ormai solo. In molti gli avevano girato le spalle. Nonostante la sua malattia, il morbo di Parkinson, che da anni lo vedeva costretto a muoversi e a dirigere (su un podio che il suo teatro di un tempo, il Metropolitan, gli aveva costruito appositamente) su una sedia a rotelle. Solo, perché nella sua patria (ma anche fuori) più forte della compassione, più forte della pietà era stata la condanna senza appello, il marchio di infamia che si portava addosso per accuse di molestie sessuali risalenti agli anni Ottanta ed emerse qualche anno fa, in piena ondata #metoo.

Questo non vuole essere un discorso che sminuisce certe pesantissime accuse – Levine era stato accusato di aver molestato uomini molto più giovani, artisti all’inizio della loro carriera – perché la giustizia deve fare il suo corso. Sempre. E, nonostante molte volte accuse di questo tipo si siano rivelate infondate al di là e al di qua dell’Atlantico, la questione è complessa, delicata e da non liquidare con un semplice: tutte storie! Ma anche di fronte al più incallito e reo confesso criminale la pietà e la compassione non devono venire mai meno, perché l’uomo non è il suo errore, è molto più grande di qualsiasi colpa nel suo essere mistero insondabile.

Per Levine (e per altri, naturalmente) questo, però, non è valso. Tanto che il Metropolitan, il teatro guidato dal direttore nato a Cincinnati il 23 giugno 1943 per oltre quarant’anni, nel 2018 lo licenziò. Oggi sul sito del teatro c’è una notizia con le cose fatte al Met, una foto e due video. Eppure qualla di Levine è stata una lunga militanza sul podio del primo teatro lirico d’America: il debutto nel 1971 con una pucciniana Tosca, nel 1973 nla nomina a direttore principale e dal 1976 la guida stabile, sino al licenziamento nel 2018 in seguito ad un’inchiesta interna. Rottura del rapporto che ha visto Levine chiamare in giudizio il Met alla Corte Suprema dello Stato di New York per violazione di contratto e diffamazione chiedendo quasi sei milioni di dollari di danni. Una lunga vicenda che si è chiusa nell’agosto del 2019 con un accordo tra Levine e il teatro, accordo di cui, però, non sono mai stati resi noti i termini.

Nonostante i silenzi resta tutto quello fatto in campo musicale da James Levine. Ed è tanto. E tutto ad altissimi livelli. Perché ogni partitura che Levine affrontava, con una naturalezza disarmante (almeno a vederlo sul podio, specie in prova con l’inseparabile asciugamano di spugna sulla spalla come una sciarpa, quasi una coperta di Linus), risplendeva sotto la sua bacchetta. Origini ebraiche, il direttore d’orchestra era nato in una famiglia di artisti e musicisti: il nonno materno era cantore in una sinagoga, il padre era violinista mentre la madre era attrice. Lo studio della musica e del pianoforte – perché Levine, oltre che un grande direttore, era un eccellente pianista – sin da bambino, il suo primo concerto a soli dieci anni, alla tastiera con Mendelssohn. Gli studi in Vermont, ad Aspen, a Cincinnati e nel 1961 l’ammissione alla Julliard school a New York (dove si diploma nel 1964) per i corsi di Jean Morel.

Levine è salito sul podio delle grandi orchestre americane, la Cleveland e la Philadelphia, la Chicago e la Boston. Non solo perché in Europa ha diretto i Wiener, i Berliner, la Staatskapelle di Dresda e la Philharmonia di Londra. L’opera al Met dove ha diretto più di 2500 recite di 85 diversi titoli e dove l’ultima volta è apparso nel dicembre del 2017 per una Messa da Requiem di VFerdi. Non solo Stati Uniti, la lirica Levine l’ha frequentata anche nel tempio di Bayreut, interprete wagneriano di riferimento. Non solo il compositore tedesco perché Levine ha frequentato con successo Verdi e Puccini, Donizetti e Rossini, Mozart e Strauss, Berlioz e Bizet, Berg e Schoenberg.

I concerti con i tre tenori, ma anche il grande schermo con il suo dialogo con Topolino in Fantasia2000 della Walt Disney. A gennaio avrebbe dovuto essere a Firenze per dirigere al Teatro del Maggio La damnation de Faust di Berlioz e Ein deutsche requiem di Brahms mentre in autunno era atteso a Santa Cecilia a Roma. Partiture che mettono a nudo l’uomo. Quello che era, prima di tutto, James Levine.