Io, baritono della Mongolia con Verdi nel cuore

Nato e cresciuto in Mongolia, dove ha studiato canto Amartuvshin Enkhbat ha trovato il successo in Italia Debutta nella Forza del destino al Maggio di Firenze mentre la prossima stagione sarà Rigoletto alla Scala

Fa sempre un certo effetto quando, in scena, Amartuvshin Enkhbat apre bocca. Perché i tratti del suo viso sono quelli tipici della sua terra, la Mongolia. Ma il suo canto, la sua voce hanno un colore tutto italiano. Pronuncia impeccabile, canto tornito, modellato sui grandi baritoni italiani del passato. «Li ascoltavo da ragazzo. A loro devo la mia passione per il canto. E la mia pronuncia» racconta il baritono nato nel 1986 a Suhbaatar in Mongolia. Stasera debutta nei panni di don Carlo di Vargas ne La forza del destino al Teatro del Maggio di Firenze per l’edizione 2021, tutta in presenza con il pubblico, del Maggio musicale fiorentino. Dirige Zubin Mehta, regia in perfetto stile Fura dels Baus – tra un futuro immaginario e un passato dove si precipita all’indietro – di Carlus Padrissa. «In Italia la mia carriera è cambiata» racconta Amartuvshin Enkhbat che, dopo un estate in Arena a Verona, la prossima stagione sarà il protagonista di Rigoletto al Teatro alla Scala (nuovo spettacolo di Mario Martone che manda in pensione quello del 1994 di Gilbert Deflo) dove ha debuttato lo scorso ottobre nell’Aida in forma di concerto diretta da Riccardo Chailly. «Tanto Verdi – sorride – nella mia agenda».

Ma come è entrata la musica nella sua vita, Amartuvshin Enkhbat? Come è nata questa passione per il canto?

«In casa mia la musica c’è sempre stata. Quando ero piccolo i miei genitori l’ascoltavano e io ho imparato sin da subito a cantare, mi è sempre piaciuto. E non ho mai smesso».

Quali le musiche che ascoltava e che cantava?

«Ho trascorso la mia infanzia ascoltando la musica tradizionale della Mongolia, l’ascoltavo attraverso la radio e la cantavo. E sempre alla radio mi piacevano molto ascoltare le colonne sonore cinematografiche».

Quando ha deciso che avrebbe voluto fare il cantante lirico?

«Avevo 18 anni, stavo per iscrivermi all’università, ma il canto è sempre stata la mia passione così ho deciso di studiarlo seriamente».

Dove si è formato?

«I miei studi sono stati in patria, ho studiato per cinque anni all’Università per la Cultura e l’Arte della Mongolia e lì mi sono laureato». 

Anche i suoi primi passi nel mondo della musica sono avvenuti in patria, per alcune stagioni ha cantato all’Opera di Stato di Ulan Bator. Che esperienza è stata? Una lunga gavetta?

«Sono stato per sei anni nella compagnia stabile del Teatro dell’Opera della Mongolia. Un’esperienza che mi ha dato modo di affrontare molti ruoli, in particolare quelli del mio amato Giuseppe Verdi, sempre presenti nei cartelloni del teatro. Un’esperienza che mi è servita molto una volta arrivato in Europa».

Chi si è accorto per la prima volta della sua voce? Chi l’ha portata in Occidente e come è arrivato a cantare in Italia e in Europa?

«La prima persona che si è accorta della mia voce e che ha creduto in me è stata la mia maestra di canto, Yuruu Tserenpil. Mentre cantavo in Mongolia sono stato contattato da un agente russo che mi ha procurato i primi ingaggi. Poi mi ha scritturato un’agenzia tedesca. Ma la prima persona che mi ha portato a cantare in Europa è stata la mia amica Gantuya Tsevegdorj, che ha sempre lavorato come diplomatica ed è stata console onorario in Italia dove ha conosciuto Stefano Salvatori, pianista e direttore d’orchestra che collabora con il Teatro alla Scala. Gantuya Tsevegdorj ha parlato a Stefano Salvatori e insieme mi hanno portato in Italia dove la mia carriera ha avuto una svolta».

Chi sono i suoi baritoni di riferimento? Quali quelli che ascoltava da giovane?

«Ci sono tante baritoni famosi che ascolto e ammiro e che sono i miei modelli di riferimento. Ma ce ne sono due in particolare he mi hanno sempre colpito e ispirato. E sono due baritono italiani Piero Cappuccilli ed Ettore Bastianini».

Il suo accento nobile, la sua dizione impeccabile li ricorda molto. A proposito, lei non parla l’italiano, ma quando è in scena la sua pronuncia della nostra lingua è impeccabile, il senso che riesce a dare alle frasi che canta è perfetto. C’è un segreto?

«Non parlo la vostra lingua, è vero, ma sono sempre attento alle conversazioni, a quando gli altri parlano, così da carpire la giusta pronuncia. Tutti hanno sempre notato il mio italiano pulito e lineare, ma non penso ci sia un segreto se non il fatto che da ragazzo ascoltavo le incisioni dei grandi baritoni italiani cercando di assimilare il più possibile la loro arte».

Quali sono i compositori che ama di più?

«Ovviamente per me il compositore più importante e allo stesso tempo quello che amo maggiormente è Giuseppe Verdi. E poi trovo non meno grande, non meno meraviglioso Giacomo Puccini». 

E i personaggi che preferisce interpretare?

«Canto molto spesso le opere di Giuseppe Verdi, le amo tutte. Tra quelle che amo di più c’è sicuramente Rigoletto, un personaggio che vorrei cantare sempre. Ma sono molti i ruoli verdiani che amo, Germont in Traviata, il Conte di Luna nel Trovatore, Amonasro in Aida, Carlo in Ernani, Simon Boccanegra».

Per chi vive in Italia è difficile immaginare la Mongolia come un paese dove si ascolta e si canta il melodramma italiano. Come è la vita musicale nel suo paese?

«Sono d’accordo che è difficile da immaginare per gli italiani che noi mongoli ascoltiamo e cantiamo le opere italiane. Ma in Mongolia c’è una tradizione ultradecennale di ascolto ed esecuzione della musica classica. Certo, siamo arrivati dopo l’Occidente, ma direi che non ci stiamo comportando male: ci sono teatri dove si fa opera e balletto, ci sono scuole di musica, artisti. Io mi sono formato in Mongolia e se sono quello che sono lo devo agli insegnanti che ho incontrato nel mio paese».

Verdi è conosciuto? E gli altri musicisti occidentali?

«Nei cartelloni dei teatri, accanto alla nostra musica tradizionale, ci sono naturalmente i grani autori occidentali, così la gente conosce e ama Verdi, così come Puccini, ma anche compositori russi come Petr Il’Ic Cakjkovskij e Sergeij Rachmaninov».

E i compositori locali che tipo di musica scrivono?

«I nostri compositori, che in molti casi hanno studiato in Russia, scrivono opere e balletti, musica sinfonica e da camera, tradizionale e contemporanea. Ce ne è per tutti i gusti».

Torna a casa? Le manca la sua terra quando canta nei teatri del mondo?

«Il mio lavoro è il più bel lavoro per me, ma stare e lavorare lontano da casa e dalla mia Mongolia per lungo tempo è sempre difficile. Come ovviamente lo è per tutte le persone che vivono e lavorano lontano dal loro paese… che è sempre il paese più bello del mondo. E quindi è giusto che manchi.

Com’è la situazione nel suo paese? E i rapporti con la Cina?

«La Mongolia, paese che è ricco di bellezze naturali e artistiche, ha una storia lunga e gloriosa, inseparabile da quella dei nostri vicini geografici, la Cina e la Russia. Abbiamo avuto guerre e abbiamo fatto la pace, ma la pace è sempre la cosa da desiderare per tutti gli uomini. Oggi, come tutto il mondo sta facendo, l’unica guerra che stiamo combattendo è quella contro il Covid. E seriamo di vincerla tutti insieme, per tornare a fare musica come prima».

In apertura nella foto @Michele Monasta Amartuvshin Enkhbat ne La foirza del destino a Firenze

Nelle altre foto il baritono in Aida alla Scala, Ernani a Novara e Nabucco a Parma