Ganci: io, tenore, ero ingegnere (e chierichetto)

Il cantante in tv nell’Adriana Lecouvreur in versione film girata al Teatro Comunale di Bologna e trasmessa su Rai5 Da corista alla Cappella Sistina a voce per Disney channel

Da bambino faceva il chierichetto in parrocchia, «a San Benedetto al Gazometro, a Piramide, quartiere Ostiense». A Roma, naturalmente. Lo senti – l’accento è inconfondibile – da come Luciano Ganci pronuncia il nome dei luoghi della sua infanzia. Non aveva nemmeno dieci anni e la musica era già la sua grande passione. «Ma sono nato in una famiglia proletaria: papà barista, mamma casalinga, tre figli. E senza grandi possibilità di studiare» racconta oggi il tenore quarantenne, protagonista nei panni di Maurizio di Sassonia dell’Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea, opera in versione film trasmessa mercoledì 10 marzo alle 21.15 su Rai5. Adriana è Kristine Opolais, la Principessa di Bouillon è Veronica Simeoni, Michonnet è Nicola Alaimo. Rosetta Cucchi in regia, Ascher Fisch sul podio dell’orchestra del Teatro Comunale di Bologna che ha prodotto lo spettacolo. «Abbiamo girato un mese fa nella sala del Bibiena: palco, platea, camerini e corridoi sono diventati il set di una storia che la regista immagina in quattro epoche diverse – racconta Ganci –: si parte dal Settecento del libretto e si arriva al 1968 dell’ultimo atto dove io sarò un flash back che si affaccia alla mente della protagonista».

E come è avvenuto, Luciano Ganci, il passaggio da chierichetto a tenore che oggi canta Verdi e Puccini nei teatri di tutto il mondo, dalla Scala di Milano al Marijinsky di San Pietroburgo al Covent Garden di Londra?

«Riassumendo con uno slogan direi che ci ha messo lo zampino il Padre Eterno. Sin da piccolo avevo una predisposizione per la musica, ma in famiglia non ci potevamo permettere lezioni private. Un giorno il padre di un ragazzino che faceva il chierichetto con me ha suggerito alla mia mamma di portarci a fare le audizioni per le voci bianche della Cappella Sistina: presero me e mio fratello. Il direttore era monsignor Domenico Bartolucci, un grandissimo musicista. Ho studiato solfeggio, canto e organo. E il bello di quell’esperienza è che lo studio non era fine a se stesso, ma la musica era al servizio della liturgia e delle celebrazioni del Papa. Che allora era Giovanni Paolo II: ho suonato l’organo durante la veglia funebre di Papa Wojtyla, un momento commovente che ricordo ancora oggi».

Ma nel suo curriculum, accanto agli studi in conservatorio, ci sono un diploma di Geometra e una laurea in Ingegneria civile…

«Per tranquillizzare i miei genitori, per avere un mestiere sicuro ho fatto studi tecnici. E per otto anni ho lavorato come ingegnere in grandi gruppi, solo che salutavo i dirigenti chiamandoli maestro e non ingegnere. Ma con la musica non ho mai smesso: ho doppiato la versione italiana di film Il fantasma dell’opera, ho cantato la colonna sonora di Pirati dei Caraibi, ho dato voce a molti personaggi di Disney channel, da Scrubs a Disney princess senza contare cagnolini, cerbiatti, pupazzi e gattini. Poi, mentre cantavo nel coro di Rugantino di Garinei e Giovannini al Sistina un amico mi ha consigliato di studiare canto lirico. Lavorare mi ha consentito di essere indipendente e mi ha permesso di pagarmi gli studi, così tre volte la settimana facevo la spola tra Roma e Pomezia – ogni volta erano 60 chilometri – dove dava lezione il mio maestro Otello Felici. E ogni giorno, mentre andavo in ufficio, in coda in auto sul Grande raccordo anulare facevo i vocalizzi».

Quando ha deciso di dire addio al posto fisso di ingegnere?

«Dopo solo quattro mesi di studi ho vinto un posto per il Coro di Santa Cecilia e sono stato preso al concorso Operalia di Placido Domingo. Era il 2007. Ma niente coro, ho deciso che avrei fatto il solista: prima la gavetta poi nel 2009 il debutto con Le nozze di Figaro di Mozart e il Gianni Schicchi di Puccini. Per me, però, cantare non è un lavoro tanto che dico sempre che l’ultimo mestiere che ho fatto è quello di ingegnere: oggi canto con uno spirito di servizio, perché non si canta per se stessi, ma per gli altri, me lo hanno insegnato gli anni alla Sistina e le lezioni del mio maestro».

Tenore, di nome Luciano, il destino in qualche modo era segnato…

«Io, però, mi chiamo Luciano per nonna Lucia, non per Pavarotti… Poi da ragazzo i miei idoli erano Alberto Sordi, Nino Manfredi, Ennio Morricone, Armando Trovajoli…».

Cita Sordi e Manfredi e mi viene in mente che scorrendo i suoi profili social emerge un suo lato da attore tragicomico, penso ai video che con sua moglie avete fatto durante il primo lockdown.

«Anche Giorgia è cantante, studiamo insieme e nei primi mesi della pandemia ci siamo divertiti a fare brevi video comici che abbiamo postato su Facebook. È stata, però, una parentesi. Il sorriso è una parte fondamentale del mio carattere, il contraltare a questo, però, è l’essere tremendamente serio quando studio: sono l’amministratore delegato della voce che mi ha dato Dio e, dunque, devo rendere conto del talento che ho».

Cos’è per lei il canto?

«È un perfezionamento continuo, uno studio senza fine per migliorare se stessi. La mia sfida quotidiana è quella di superare un solo tenore che si chiama Luciano Ganci. Ogni volta che entro in teatro mi sento un privilegiato per quello che faccio: non cerco il successo, ma solo di essere onesto in ciò che faccio. Obiettivo è dirmi da solo una sera: Hai cantato bene. Per ora non me lo sono ancora detto. Se un giorno poi dovessi entrare in teatro e pensare “quanto mi danno? quando andiamo a casa?” penso che sarebbe finita perché l’arte non può essere merce. E anche questo, fortunatamente, non è ancora capitato».

La chiusura dei teatri le offre una sfida ulteriore, cimentarsi con il cinema.

«Maurizio di Sassonia – mi sono informato, aveva anche un po’ di pancetta – è arrivato prima del previsto: lo avevo in agenda per il futuro, ma il Comunale di Bologna ha accorciato i tempi del debutto:. È un uomo che ama Adriana, ma anche se stesso e gioca sporco per la carriera politica ed esce sconfitto su tutti i fronti, un uomo senza felicità. Interpretarlo davanti ad una macchina da presa è stato strano così come è stranio cantare senza pubblico: come nel calcio a porte chiuse, nei teatri vuoti manca l’energia, il respiro di chi ascolta, l’avvertire la presenza fisica di chi guarda».

L’altra faccia della medaglia dell’opera in tv è di allargare notevolmente la platea.

«È vero. E sarò anch’io davanti al piccolo schermo per rivedermi per la prima volta. C’è anche un rischio: l’opera in tv arriva a due dimensioni. Non solo. Se in teatro si partecipa ad un rito a casa questa sacralità viene meno, suona il telefono, il cane abbaia, i vicini fanno rumore, ci si alza per bere un bicchiere d’acqua. Per questo mi auguro che il pubblico possa tornare presto in teatro».

Nelle foto @Andrea Ranzi (Casaluci-Ranzi) Luciano Ganci in Adriana Lecouvreur

Intervista pubblicata su Avvenire del 10 marzo 2021