Maggio fiorentino, la Salome di Emma Dante una creatura delle fiabe che danza su Onlyfans

L’opera di Richard Strauss diretta da Alexander Soddy inaugura il Maggio musicale fiorentino con Lidia Fridman protagonista Spettacolo tra sogno e incubo della regista siciliana

Man töte dises Weib! «Uccidete questa donna» comanda Herodes. Tragicomico, in bilico sul baratro. E Salome muore soffocata dai capelli – lunghi, lunghissimi che hanno invaso il palco in un intreccio rasta che toglie il fiato solo a guardarlo – di Jochanaan. Immagine potente, di quelle che negli incubi ti sembrano vere e che viste lì, sul palco, per un momento ti fanno sudare freddo, immagine potente che ti resta negli occhi alla fine di un’ora e quaranta (serrata) di spettacolo. Alla fine di una corsa musicale senza tregua – che ti resta impressa nelle orecchie, marchiata a fuoco tanto che la senti risuonare anche una volta fuori dal teatro, in una sera umida che è primavera solo sul calendario – una corsa a perdifiato sino all’orlo dell’abisso. L’abisso dell’uomo. L’abisso di una mente che è un groviglio. Emma Dante ce lo mostra questo groviglio. Materico, concerto in questi capelli lunghissimi di Jochanaan. Groviglio che si fa simbolico. E ci soffoca, insieme con Salome.

Salome. L’opera di Richard Strauss inaugura l’edizione numero ottantasette del Maggio musicale fiorentino – repliche sino al 27 aprile. Sul podio Alexander Soddy che dovrebbe essere il prossimo (dopo Daniele Gatti) direttore musicale della fondazione lirica toscana. Regia di Emma Dante. Che vince e convince quando “fa” Emma Dante. Quando si butta a capofitto nella sua poetica degli ultimi e nella sua estetica in bilico tra il cunto e Cinico tv di Ciprì e Maresco. Quando usa il simbolo per buttarci in faccia la drammatica attualità di una storia – quella di Salome, reinventata da Oscar Wilde, attinge direttamente alla Bibbia, alla “decollazione” di Giovanni Battista colpevole di dire a Erodiade non ti è lecito, non ti è lecito ripudiare tuo marito e sposarne il fratello, Erode. Emma Dante vince e convince quando porta prepotentemente il suo teatro di corpi nella lirica, teatro di corpi e di violenza, di uomini che prendono le donne per i capelli (già visto, certo, sin dalla Carmen scaligera che ha segnato l’esordio lirico della regista palermitana, ma sempre potente e disturbante), di soprusi familiari, di uomini svuotati della loro umanità.

Convince, Emma Dante (che funziona meno in alcuni passaggi che sembrano forzati come il tableux che evoca l’Ultima cena leonardesca o in certe coreografie da parata carnevalesca tra uomini-pavone e danzatrici dei veli come le sincronette in piscina… le coreografie, non indimenticabili per la verità, sono firmate da Silvia Giuffrè) quando fa anche di Salome una delle sue creature, uscite da un vinile delle Fiabe sonore… «A mille ce n’è nel mio cuore di fiabe da narrar…» cantava una voce sinistra, che introduceva i bambini in un mondo tra sogno e incubo. Come, tra sogno e incubo, è la Salome del Maggio. Salome che vive in un mondo di fiaba, in un bellissimo giardino (la didascalia che colloca l’azione su una terrazza della reggia di Erode è, in qualche modo, rispettata nella scena un po’ Giardino di Boboli di Carmine Maringola) popolato da soldati/pupi di ceramica. Salome che sembra una bambola. Ma che è una creatura diabolica. Sottilmente diabolica. Che in cambio della sua danza chiede e pretende e ottiene da un vecchio depravato che si eccita a vedere una ragazzina danzare… un brivido se pensi a chi (e sono tanti) dietro uno schermo, oggi, paga e si eccita vedendo foto e video su OnlyFans… chiede e pretende e ottiene la testa di Jochanaan.

La racconta, violenta, la musica di Strauss. Bellissima. Che Soddy restituisce in tutta la sua potenza tragica. Un muro di suono, di un’orchestra del Maggio musicale (che ha ancora ben udibile l’impronta di Daniele Gatti, che l’ha plasmata e modellata nei suoi anni di direzione musicale) in gran forma (soli sempre affilati e puntuali, assiemi compatti e danzanti). Una folata di note. Inaspettatamente (ma piacevolmente) mahleriana in molti passaggi caricaturali, tragicomici. Perché ha la forza del sorriso inquieto e sinistro il ritratto che Strauss disegna con pennellate di musica che ti avvolgono (la sala del Maggio è generosissima acusticamente). Personaggi da cabaret, come Herodes ed Herodias che Nikolai Schukoff e Anna Maria Chiuri disegnano con una misura esemplare, mai sopra le righe, ma sempre inquieti e inquietanti nel far vedere in controluce (in controluce rispetto al barocco dei quali li riveste Emma Dante con i costumi di Vanessa Sannino) la modernità tragica di maschere sinistre. Caricature come i soldati (non pervenuto il Narraboth di Eric Fennell, praticamente inudibile, peccato…), i giudei e i nazareni che discutono di dogmi mentre il mondo crolla intorno a loro. E mentre rotola la testa di Jochanaan, unica figura tragica della partitura di Strauss, voce di uno che grida nel deserto, profeta che indica una via, la via del Signore… a un mondo (e ti rendi conto che non è solo quello di Herodes ed Herodias, ma è, drammaticamente il nostro) che ha messo da parte ogni tipo di morale. Figura, quella di Jochanaan alla quale conferisce una tragica autorevolezza Brian Mulligan.

Personaggi che Soddy avvolge di musica. Potente e sempre teatrale. Danzante. Come Salome. Alla quale Lidia Fridman offre la sua bellezza tagliente (ipnotica la sua danza, fatta di pochi gesti, ma che catturano) e la sua voce scura che sa svettare in acuto… e Strauss si rivela il repertorio ideale per il soprano russo passata nel giro di una manciata di giorni (arrivata a Firenze per sostituire in corsa la prevista Allison Oakes) dal belcanto della donizettiana Anna Bolena di Venezia al Novecento inquieto della Salome straussiana. Musica potente. Che ti porta sull’orlo del baratro (con Salome Strauss si spinge tanto avanti… e dopo, con capolavori indiscussi come il Rosenkavalier quasi tira il freno a mano, terrorizzato dall’abisso sul quale si era affacciato…) dell’uomo. Per raccontare una vittima, una delle tante, dei soprusi del mondo. Man töte dises Weib! «Uccidete questa donna» comanda Herodes. Voce che ancora oggi risuona tragicamente troppo di frequente.

Nelle foto @Michele Monasta Salome al Maggio musicale fiorentino

Recensione pubblicata in parte su Avvenire del 16 aprile 2025