Milano, Ceretta e la Ort fanno la festa a Mozart

Il direttore milanese e la sua Orchestra della Toscana approdano in Conservatorio a Milano con la Sinfonia Jupiter

Nessun anniversario all’orizzonte. Ma fa sempre piacere festeggiare Wolfgang Amadeus Mozart. In musica, naturalmente. Per ritornare “alle origini”. Per ritrovare le fondamenta della cultura musicale e soprattutto della civiltà europea. E non solo. Mozart. Mozart e Verdi. D’accordo, anche Haydn e Beethoven, Brahms e Mahler. Ma nessuno, come Mozart e Verdi, appunto, ha saputo raccontare, diciamo addirittura mettere a nudo, l’uomo. Nelle loro opere. Melodrammi – ma anche la Messa da Requiem e i Pezzi sacri – per il compositore delle Roncole. Opere – insuperata, per come ha saputo scandagliare l’animo umano, la trilogia Nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte e poi la vertigine di Idomeneo e della Clemenza di Tito – e sinfonie e concerti e mottetti e musica da camera, per il genio di Salisburgo. Celebrato, festeggiato, dall’Orchestra della Toscana in un tour che, oltre alle tappe territoriali di Firenze (Teatro Verdi), Poggibonsi e Piombino, è approdato a Milano, nella Sala Verdi (enorme e in pratica esaurita) del Conservatorio per la stagione della Società dei concerti.

Ritorno a casa, in Conservatorio dove si è formato, per Diego Ceretta, direttore principale della Ort, milanese, classe 1996. Che ha messo sul leggio della sua orchestra, appunto, un programma tutto mozartiano. O quasi. Perché la prima pagina proposta non è specificamente “di” Mozart. Ma è un Hommage to W.A. Mozart di Lera Auerbach, russa, classe 1973. Compositrice e pianista. Ma anche «direttrice, scultrice, poetessa, esponente delle arti visive» come si racconta nel suo curriculum dove si definisce addirittura «artista rinascimentale per i tempi moderni». Definizione impegnativa per la Auerbach che ha voluto intitolare il suo omaggio ad Amadeus Eterniday, gioco di parole tra eternità e giorno, per dire un’immanenza che si fa eternità. Catturata dalla Auerbach nel suo brano, quindici minuti intrisi di contemporaneo, tre movimenti che si ripetono pressoché uguali, arrivano ad un apice che fa pensare alla fine del brano, ma poi da lì ripartono. Un brano ispirato alle pagine giovanili di Mozart che potrebbe essere circolare, ripartire sempre e non finire mai. Una pagina affidata a un quintetto d’archi e a una grancassa in dialogo con l’orchestra che Ceretta riveste, seppur in una scrittura a tratti pesante e possente, di una levità inaspettata.

Appalusi per la Auerbach che, smessi i panni della compositrice indossa quelli della pianista (ma sono sempre quelli, pantaloni neri e una lunga giacca di velluto nero e capelli arruffati) per il Concerto n.20 in re minore per pianoforte e orchestra. Mozart, naturalmente. Allo stato puro. Drammatico, come certi passaggi del Don Giovanni, lirico, intriso di una malinconica poesia, come certe visioni musicali di Idomeneo. Teso nel continuo e ininterrotto dialogo tra orchestra e solista. Non un “accompagnamento” quello che Mozart chiede. Così lo dirige Ceretta che da subito rende protagonista l’orchestra. Un Mozart granitico e allo stesso tempo palpitante, che non ha il suono antico di certa filologia criticamente informata (bella, ma a volte anche fine a se stessa), ma piuttosto un colore che avvolge, un passo che racconta. Teatrale. E in sala, ad applaudire Ceretta e la Ort, Thomas Guggeis, Generalmusikdirektor all’Oper Frankfurt, impegnato al Teatro alla Scala con uno riuscitissimo (anche qui niente filologia fine a se stessa, ma un Mozart autentico e palpitante) Die Entführung aus dem Serail. Mozartiano nelle intenzioni il Concerto n.20 in re minore di Ceretta. Fedele alla scrittura. “Tradita”, invece dalla Auerbach in cadenze che nulla hanno di mozartiano – Mozart non lasciò cadenze autografe, le più eseguite si devono a Beethoven e Brahms. Pensate ad hoc, quelle che la musicista propone, ma non sul testo, romantica (anche troppo) una, intrisa di certo Novecento l’altra. Fuori sincro sulla lettura di Ceretta. Tragica, fedele al re minore della tonalità, ma mai disperata. Drammatica, ma non cupa.

Rischiarata, quella che diventa una riflessione sull’uomo nella rilettura di Ceretta del Concerto n.20 in re minore, dal luminosissimo do maggiore della Jupiter. Arriva nella seconda parte del concerto (dopo che a Milano l’intervallo si è prolungato oltre il previsto per i soccorsi prestati ad uno spettatore caduto in platea – declinante e sghemba nella prima zona di poltrone) la Sinfonia n.41 do maggiore. Perfetta nella sua architettura, che Ceretta restituisce intatta con una Ort che “danza” con lui – puntualissimi e a fuoco gli interventi dei soli. La meditazione dell’Andante, la trasparenza del Minuetto, il fuoco scoppiettante del Molto allegro del finale. Sigillo ad un festeggiamento, inaspettato e ancora più bello, di Mozart.