Firenze, bello e solitario il Don Carlo di Gatti

Al Teatro del Maggio intensa lettura del direttore milanese dell’opera di Verdi messa in scena senza idee da Andò Grandi protagonisti Francesco Meli ed Eleonora Buratto

Resta al di qua del sipario, che scendendo lo taglia fuori da tutto. Lo estranea dal suo stesso mondo. Che, forse, veramente suo non lo è mai stato. Un mondo cupo, scuro e indefinito, che ha i tratti di un disegno. Illusione ottica, proiezione onirica che alla fine svanisce. E lascia il posto al grigio polvere del sipario, sgombro da qualsiasi segno dopo essere stato proiezione di un mondo vuoto e immobile. Un sipario che, scendendo sulle ultime note che si spengono nel silenzio, inghiotte Carlo che, alla fine, è isolato da tutto e da tutti. Come lo è stato per tutta la sua vita – che nella finzione teatrale, per noi spettatori, coincide con il tempo dell’opera, le quasi quattro ore (bellissime) di musica. Solo, Carlo, alla fine del Don Carlo di Giuseppe Verdi. Che è l’opera della solitudine. Dell’incomunicabilità. Dei sentimenti non detti (e quando sono detti portano solo dolore).

Il Don Carlo che ha (re)inaugurato la sala grande del Teatro del Maggio di Firenze, dopo i lavori di completamento del palcoscenico – «una macchina scenica che non ha eguali in Europa», assicura il sindaco di Firenze Nardella, anche se la regia di Roberto Andò non lo ha mostrato in tutte le sue potenzialità, preferendo una scena pressoché fissa. Ultimo titolo del Festival d’autunno dedicato dal direttore Daniele Gatti al Verdi “spagnolo” – prima dell’opera ispirata al dramma di Schiller si sono ascoltati Trovatore ed Ernani (che è una sorta di prequel del Don Carlo). Sala piena, anche di giovani invitati dal sovrintendente Alexander Pereira, per un’inaugurazione rimasta incerta sino all’ultimo per lo sciopero proclamato dai sindacati per il mancato rinnovo del contratto integrativo e per accendere le luci sul «grave stato di crisi economica» del teatro. Sciopero poi scongiurato. E sipario su Don Carlo.

Che è “il” Don Carlo di Daniele Gatti. Il più bello, il più compiuto, il più perfetto. Inedito, perché suona come mai si era ascoltato. Il più verdiano – dopo quello, già intenso e a tratti di inqueta bellezza del 2008 della Scala. Perché il musicista milanese, direttore principale del Teatro del Maggio, restituisce tutta la bellezza (spessissimo) nascosta di questa partitura. Gatti, che fa come sempre un grande lavoro di concertazione sulla partitura, è attento ad ogni minimo dettaglio, sbalza la scrittura verdiana portando in primo piano particolari di un’orchestrazione raffinatissima (e quanti rimandi ad altre partiture verdiane si scoprono!) e facendo “cantare” l’orchestra. Vero narratore di una partitura di sentimenti. Che sono quelli di Carlo, Elisabetta, Filippo, Eboli, Rodrigo, raccontati da Verdi prima di tutto come uomini e donne. E che diventano, nella lettura di Gatti (seguito benissimo dall’orchestra del Maggio), i nostri sentimenti, di uomini e donne di oggi.

Soli. Persi nell’astrattezza delle strutture geometriche, un po’ alla De Chirico, delle scene di Gianni Carluccio (i costumi di Nanà Cecchi, nella loro monocroma cupezza, appiattiscono tutto). Astrattezza che poteva essere una chiave di lettura, ma che resta irrisolta nella regia non pervenuta di Andò – eppure, se non si sa come fare Don Carlo basterebbe ispirarsi ai quadri di Velasquez e il gioco è fatto. Coro statico, protagonisti a fare i soliti gesti da vecchia opera. Concentrati sul canto. Che Gatti, con i suoi tempi solenni, impasta di vita e malinconia. La voce luminosa di Francesco Meli avvolge Carlo che arriva sempre in bilico tra desiderio di vita e rassegnazione. Eleonora Buratto disegna una straordinaria Elisabetta grazie alla sapienza di un canto “antico”, e a un’intelligenza musicale che riveste di passione il canto. Roman Burdenko è un Rodrigo appassionato, Ekaterina Semenchuk una tormentata Eboli. Non molto a fuoco il Filippo II di Mikhail Petrenko, meglio gli altri “bassi”, l’Inquisitore di Alexander Vinogradov e il Monaco di Evgeny Stavinskiy.

Nelle foto @Michele Monasta Don Carlo al Teatro del Maggio