Addio a Radu Lupu, genio del pianoforte

La mani sulla tastiera. Lievi. Il viso sfacciatamente girato verso la sala, quella del Conservatorio Verdi di Milano. Con la sua chioma e la sua barba bianca, la fronte increspata di rughe, quelle di chi medita. Mai un’occhiata alla tastiera. Quasi fosse una sfida. La musica tutta nella testa, quella del Concerto n.3 per pianoforte e orchestra di Bela Bartok. Immagine freschissima nella mente. Eppure era il 2008, con la Filarmonica della Scala. Immagine che racconta il genio di Radu Lupu, il pianista rumeno, il grande, grandissimo pianista, morto a 76 anni. Si è spento domenica 17 aprile, a Losanna, dopo una lunga malattia. Lo ha annunciato, sui suoi canali social, il Festival George Enescu di Bucarest. «Siamo profondamente rattristati nell’apprendere della morte del maestro Lupu, un caro amico del festival, vincitore nel 1967 del Gran premio del concorso Enescu, un musicista che sapeva trasformare la musica in magia» hanno scritto da Bucarest.

Radu Lupu era nato il 30 novembre 1945 a Galati, in Romania, una città vicina al confine con la Moldavia. Le prime lezioni di pianoforte a sei anni con Lia Busuioceanu, il primo concerto pubblico quando aveva 12 anni e si mise alla tastiera per suonare pagine composte da lui. Poi altri studi con Florica Muzicescu e Cella Delavranca e nel 1961 la borsa di studio per il Conservatorio di Mosca dove, fino al 1968, è allievo di Galina Eghyazarova, Heinrich Neuhaus e Stanislav Neuhaus.

Un suono unico. Bello. Bellissimo. Modellato ogni volta sullo stile degli autori che Lupu affrontava. Sul leggio ha sempre avuto i classici del Settecento, i grandi autori romantici, ma anche il tormentato Novecento: Bach e Mozart, Beethoven e Schubert, Schumann e Brahms, Cajkovskij e Mussorgskij, Debussy e Franck, Grieg e Bartok con i grandi concerti e le sonate. Tutte pagine, tutti autori che Lupu affrontava con la sua capacità analitica che lo portava a scavare a fondo nella partitura, offrendo la sua personale rilettura delle partiture più conosciute. I grandi teatri, le sale da concerto più prestigiose e le orchestre più famose: i Berliner philharmoniker di Herbert von Karajan, con i quali Lupu debutta Festival di Salisburgo nel 1978, poi i Wiener, il Concertgebow di Amsterdam, la New York philharmonic, la Chicago symphony, la Cleveland, la Lucerne festival orchestra e la Filarmonica della Scala diretto da Carlo Maria Giulini, Riccardo Muti, Daniel Barenboim, Zubin Mehta.

Molti i riconoscimenti. La vittoria al Concorso pianistico internazionale Van Cliburn nel 1966, all’Enescu nel 1967 e al Leeds International nel 1969. Un Grammy, nel 1996 per le Sonate di Schubert, un Edison award nel 1996 per Schumann e nel 2006 il Premio internazionale Arturo Benedetti Michelangeli.

«Un suono di granito, sempre, anche nei pianissimi estremi. Unico nella lucida disperazione degli adagi di Schubert. Un suono che nessun microfono è mai riuscito a raccogliere, e lui lo spaeva» mi ha scritto un amico appena appresa la notizia della morte di Lupu. «Un suono che non sentiremo mai più».