Salsi, io Macbeth al volante, fedele a Verdi

Il baritono protagonista dell’opera che inaugura la Scala racconta l’attualità del personaggio shakespeariano restituito musicalmente come voleva il compositore

«Oggi, come scrive Giuseppe Verdi in partitura, PPPP, quattro volte piano». Luca Salsi, dopo l’Anteprima giovani di sabato che lo ha visto, applauditissimo, raccogliere un trionfo personale «che scalda il cuore», ricarica le batterie. «Silenzio e riposo prima della Prima» dice il baritono di San Secondo Parmense, protagonista del verdiano Macbeth che stasera alle 18 inaugura la nuova stagione del Teatro alla Scala. «Questo è il tempio della lirica mondiale e inaugurarlo è una gioia che condivido con colleghi che prima di tutto sono amici, Anna Netrebko, Francesco Meli e Ildar Abdrazakov. Ed è anche una grande responsabilità». Tanto più che l’opera, diretta da Riccardo Chailly e con la regia di Davide Livermore, andrà in diretta su Rai1 dove da giorni passa il promo che dice «Luca Salsi è Macbeth». E, sorride il cantante quarantaseienne che il prossimo anni festeggia i venticinque anni di carriera, «fa un certo effetto sentire il mio nome prima del Tg delle 20». Dopo Andrea Chénier del 2017 dove era Carlo Gerard e Tosca del 2019 dove impersonava Scarpia, questa volta Salsi veste i panni del protagonista. «Credo che per un cantante, per un baritono, inaugurare il Teatro alla Scala con il ruolo del titolo sia un sogno che si avvera. Cosa posso chiedere di più? Il problema è quello che uno può far dopo».

Intanto, Luca Salsi, stasera fa Macbeth, un ruolo che ha cantato tantissimo, in tutto il mondo…

«Sì, ma non ci si abitua mai. E non ci si stanca mai di scandagliare la profondità di quello che è il più complesso e affascinante dei personaggi verdiani – e in ognuno dei suoi personaggi c’è qualcosa di noi. Macbeth è del 1847 – Verdi la rimaneggia nel 1865 e noi proponiamo questa seconda versione – ed è l’opera della svolta per Verdi che chiede agli interpreti il declamato perché la musica e la parola scenica per lui hanno la stessa importanza. Se guardi oltre la nota capisci che Verdi crea già il personaggio, l’atmosfera di quello che stai cantando. Nella partitura, l’ho visto sfogliando lo spartito originale, ci sono molte indicazioni che chiedono un colore cupo, addirittura un suono muto, espressione che sembra una contraddizione, ma che dice bene quello che il compositore aveva in mente mettendo in musica la tragedia di Shakespeare».

Dove si racconta il male assoluto incarnato da Macbeth e dalla Lady.

«Macbeth è un generale che combatte in guerra, ma è un debole, controverso e introverso, è una persona fragile. Non è cattivo. Ha sete di potere, è vero, ma viene manipolato dalla moglie che ha più sete di potere di lui. Il male in Macbeth non è in lui, ma il male di Macbeth è la Lady. Il re scozzese di suo è un personaggio debole. Macbeth è anche un uomo solo nella sua follia, nei suoi pensieri. Nella sua visionarietà. Forse è solo pazzo perché crede alle streghe che non esistono, anche se lui pensa di averle viste tanto che non contento va anche a ricercarle per chiedere ancora come sarà il suo futuro. Ma le profezie delle streghe sono solo una costruzione della sua mente, è lui che se le costruisce».

Anche nello spettacolo di Davide Livermore le streghe non ci sono, o meglio, ci sono, ma non hanno la barba, sono persone che potremmo incrociare per la strada.

«Non serve fare nomi e cognomi di uomini di potere o di personaggi della cronaca nera per capire l’attualità di quest’opera. Il male c’è sempre stato, certo oggi i giornali, la televisione, i social ce lo raccontano quotidianamente e ripetutamente. Compito dell’arte, e dunque della musica, è di far riflettere sul nostro presente. Noi proviamo a farlo in questa produzione che è molto faticosa, molto impegnativa. Moderna, perché in scena guido un’auto. Ma quello che conta è la fedeltà alla musica. E qui c’è tutta. Il maestro Chailly, che mi ha fatto il grande regalo di inserire prima del finale la morte di Macbeth con il «Mal per me che m’affidai» della versione del 1847, ha sul leggio l’edizione critica della partitura: ascolterete anche cose nuove, molto belle e interessanti anche per me che ho interpretato Macbeth decine di volte».

E sempre fedele alla partitura verdiana, mai un acuto aggiunto, mai un taglio. Perché?

«È una mia battaglia personale, da sempre. Non sono contro la tradizione, perché se ci sono belle note fuori ordinanza mi esalto anch’io. È un discorso di fedeltà musicale perché in Verdi c’è già tutto. Nella mia aria del quarto atto canto «Pietà, rispetto, onore» non amore, perché nella partitura originale c’è scritto «onore». Le storie di Verdi raccontano i sentimenti che vivevano gli italiani del Risorgimento, onore, rispetto, famiglia, valori validissimi ancora oggi. Per questo occorrerebbe farle studiare a scuola come uno degli esempi più alti di educazione civica».

Macbeth è un’opera sul potere. Pensiamo a quello virtuoso, se potesse essere ministro della Cultura cosa farebbe?

«Farei riaprire tutti i piccoli teatri di cui l’Italia è piena e che da troppo tempo sono chiusi. Aiuterei il territorio destinando fondi a queste piccole realtà per diffondere la cultura e per dare spazio ai giovani talenti perché, chissà, magari in qualche piccolo borgo c’è la nuova Callas o il nuovo Nureyev. La mia carriera, ad esempio, è iniziata in un coro in provincia».

E oggi inaugura la Scala nel ruolo del titolo del Macbeth di Verdi. Cosa chiedere di più?

«Di continuare così. A dare il meglio di me. Sempre».

Intervista pubblicata su Avvenire del 7 dicembre 2021