Il mio Rossini da record alle olimpiadi della lirica

Con Moïse prima volta di Eleonora Buratto al Rof di Pesaro Quinto debutto in un anno per il soprano che faceva rock

«Quasi come un record del mondo. Uno di quei primati che restano nella storia. La mia storia personale, ovviamente». In tempi di Olimpiadi, che tante soddisfazioni hanno dato all’Italia, Eleonora Buratto mette a segno uno di quei «primati che sarà difficile eguagliare: cinque nuovi debutti in dieci mesi. Cinque nuovi personaggi che hanno segnato la mia carriera in questi mesi di pandemia, tra scoraggiamenti e speranze. Un unicum, dettato anche dal completo stravolgimento dei piani che ha portato il Covid». Il soprano mantovano, classe 1982, da settembre dello scorso anno, quando i teatri provavano a ripartire dopo i mesi di chiusure, non si è mai fermata. Aggiungendo alla sua collezione cinque ritratti di donne in musica. «Elvira in Ernani al Festival Verdi di Parma, Fiordiligi del Così fan tutte di Mozart alla Scala e poi con Riccardo Muti al Regio di Torino, Desdemona in Otello di Verdi a Madrid, Aida all’Arena di Verona sempre con Muti». E ora Anaï nel Moïse et Pharaon che, con la bacchetta di Giacomo Sagripanti e la regia di Pier Luigi Pizzi, il 9 agosto inaugura a Pesaro l’edizione 2021 del Rossini opera festival. Che è un po’, il Rof, un’olimpiade della lirica, con i migliori rossiniani oggi in circolazione che si affrontano musicalmente, misurandosi con le partiture del compositore pesarese. «Un personaggio, Anaï – spiega la musicista, che da ragazza cantava in un gruppo rock – che mi sento cucito addosso, perfetto per la mia vocalità. Da nuova rossiniana mi trovo benissimo nella tessitura centrale e poi mi diverto con le agilità. Il Rossini serio era una delle voci nella lista: Cose da fare nella vita. Ora è arrivato e posso metterci una spunta».

Da rockettara a rossiniana, come è stato questo triplo salto mortale, Eleonora Buratto?

«Inaspettato. Da ragazza ascoltavo il rock e cantavo in un gruppo perché ho sempre avuto la passione per il canto. Facevo anche concorsi pop. La musica lirica non mi interessava, la conoscevo, certo, ma anche quando ho deciso di entrare in Conservatorio non riuscivo a capire cosa ci potesse essere di concerto per me e per la mia voce nel melodramma. Poi la folgorazione, ho capito che era quella la mia strada. Studiavo Farmacia, ho lasciato l’università e ho deciso di rinunciare a un lavoro più che sicuro per dedicarmi completamente alla musica. Sempre sostenuta dalla mia famiglia».

Sacrifici? Tanti?

«Tanti. Ma se guardo indietro non rinnego una sola delle scelte che ho fatto. Certo, quando le mie amiche uscivano io spesso non potevo andare con loro perché dovevo rientrare presto e la cosa un po’ mi pesava. Ma poi ho capito che erano rinunce che facevo per qualcosa di più grande, per coltivare il mio talento, un dono che mi è stato dato e che ho il compito di far fruttare. Per fortuna le soddisfazioni non sono mancate e mi hanno ripagato delle fatiche».

Da subito, visto che nel 2009 ha debuttato con Muti a Salisburgo. E oggi canta in tutto il mondo dalla Scala al Metropolitan. Difficile gestire una carriera così?

«Non è una lotta con gli altri, quanto una sfida con se stessi. Non devi mollare un attimo, soprattutto lo studio perché se abbassi la guardia la paghi».

Momenti di sconforto?

«Come no. L’ultimo durante la pandemia perché è stato durissimo vedersi cancellare tutti gli impegni fissati da anni, i nuovi debutti. Ma la vera sfida è stata trovare una motivazione per studiare senza avere la prospettiva di andare in scena».

Cosa l’ha aiutata?

«Un inaspettato spirito di squadra della categoria. Ci siamo aiutati a vicenda tra colleghi, facendo anche videochiamate con amici che non sentivo da anni. Ho sentito di far parte di una comunità».

Quale ritiene sia oggi il ruolo dell’artista?

«Abbiamo la responsabilità di tramandare il grande patrimonio culturale che ci è stato consegnato e di fare appassionare i giovani all’arte. Certo, non possiamo farlo da soli, ma occorre un sostegno innanzitutto da parte della scuola perché formi i giovani e faccia nascere in loro la passione e la musica. Mi piace dire che abbiamo una missione, non possiamo cantare solo per noi stessi, ma per gli altri, dobbiamo essere artisti per tramandare questo patrimonio unico».

Arte e vita dialogano?

«Devono farlo. Nel Moïse et Pharaon qui a Pesaro, ad esempio, Pizzi ha voluto dare un gancio con l’attualità. Nel finale, dove dopo la grande pagina sinfonica che chiude l’opera noi eseguiamo un cantico di liberazione che Rossini compose, ma non si sa se fece eseguire alla prima, dopo uno spettacolo in costumi tradizionali, usciamo alla ribalta con abiti anni Quaranta, per ricordare gli ebrei sopravvissuti ai campi di concentramento nazisti».

Oggi Rossini, ma la sua è una voce donizettiana, verdiana, pucciniana… cosa scegliere?

«Difficile. Sicuramente voglio stare in un ambito che mi permetta di non abbandonare il Rossini serio. E vorrei continuare ad essere la Contessa delle Nozze di Figaro e la Donna Anna del Don Giovanni di Mozart. Sento che la mia voce è sempre più lirica».

Che è stata la chiave della sua Aida, personaggio che ha debuttato in giugno all’Arena di Verona con Muti

«Aida un po’ mi ha stravolto i piani di studio per Moïse, però l’ho fatto volentieri. D’altra parte come dire di no al maestro Muti? Cerco sempre di calibrare la voce con lo studio e la tecnica, per adattarla ai vari ruoli e non affaticarla. E tra un debutto e l’altro metto sempre i miei cavalli di battaglia, Mimì di Bohème e Alice di Falstaff. Arriveranno altri ruoli verdiani, Leonora in Trovatore, Amelia nel Ballo in maschera,+. Ma senza fretta. Come Tosca sono all’orizzonte, li guardo con il binocolo e dico: Aspettatemi».

Nelle foto @Studio Amati/Bacciardi Eleonora Buratto nel Moïse et Pharaon al Rof

Intervista pubblicata su Avvenire dell’8 agosto 2021

Rof 2021: dal Moïse al Gala Florez con Mattarella

Lunedì 9 agosto alle 19 (diretta su Radio3) con Moïse et Pharaon si inaugura l’edizione numero 42 del Rossini opera festival di Pesaro dedicata al regista britannico Graham Vick, scomparso a luglio e autore di storici allestimenti al Rof. Cast stellare per l’opera diretta da Giacomo Sagripanti: Roberto Tagliavini, Erwin Schrott, Eleonora Buratto, Vasilisa Berzhanskaya, Andrew Owens, Monica Bacelli, alexey Tatarintsev, Matteo Roma e Nicolò Donini. Regia di Pier Luigi Pizzi nella cornice della Vitrifrigo Arena, adattata a teatro. Martedì 10 al Teatro Rossini Michele Spotti dirige Il signor Bruschino con la regia di Barbe et Doucet. Cantano Giorgio Caoduro, Marina Monzò e Pietro Spagnoli. Mercoledì 11 si torna all’Arena Vitrifrigo dove debutta Elisabetta regina d’Inghilterra che il regista Davide Livermore rilegge ispirandosi a The Crown. Dirige Evelino Pidò, nel cast Karine Deshayes, Salome Jicia e Sergey Romanovsky. Quattro repliche per ciasun titolo (e tutte trsmesse da Radio3 mentre Rai5 riprende Elisabetta) e per due settimane in programma concerti, recital e Il viaggio a Reims con i giovani dell’Accademia rossiniana. Chiusura il 22 agosto in piazza del Popolo con un gala diretto da Spotti e con protagonista il tenore peruviano Juan Diego Florez che festeggia i venticinque anni dal debutto al Rossini pera festival, avvenuto nel 1996. Per l’occasione a Pesaro arriverà il Capo dello Stato Sergio Mattarella.