In San Marco l’ultimo applauso a Carla Fracci

A Milano i funerali della ballerina scomparsa a 84 anni Commosso addio sulle note della Traviata e di Giselle Monsignor Zappa: «Con la sua danza ha raccontato la vita» Sala: «Milano pesna per lei a un posto nel Famnedio»

Bastano due note. Inconfondibili, anche se suonate sull’organo di una chiesa. Note della Traviata di Giuseppe Verdi. Che, ascoltate così, si fanno preghiera. Ricordo. Sintesi di una vita. Prima il Parigi, o cara, durante l’aspersione e l’incensazione, lo straziante Addio del passato durante la comunione e, alla fine, mentre il feretro esce dalla chiesa, nel controluce della piazza assolta, il Sempre libera, grido di gioia di una ragazza che scopre (per la prima volta) l’amore. Sono risuonate, le note di Verdi, nella basilica di San Marco (la chiesa dove proprio Verdi volle dirigere per la prima volta la sua Messa da Requiem in memoria di Alessandro Manzoni) a Milano. Sono risuonate oggi, per i funerali di Carla Fracci.

«Una morte», quella della ballerina italiana più famosa di sempre, scomparsa giovedì a 84 anni, «una morte che è un’emozione che percorre tutta la città e che suscita echi in tutto il mondo» ricorda l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, nel messaggio alla famiglia letto da don Giuseppe Grampa a inizio della celebrazione. Sulla prima panca della chiesa milanese c’è il marito di Beppe Menegatti. Novantuno anni, ha conosciuto Carla nel 1953 e l’ha sposata nel 1964, dopo undici anni di fidanzamento. Oggi, dopo quasi settant’anni di vita insieme e una morte annunciata dalla malattia, ma arrivata improvvisa, ha gli occhi smarriti. Lo abbracciano, lo accarezzano, lo sorreggono i nipoti Giovanni e Ariele. Figli di Francesco che, stretto alla moglie Dina, non trattiene le lacrime, lui un omone che sembra tanto forte, fragile e indifeso nel dire addio alla sua mamma. Il mondo oggi ««la ricorda, l’ammira, ne medita il messaggio di sublime arte espressiva, di seria disciplina e costante sacrificio, di generosa sensibilità» perché, ricorda ancora monsignor Delpini, «con l’arte della danza, leggera e ardua, ha mostrato che il movimento del corpo può scrivere messaggi d’amore, storie di dolore, canti di preghiera». Ha gli occhi lucidi anche Marisa, sorella di Carla. Ballerina anche lei, gli stessi capelli della sorella maggiore, neri divisi in due da una riga. Gli stessi occhi. Non lascia le mani di Beppe e di Francesco, che ha lo stesso sguardo della sua mamma.

Dopo l’omaggio incessante della camera ardente allestita ieri al Teatro alla Scala, oggi l’aspettano in chiesa, a due passi da casa. Insieme a tanti amici per un ultimo saluto. Quando il feretro entra sul sagrato di San Marco scoppia spontaneo un applauso e rompe il silenzio irreale dell’attesa, in un sabato pomeriggio di ripartenza milanese. Dentro tutti si alzano in piedi. La bara di legno chiaro ricoperta di tante rose bianche è portata a spalla. Quasi fluttua leggera, come è capitato tante e tante volte alla ballerina, volare dai suoi partner in scena. Il feretro attraversa la navata, dove ci sono la storica collaboratrice di Carla Fracci, Luisa Graziadei, tanti nomi della danza di ieri e di oggi, Liliana Cosi che prega con le mani giunte, Anna Maria Prina, Amedeo Amodio, Roberto Bolle, Eleonora Abbagnato, i primi ballerini della Scala. Accanto alla famiglia il ministro della Cultura Dario Franceschini, il sindaco di Milano Beppe Sala, il sovrintendente del Teatro alla Scala Dominique Meyer. La bara di Carla Fracci è ai piedi dell’altare dove ci sono i gonfaloni di Milano, della Regione Lombardia e della Città metropolitana listati a lutto. Le porte della chiesa rimangono aperte per consentire a chi è rimasto fuori, e sono in tanti, di seguire la cerimonia funebre presieduta dal parroco di San Marco, monsignor Gianni Zappa

L’aspersione e l’incensazione mentre risuona la melodia del Parigi, o cara della Traviata. La lettura del Libro dell’Apocalisse, «Io Giovanni vidi un nuovo cielo e una nuova terra… Vidi la città santa, la nuova Gerusalemme». Il salmo 121, «Nella tua casa, Signore, avrò la pace» e ancora Gerusalemme. Il capitolo cinque del Vangelo di Matteo, quello con le Beatitudini. «Oggi accompagnammo Carla sino alle soglie del mistero, quel crinale che deve oltrepassare da sola. L’attende il Signore con le braccia aperte, la chiama per nome, la introduce nella città santa, la nuova Gerusalemme, la città di Dio, dove ci sono sorelle e fratelli che sono stati segno di grazia e amore, generosi attori che con gesti e sguardi hanno comunicato vita» esordisce monsignor Zappa nella sua omelia. «Carla è riuscita a cominucare attraverso una lingua che ha saputo far diventare universale. Chi più da vicino ha conosciuto Carla Fracci, ha collaborato con lei, è rimasto colpito e affascinato dalla sua grazia, e dalla sua leggerezza, ma anche dalla passione e dal coraggio che ha avito sino alla fine, testimoni, racconti al signore il bene che ha ricevuto: questa è la nostra preghiera che accompagna Carla, Carlina per gli amici più cari, all’incontro con il Signore». Nelle Beatitudini, per monsignor Zappa, «Gesù educa lo sguardo dei suoi discepoli per riconoscere la profondità dell’animo delle persone. Dobbiamo farlo anche noi, per intravedere dove e come l’anima danza nel mistero della vita. A volte è una danza lieta e leggera, altre drammatica, accompagnata da lacrime. Immaginiamo che la danza di Carla sui palcoscenici è stata l’espressione della sua danza interiore, del suo dialogo con la vita». E la danza, ha concluso il parroco di San Marco, «ha generato in lei la capacità e la  forza di esprimere eleganza e bellezza del linguaggio del corpo, comunicazione e testimonianza preziosa e per certi aspetti esemplare per tutti noi. La beatitudine che riconosciamo in Carla è questa ricchezza dell’animo, è la sua capacità di comunicare che oggi diventa anche un invito a ingentilire gli animi nostri, a non cedere alla superficialità e alle apparenze. A perseverare nel coraggio dell’autenticità».

La danza arriva anche nella meditazione dopo l’omelia. L’organista fa risuonare le note di Adolphe Adam, quelle inconfondibili dell’entrata in scena di Giselle, il personaggio che Carla Fracci ha reso immortale e che ha portato in tutto il mondo. All’offertorio tocca a Nino Rota, al tema scritto dal compositore per il film Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli. Omaggio ad un altro personaggio interpretato in scena dalla danzatrice. Poi è ancora Verdi a commuovere, lo straziante Addio del passato – ancora la Traviata che Carla amava tanto – accompagna la comunione.

All’ambone sale Giovanni Nuti, autore delle musiche del Poema della croce sui versi poetici di Alda Merini, che Carla Fracci aveva danzato proprio in San Marco meno di due anni fa. Il ricordo dell’amico Paolo Maria Noseda, autore con la ballerina della sua biografia Passo dopo passo, strappa un lungo applauso mentre qualcuno si alza e porta un fiore ai piedi del feretro.

La benedizione di monsignor Zappa accompagna l’uscita (di scena) di Carla Fracci. Ancora portata a spalla sul sagrato, nel controluce della piazza assolata e piena di gente. «In cinque anni ho assistito a tanti funerali, ma mai ho visto una comunità stringersi così con tanto affetto come sta facendo Milano nei confronti di Carla Fracci» dice il sindaco Sala, aggiungendo: «Per lei stiamo pensando al Famedio, ma ovviamente tutto sarà deciso insieme alla famiglia». Francesco ha in mano un mazzo di rose bianche. Le posa accanto al feretro, che non smette di accarezzare. E mentre il portellone dell’auto si chiude, si gira, cerca lo sguardo del padre Beppe e lo abbraccia forte. Hanno tutti e due gli occhi lucidi mentre un applauso saluta ancora una volta Carla Fracci. Poi sale sull’auto per accompagnare nell’ultimo viaggio la sua mamma.