Bolle, ecco il vocabolario della mia danza

Il ballerino, étoile del Teatro alla Scala, pubblica un libro dove si racconta attraverso le parole della sua vita

Un vocabolario, diverse parole per ogni lettera, come in ogni dizionario che si rispetti. Un vocabolario che diventa un’autobiografia, fatta di istantanee. Istantanee di ricordi, di incontri, di fatiche e di gioie. Istantanee di vita. Quelle che Roberto Bolle mette, una in fila all’altra rigorosamente in ordine alfabetico, nel suo nuovo libro, Parole che danzano. Parole ed immagini nel volume in uscita per Rizzoli il 24 novembre e presentato nell’edizione 2020 (tutta in streaming con Bolle collegato da casa a dialogare con Luca Bizzarri) di BookCity.

«Immagini del passato e del presente – ed è stato difficile sceglierle, tutte belle e tutte legate a ricordi. Parole chiave per raccontare la mia vita dove la danza è tutto» racconta Bolle che curiosamente alla lettera D, in corrispondenza della parola danza, scrive poche righe. «La danza è per me tutto che è quasi difficile definire cos’è. “Danza quello che abbiano dentro, la nostra essenza più vera e più pura” diceva Martha Graham. Ed è verissimo. Grazie alla danza sono il Roberto che sono ora. La disciplina mi ha plasmato, ha formato il mio carattere che si è costruito grazie alle emozioni e alle esperienze che la danza mi ha fatto vivere» racconta il danzatore, étoile del Teatro alla Scala. che non può non ricordare Rudolf Nureyev «che quando avevo 15 anni mi scelse per interpretare il ruolo di Tadzio in Morte a Venezia, opera di cui avrebbe dovuto curare la coreografia a Verona. Ero alla scuola di ballo, mi vide in sala e mi chiese di fare alcuni passi. Poi mi fece alcune correzioni. Dopo qualche giorno chiamò la mia famiglia per comunicare che mi aveva scelto. Ci furono, però, dei problemi con i permessi che la scuola non concesse. Piansi disperato, mi sembrava tutto finito. Ma a ripensarci oggi forse è stato meglio così, perché forse non ero ancora pronto per la scena e per lavorare con un uomo dal carattere forte come Nureyev. Avevo 15 anni e comunque essere stato scelto dal più grande mi confermò che quella era la mia strada e che avrei potuto farcela con studio e sacrificio».

Non solo disciplina, però, nel vocabolario di Roberto. Perché alla lettera D c’è anche la parola divertimento. «Fondamentale per andare avanti in questo mestiere fatto di sacrifici. Divertimento e complicità con i miei colleghi, con i coetanei con i quali sono cresciuto in scuola di ballo e in compagnia, ma anche con i tanti giovani che negli anni sono arrivati nel corpo di ballo. Cerco di dare loro spazio nei miei spettacoli, dove voglio proprio comunicare che la danza è divertimento: lo faccio portando il balletto in tv con i programmi su RaiUno, nelle piazze con OnDance e al Colosseo o all’Arena di Verona con i Bolle and friends per dire che la danza non è solo elitaria, ma la si può declinare anche in maniera divertente e leggera» racconta Bolle rivelando che, accanto a modelli di riferimento classici come Nureyev – «aveva una vera e propria ossessione per gli arabesque che disseminava ovunque nelle sue coreografie» – e Michail Barysnikov, ha sempre guardato a Fred Astaire e Michael Jackson. «Guardavo, sino a consumarle, le loro videocassette. Mi hanno ispirato, mi hanno aperto mondi che non erano i miei e mi hanno fatto vedere altri tipi di danza ad altissimi livelli, Fred Astaire con la sua grande classe ed eleganza, Michael Jackson con la sua visionarietà pop. Ma non chiedetemi di fare il moonwalk» sorride.

E parlando di gratitudine Bolle spiega di dover dire grazie «alla mia famiglia per l’esempio che ho avuto, per i valori che ho ricevuto dai miei genitori, per il supporto che mi hanno dato sin dal primo momento in cui ho scelto di intraprendere la strada della danza. E poi ai miei insegnanti, quelli della scuola di ballo e quelli che ho incontrato in scena, a iniziare da Elisabetta Terabust» che nel 1996, a soli 21 anni, lo promosse Primo ballerino del Teatro alla Scala. «Ero timido e alcuni colleghi, approfittando di questo, mi facevano battute alle quali sapevo non avrei risposto» rivela il danzatore che ora guarda con il sorriso a quegli anni e spiega che «tutto sommato la timidezza è anche un lato bello del carattere di una persona. Io mi sono forzato per superarla, andando in scena e in televisione, ma fondamentalmente resto una persona timida».

Alla F di futuro Bolle associa la I di insegnamento. «C’è sempre un tempo per tutto, anche per smettere di ballare. Quando sarà, sarò contento di insegnare o di guidare una compagnia, perché la vita mi ha dato tanto sin da ragazzo. Intanto faccio le prove come insegnante: non sono troppo severo, lo sono più con me stesso in sala da ballo e sul palco» rivela auspicando poi di poter essere «un esempio per i giovani che si avvicinano oggi alla danza, così come per me lo erano i danzatori nei quali cercavo ispirazione da ragazzo». Ai giovani Bolle non nasconde che «si può cadere, in scena o nella vita», ma li incoraggia anche ad «avere la forza d’animo di rialzarsi e trovare un nuovo inizio dopo la caduta».

E confessando una certa pigrizia «per tutto ciò che non è legato alla passione della danza come il mettere in ordine o sistemare casa», Bolle non si sottrae a uno sguardo sulla realtà. «Come artisti non possiamo vivere al di fuori della realtà. In questo periodo siamo stati catapultati in una dimensione diversa e nuova, difficile da gestire soprattutto per chi fa spettacoli dal vivo: non sappiamo quando e come riprenderemo a danzare e sono molte le incognite. Ma sono sempre convinto – conclude – che in fondo al tunnel c’è sempre una luce e che dobbiamo fare di tutto per trarre un insegnamento da quello che stiamo vivendo».

Nella foto @Brescia/Amisano Roberto Bolle in Bolero al Teatro alla Scala

Qui sotto la copertina del libro Parole che danzano

Articolo pubblicato in gran parte su Avvenire del 15 novembre 2020