Con il Bolero di Bolle la Scala torna a danzare

Un gala con Alessandra Ferri e Svetlana Zakharova insieme ai giovani talenti della compagnia scaligera

L’effetto visivo – con l’orchestra sul palco, nella camera acustica di pareti rosse, alle spalle dei ballerini – diventa effetto/significato estetico, per dirla con un linguaggio filosofico. Rende più piena (visibile) la natura della danza. Che è movimento di corpi su un suono, anche il suono del silenzio. Succede che questa pienezza si faccia concreta sul palco del Teatro alla Scala per il Gala di balletto che ha riportato la danza al Piermarini. Mancava dall’8 febbraio, giorno dell’ultima replica della Serata Van Manen-Petit: due settimane dopo la chiusura dei teatri e da allora silenzio. Silenzio di suoni. Silenzio di corpi. Che, in realtà, hanno continuato ad esprimere sentimenti attraverso il movimento. Mentre c’era chi cantava sui balconi i danzatori del Corpo di ballo della Scala (trainati dall’energia creativa di Marco Messina) hanno registrato i loro allenamenti e le loro performance in quarantena, cucite insieme in un video cliccatissimo che ha fatto poi partire sui social l’hastag #wearelascala.

Tanti di quei ballerini hanno postato proprio su Facebook e Instagram l’emozione di ripartire. E in molti sono nel cast di questo Gala sottotitolato Omaggio alla danza in occasione della ripresa delle attività di balletto alla Scala. Definizione azzeccata, perché nel programma c’è “il meglio di…” che, in questi caso non è necessariamente “il meglio della storia della danza”, ma è “il meglio di…” ciò che il Corpo di ballo di Frederic Olivieri (nelle sue diverse direzioni) ha proposto in questi anni. C’è il Corsaro, presentato di recente e portato in tour con le giovani leve della compagnia – e qui, insieme a Martina Arduino e Marco Agostino c’è Mattia Semperboni che con la sua tecnica mozzafiato e i virtuosismi infiniti conquista l’applauso più caloroso della serata (insieme a quello che l’applausometro fa registrare per Roberto Bolle); c’è La bella addormentata di Nureyev, coreografo nel dna degli scaligeri, con il solo lirico affidato a Claudio Coviello; c’è Le parc di Angelin Preljocaj, coreografo che spesso Olivieri ha messo nei suoi cartelloni; c’è il Roland Petit di Carmen per un doveroso omaggio a Zizi Jeanmaire scomparsa a luglio – lo affrontano i primi ballerini Nicoletta Manni e Timofej Andrijasenko. C’è Mauro Bigonzetti (già direttore del Corpo di ballo) che regala una nuova creazione alla compagnia, Do a duet sulle note di Wolfgang Amadeus Mozart con Maria Celeste Losa e Antonella Albano. E ci sono Svetlana Zakharova e Roberto Bolle, lei in una struggente Morte del cigno, lui ipnotico in un infuocato Bolero di Maurice Bejart.

Coreografie ballate tutte in primo piano, nel nuovo assetto del palcoscenico scaligero per garantire il distanziamento degli orchestrali (per i danzatori tamponi e controlli) che non potrebbero essere adeguatamente collocati in buca: musicisti sul fondo del palco, proscenio e zona del golfo mistico (rialzata) a fare da spazio dell’azione. E la musica “da vedere” funziona, fa da scenografia alla danza, rende quasi concreto il suono dal quale il movimento prende forma. David Coleman sul podio, prime parti come il violino di Francesco De Angelis per il solo de La bella addormentata di Petr Il’Ic Cajkovskij, l’arpa di Luisa Prandina e il violoncello di Sandro Laffranchini per il Cigno di Camille Saint-Saëns e il pianoforte di Roberto Cominati per l’Adagio del Concerto n.23 in la maggiore di Mozart che accompagna il passo a due di Le parc. Quello con il sensuale bacio in volo che, alla Scala, si scambiano Alessandra Ferri e Federico Bonelli. L’ex étoile scaligera, che da qualche tempo ha rimesso le punte dopo aver dato l’addio alla danza, si cala perfettamente nello stile di Preljocaj, restituendo, nel tempo fugace di un Adagio, il ritratto di una donna che soffre e ama, abbandonandosi all’altro (partner sicuro e affidabile, Bonelli), consegnandosi a lui con una fiducia disarmante. Malinconica. Come l’addio alla vita che Fokin racconta sulle note di Saint-Saëns, trasfigurando la morte nell’ultima danza di un cigno, passo affidato a un’intensa Zakharova, insuperabile nei port de bras e nello struggimento raggelante di cui trasuda ogni suo gesto.

Temperatura opposta rispetto al calore, che arriva sin dalle luci rosso fuoco che avvolgono orchestra e danzatori, nel Bolero. Sul tavolo rotondo di Bejart torna a salire Roberto Bolle, ipnotico come la musica di Maurice Ravel che nasce dal nulla, cresce, avvolge e travolge tutto quello che incontra. Come l’energia che un Bolle in continua crescita interpretativa, mette in questo capolavoro della danza: energia che contagia i ballerini del Corpo di ballo – i quattro solisti sono Gabriele Corrado, Nicola Del Freo, Massimo Garon e Christian Fagetti – e il pubblico, investito da un’onda di danza, tutta in primo piano, che arriva in platea e torna sul palco con un applauso lungo dieci minuti.

Nella foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala Roberto Bolle in Bolero

Articolo pubblicato in parte su Avvenire del 26 settembre 2020