Nella Nona di Chailly il suono di un nuovo inizio

Con Beethoven alla Scala il grazie al personale sanitario Musica per lenire il dolore vissuto da tutti in questi mesi

Milano è di poche parole. E, oggi più che mai, non è una frase fatta o un luogo comune, di quelli che vogliono il capoluogo lombardo come la città del fare. La concretezza, per la quale non servono parole, questa volta è una concretezza del cuore. Basta un «Benritrovati» detto dal podio del Teatro alla Scala da Riccardo Chailly con una voce increspata dall’emozione per capire che il cuore è andato oltre. Ha superato l’ostacolo del dolore. Che c’è ancora, intendiamoci: ce lo raccontano quotidianamente i bollettini medici. Ma che è diventato, forse, parte della vita. Come accade (dovrebbe accadere) sempre, perché si impara a vivere (o a con-vivere) non “nonostante” il dolore, ma “con” il dolore.

Un «Benritrovati», quello di Riccardo Chailly, che è un saluto ai musicisti di orchestra e coro che hanno ritrovato la loro “casa”, il Teatro alla Scala, dopo più di sei mesi. Ma che detto al personale sanitario seduto in platea e nei palchi (ritrovati dal vivo dopo che giornali e tg ci hanno mostrato i loro volti segnati dalle mascherine e dalla fatica) diventa un «grazie» per tutto quello che hanno fatto (e che fanno ancora) per fronteggiare in prima linea l’emergenza Covid. Per loro è risuonata la Nona sinfonia di Ludwig van Beethoven, pagina che riporta orchestra e coro sul palco del al Piermarini dopo i concerti da camera di luglio e dopo la Messa da Requiem portata in Duomo a Milano, a Bergamo e a Brescia per ricordare le vittime dalla pandemia.

«Mi auguro che la musica di Beethoven e i versi di Schiller che inneggiano alla fratellanza possano un poco lenire il grande dolore che tutti noi abbiamo vissuto in questi mesi» dice – con poche parole – il direttore prima di attaccare la Nona che parte con un suono informe, quasi di un’orchestra che accorda. Il suono di un nuovo inizio. Che prende forma, anche simbolicamente, nello spazio fisico dove tutto si era bruscamente interrotto: orchestra e coro sono sul palco, distanziati (come ormai siamo abituati a vedere, leggio singolo, più di un metro tra una sedia e l’altra) e collocati in una nuova camera acustica (che supera la prova), realizzata con le scenografie del Trovatore (pareti rosse per l’allestimento che Alvis Hermanis aveva ambientato in un museo) che era in cartellone il 23 febbraio quando venne imposta la chiusura dei teatri e la recita dell’opera di Verdi cancellata a mezz’ora dall’inizio.

Chailly distilla le note di Beethoven proprio come un balsamo per l’anima, specie nell’Adagio, che arriva come una brezza leggera – nella Bibbia il profeta Elia riconosce Dio non nella potenza del terremoto o nel calore del fuoco, ma nella «voce di silenzio svuotato» della brezza. Per poi affidare uno sguardo di speranza ai «canti più graditi e pieni di gioia» che, questa volta, non sono un’esplosione sonora (le voci soliste sono quelle di Krassimira Stoyanova, Ekaterina Gubanova, Michael König e Tomasz Konieczny, il coro preparato da Bruno Casoni), ma, anche qui, quasi una voce interiore che piano piano cresce e si libera per cercare un senso alla vita e a ciò che abbiamo vissuto (e stiamo vivendo) in colui che «deve dimorare sopra le stelle».

Un Beethoven diverso da come siamo abituati ad ascoltare (anche nelle letture analitiche e ancorate al testo – e ai metronomi – di Chailly), quasi rarefatto e trasparente, dai contorni sfumati ai quali ciascuno è chiamato a dare forma, mettendo a fuoco un racconto attraverso gli occhi della (proprio) vita. Per farlo parlare al nostro presente. Per fargli dire (e farci dire) qualcosa sul tempo che verrà. Tempo nel quale provare a dare forma a una fratellanza – Schiller invita a «stringersi a milioni» in un «bacio di tutto il mondo» – che ancora manca e che (a guardare gli egoismi che graniticamente sopravvivono) nemmeno la pandemia, al di là di canti sui balconi e dei ritornelli all’«andrà tutto bene», non è riuscita a farci costruire. Rimettendosi in ascolto di Beethoven.

Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala la Nona di Beethoven diretta da Riccardo Chailly