Alla Scala una staffetta a passo di danza

Riuniti in una serata cinque lavori di Petit e Van Manen affidati a Roberto Bolle e ai giovani talenti scaligeri

Il gioco – perché, in fondo, l’arte è un gioco, raffinato, intellettuale, “da grandi”, appagante per la mente oltre che per i sensi – potrebbe continuare all’infinito. Un continuo passaggio di testimone come in una staffetta. Oppure, se dal gioco di squadra passiamo all’uno contro uno, una partita di tennis, con la palla ora in una metà campo, ora nell’altra. Una di Roland Petit. L’altra di Hans Van Manen. Allievo e maestro. Ma non solo. Compagni di squadra al Ballet de Paris prima. “Avversari”, poi, sui palcoscenici di tutto il mondo. Oggi ancora uno di fronte all’altro sul terreno di gioco del Teatro alla Scala. Attraverso la loro arte e la loro danza. In carne ed ossa l’ottantottenne olandese (applaudito alla prima dopo aver lavorato in sala con gli scaligeri), con lo spirito di cui è pervasa ogni sua coreografia il francese scomparso nel 2011. Un passaggio di palla (o di testimone) che Frédéric Olivieri ha cucito su misura per il Corpo di ballo scaligero sfoggiando i talenti di casa nella Serata Van Manen-Petit che raccoglie cinque lavori dei due corografi.

Si parte con lAdagio Hammerklavier che Van Manen ha costruito sull’Adagio della Sonata n.29 in si bemolle maggiore, la cosiddetta Hammerklavier appunto, di Ludwig van Beethoven: un lavoro che è un ricamo perché ogni passo è modulato sulla musica, sulle dinamiche e sui colori che escono dalla tastiera, ad ogni nota (caratteristica imprescindibile del linguaggio del coreografo olandese) corrisponde un gesto, sempre intonato. Tocca poi a Roland Petit e al suo Combat des anges, passo a due tratto da Proust, dolente addio di due anime sulle note dell’Elegie di Gabriel Fauré. La palla passa di nuovo a Van Manen e al suo geometrico e caleidoscopico Kammerballett (i danzatori si muovono tra Domenico Scarlatti e John Cage) che lascia poi posto all’ironia di Sarcasmen ispirato dall’omonima pagina di Sergej Prokof’ev. Chiusura con il botto (perché arriva la star in locandina, Roberto Bolle, ma anche perché c’è un morto in scena) con Le jeune homme et la mort di Petit che fa diventare danza un soggetto esistenzialista di Jean Cocteau sulla Passacaglia in do minore di Johann Sebastian Bach.

Il bianco e il nero di Adagio Hammerklvier (rischiarato dalle collane di brillanti, omaggio alla luce con la quale George Balanchine incorniciava i suoi danzatori) che apre la serata si trasfigura nei colori espressionisti del Jeune homme et la mort dopo essere passato per le tinte autunnali del Kemmerballett e per il nero “da sera” di Sarcasmen. Colori che sono anche la temperatura emotiva delle corografie della Serata, tutte o quasi (ma anche Le jeune homme et la mort sembra non avere tempo nella soffitta metafisica e sui tetti parigini in cui si svolge) atemporali, astratte, fogli bianchi sui quali ogni spettatore può scrivere la propria storia.

I danzatori scaligeri lo fanno alla perfezione, mettendo la loro maturità di interpreti (che nel tempo si sono confrontati con i classici di eri e quelli di oggi) a servizio del linguaggio di Petit e Van Manen. E se il linguaggio del coreografo francese è sempre stato “parlato” dai ballerini milanesi, quello di Van Manen era pressoché nuovo (solo due passaggi scaligeri per Adagio, nel 1984 e nel 1985) per la compagnia. Assimilato senza problemi e restituito in un confronto ravvicinato capace di mostrare le interconnessioni tra i due artisti. Tutta giovane la locandina, con primi ballerini e solisti impegnati trasversalmente su vari titoli. Tutti cresciuti alla scuola di Roberto Bolle, étoile scaligera sempre attento alle nuove leve di danzatori (li ospita in tv e nei suoi gala), che qui torna a vestire la pettorina di jeans de Le jeune homme di Petit: fisico scultoreo e interpretazione marcata per Bolle che lotta con la Mort impersonata, sotto il caschetto nero, da Nicoletta Manni. Qui fredda e determinata, divertita e spiritosa, invece, nel Sarcasmen accanto ad un entusiasmante Claudio Coviello: il danzatore mette grinta ed energia, una carica di ironia e spacconaggine inedite (la tecnica è quella impeccabile di sempre) che calamitano l’attenzione per tutto il lavoro e lo restituiscono trasfigurato rispetto alla poesia malinconica che si fa gesto ed espressione lunare nel Petit del Combat des anges dove dialoga con Marco Agostino.

Maria Celeste Losa e Nicola Del Freo disegnano con una liricità che conquista i complessi intrecci di Adagio insieme ad Agnese Di Clemente, Francesca Podini, Gabriele Corrado e Gioacchino Starace. Il nero, il giallo, il marrone e l’arancione (che si mischiano in una tavolozza autunnale) per le quattro coppie di Kammerballett dove la geometria delle forme e del movimento dialoga con la fisicità dei corpi che (ci) raccontano emozioni. Un linguaggio classico portato ai limiti estremi (per sostenerlo occorre buona tecnica), ma senza mai tralasciare la perfezione estetica. A dar forma alle emozioni (contrastanti) una dolente Alessandra Vassallo in coppia con l’imperturbabile Gabriele Corrado, una fragile e lunare Francesca Podini alla quale tiene testa con grinta e verità disarmante Marco Messina, Domenico Di Cristo e Gioacchino Starace che fronteggiano Antonella Albano e Chiara Fiandra.

Balletti da camera, senza orchestra, ma con solisti in buca e sul palcoscenico: il pianoforte di James Vaughan per i tre titoli di Van Manen (Beethoven, Scarlatti e Prokof’ev), ma anche per il Fauré di Petit con il violoncello di Alfredo Persichilli. Il Bach della Passacaglia de Le jeune homme et la mort con l’organo di Lorenzo Bonoldi.

Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala la serata Van Manen/Petit