Chailly, vi faccio ascoltare un Puccini mai sentito

Il direttore milanese porta al Teatro alla Scala Manon Lescaut nella versione originale andata in scena a Torino nel 1893 Ambientata in una stazione ferroviaria la regia di Pountney Tosca nell’edizione di Roma del 1900 aprirà la nuova stagione

Manon Lescaut abita in una stazione ferroviaria. Almeno per il regista britannico David Pountney che firma il nuovo allestimento dell’opera di Giacomo Puccini in scena da domenica 31 marzo (e sino al 27 aprile) al Teatro alla Scala. Una stazione di epoca vittoriana – il libretto ispirato al romanzo epistolare dell’abate Prevost colloca l’azione nella Francia della seconda metà del diciottesimo secolo – perché Pountney trasporta le vicende di Manon e Des Grieux (lei ragazza destinata al convento attratta da lusso e ricchezza, lui giovane studente che si innamora perdutamente) nell’epoca in cui il melodramma fu composto, fine Ottocento: Manon Lescaut andò in scena la prima volta il 1 febbraio 1893 a Torino. «Non è una decisione originale – ammette il regista, forse avendo ben presente che la stessa ambientazione l’aveva scelta Davide Livermore per la sua Manon al San Carlo di Napoli  –, ma logica perché la musica è legata alla fine del XIX secolo quando la stazione era un luogo di instabilità sociale, dove si mescolavano le classi sociali, un luogo dove alcune decisioni morali possono essere prese fuori dalle convenzioni sociali».

Quattro atti tutti ambientati tra i binari grazie alle scene da kolossal di Leslie Travres (i costumi alla Casa Howard di James Ivory sono di Marie-Jean Lecca): una stazione con treno che parte al posto della locanda di Amiens, una carrozza di prima classe invece del salotto parigino di Geronte, una stazione abbandonata a evocare la landa desolata americana dove Manon muore. L’eroina avrà il volto e la voce di Maria José Siri, Des Grieux è Marcelo Alvarez, mentre Massimo Cavalletti interpreta Lescaut, «il fratello cattivo che considera la ragazza una fonte di denaro e in buona sostanza la vende al vecchio e ricco Geronte» come spiega Pountney.

Sul podio Riccardo Chailly che anche in questa tappa dell’integrale delle opere di Giacomo Puccini (la Decca sta documentando tutto in dvd) ha scelto di proporre la prima versione del melodramma, «quella andata in scena nel 1893 a Torino che presenta ben 137 battute in più rispetto all’edizione che siamo abituati a sentire. Le ha messe nella sua edizione critica del 2005 Roger Parker e le ho eseguite per la prima volta nel 2008 all’Opera di Lipsia» racconta Chailly che alla Scala ha già proposto la prima versione della Madama Butterfly, «quella andata in scena solo la sera della prima, il 17 febbraio 1904 a Milano, ma subito modificata da Puccini visto l’insuccesso raccolto», e di Fanciulla del west. «La prossima tappa sarà il 7 dicembre, per l’inaugurazione della prossima stagione, con Tosca che proporremo sempre grazie all’edizione critica di Parker nell’edizione di Roma del 1900» annuncia il direttore milanese da sempre impegnato nella riscoperta di versioni inedite delle partiture. «Non è solo passione per la ricerca che mi porta ogni volta a cercare di proporre le prime versioni delle opere, ma una sorta di dovere per la mia generazione che ha il privilegio di avere a disposizione edizioni critiche stampate. Musicalmente e storicamente le prime versioni sono fondamentali da conoscere per capire cosa è successo la sera della prima e come si è evoluto poi il percorso del compositore».

Manon Lescaut fu il primo vero successo di Puccini che, reduce dai fischi raccolti alla Scala nel 1889 con Edgar voleva dimostrare di essere un grande compositore. Scelse un soggetto già messo in musica da Jules Massenet «superando alla prova dei fatti il compositore francese e vincendo nettamente la sfida» sorride il direttore milanese. «Sono diverse e spesso sostanziali le differenze della prima versione di Manon rispetto a quella che ascoltiamo solitamente – riflette Chailly –. Tra quelle che più saltano all’occhio c’è sicuramente il finale del primo atto che si conclude in maniera antitetica rispetto a quello che conosciamo. C’è un cataclisma musicale, un accelerando distribuito su ben sei pagine di partitura difficilissimo da ottenere visto che sono coinvolti 250 esecutori tra orchestrali e coristi. C’è il tema della romanza di Des Grieux Donna non vidi mai affidato a tre tromboni che fa da tappeto. Su questo si innestano l’orchestra con un diverso ritmo e il coro e i solisti ancora con un diverso ritmo ancora: c’è una forma tripartita di tre ritmi diversi. Un cambiamento epocale per l’epoca e che staccava nettamente rispetto all’inizio lezioso e ammiccante al Settecento del secondo atto. Forse anche per questo Puccini ha voluto rimaneggiarlo su indicazione di Ricordi» spiega Chailly sottolineando che «il musicista toscano ha lavorato per vent’anni alla partitura di Manon dopo la prima del 1893 e ne ha fatte otto diverse versioni».

Un’altra differenza evidente rispetto all’edizione che si esegue abitualmente è la grande aria del quarto atto di Manon, Sola perduta e abbandonata. «Aria difficile perché arriva al termine di tutta l’opera che impegna e non poco il soprano. Qui, poi, è più lunga con frasi aggiunte e soprattutto ha un postludio nel quale l’orchestra fa una perorazione contro il destino, un grido drammatico, un commento sinfonico alle parole Non voglio morire che, ripetute più volte e in modo disperato dalla protagonista, chiudono l’aria» racconta Chailly che parla poi di un’altra meditazione presente nell’opera. «Puccini ha sempre insistito perché l’Intermezzo tra il secondo e terzo atto, una pagina che ha un attacco di una bellezza folgorante, venisse fatto a sipario chiuso: voleva che il pubblico facesse un viaggio interiore, emotivo e personale su ciò che era avvenuto nei primi due atti. Un momento di meditazione. Anche il questa edizione l’Intermezzo si ascolterà a sipario chiuso: è la prima cosa che ho chiesto a Pountney quando ci siamo trovati per parlare della regia» fa sapere il direttore ricordando poi che «il terzo atto, dove c’è il più grande concertato di tutta l’opera e il momento più alto dell’opera, venne eseguito interamente da Arturo Toscanini durante il concerto che l’11 maggio 1946 riaprì il Teatro alla Scala ricostruito dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale».

Un concertato, rivela Chailly, «che Puccini compose solo dopo aver completato l’opera. La scena dell’appello delle prostitute che devono essere deportate in America era il tassello miracoloso per grandezza musicale che mancava all’opera e che il compositore scrisse ispirato dalla descrizione dei lamenti dei pazienti di un manicomio: frasi staccate, separate una dall’altra che si alternano in maniera asimmetrica e aritmica in un costrutto originalissimo». Diverse le autocitazioni di Puccini che «come faceva Gioachino Rossini, usa suoi materiali giovanili: il madrigale è parte di una messa a quattro voci, l’aria Donna non vidi mai nacque come esame di composizione in conservatorio, un brano per voce e pianoforte».

Un’opera, riflette Chailly, «difficilissima da dirigere per chi dal podio deve tenere le redini di orchestra, coro e solisti. In questo teatro Manon Lescaut manca dal 1988 e ventun anni sono tantissimi per un’opera così popolare. Si sentono. Tanto più che in vent’anni almeno la metà di orchestrali e coristi sono cambianti. Siamo dunque partiti da zero, come fosse una partitura mai eseguita: avere sul leggio la versione originale ha sicuramente aiutato questo approccio.  e anche la versione inedita ha aiutato» racconta Chailly ricordando che «la prima incisione discografica di Manon Lescaut è del 1930 ed è proprio con orchestra e coro della Scala: tempi più veloci di quelli che si eseguono oggi, tempi che, vista la vicinanza temporale e interpretativa con l’autore, farebbero pensare a ciò che voleva davvero Puccini. Tempi che ritroviamo nell’edizione critica di Parker che propone i metronomi originali pucciniani».

Approccio che continua nella strada tracciata della proposta dell’integrale delle opere di Puccini indagando le versioni originali. «Progetto che – conclude Chailly – si proietta sugli anni futuri. Se saremo ancora qui sarebbe bello portare in porto la scommessa di proporre l’opera integrale pucciniana. Ci crediamo e speriamo di poterci arrivare presto».

Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala Manon Lescaut