La Scala rispedisce a Riad i fondi dell’Arabia

Il teatro blocca la trattativa per l’ingresso in cda dei sauditi Confermato sino alla scadenza del 2020 il contratto di Pereira ma è già aperta la partita per il nuovo sovrintendenete

Niente soldi sauditi (per ora) nelle casse del Teatro alla Scala. E quelli che sono già arrivati saranno immediatamente rispediti al mittente. Il consiglio di amministrazione del Teatro alla Scalalunedì ha detto no all’unanimità ai 15 milioni di euro offerti dall’Arabia Saudita in cambio di una poltrona nel cda della fondazione lirica milanese. Bloccate, di fatto, le trattative con Riad del sovrintendente Alexander Pereira. «Ad oggi si ritorna al punto zero» ha annunciato il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, al termine di quella che doveva essere una resa dei conti (anche politica) sul sovrintendente e che lo è stata, però, solo in parte. Pereira, contro il quale molti hanno puntato il dito per la leggerezza con la quale ha gestito la vicenda Arabia – Sala, che in queste settimane non ha mai scaricato il manager austriaco, la chiama ingenuità –, resta al suo posto sino al 2020, quando scadrà il suo contratto partito nel 2015.

«Restituiamo i soldi ai sauditi. Vedremo se ci saranno altre possibilità di collaborazione» ha fatto sapere il sindaco, presidente del cda della fondazione lirica milanese, non chiudendo a future trattative, ma annunciando che verranno subito rispediti al mittente i due bonifici da tre milioni e da centomila euro fatti lo scorso 4 marzo dal ministro della Cultura di Riad Badr bin Abdullah bin Mohammed Al Farhan: un versamento «non conforme alle norme del teatro» e fatto «senza una causale nel bonifico». Congelata l’ipotesi di legare i fondi ad uno sponsor (si ipotizzava una banca o una compagnia petrolifera) così come la possibile collaborazione per la realizzazione di un Conservatorio nella capitale saudita, progetto che avrebbe dovuto portare nelle casse della Scala altri 7 milioni di euro che sarebbero andati ad aggiungersi ai 15 che, per statuto, occorre versare nell’arco di cinque anni per avere un posto in consiglio di amministrazione: sulla vicenda dovrà esprimersi il cda dell’Accademia del Teatro alla Scala che dovrebbe gestire la struttura. Resta invece confermata una tournée a Riad nel 2020 con una Traviata in forma di concerto diretta da Zubin Mehta.

Consiglieri compatti nel provare a chiudere la questione dei fondi arabi, diventata subito un caso politico con tanto di interrogazioni parlamentari (da Forza Italia a LeU) e di richiesta di licenziamento in tronco del sovrintendente Pereira da parete della Lega. Indignazione bipartisan per il possibile ingresso nel cda scaligero di un rappresentante del governo di un paese in cui libertà e diritti umani sono spesso calpestati: il nome di Jamal Khasoggi è quello più citato come esempio in queste settimane. In una conferenza stampa nel foyer dei palchi del teatro il sindaco Sala ha raccontato che «la decisione è netta e precisa perché i fondi di Riad sono arrivati senza che il consiglio fosse al corrente che stessero arrivando. La restituzione blocca ogni discussione dell’ingresso dei sauditi nel cda della Scala» non chiudendo però a possibili trattative in futuro. «Se qualcuno ritiene che coi sauditi non si debba parlare non siede in questo cda. La Scala ha sempre parlato con tutti i Paesi del mondo» ha spiegato il sindaco.

«Noi non abbiamo preclusioni verso i sauditi. Non diciamo che con loro non si parla perché  se facessimo l’elenco dei paesi con cui non si parla per una serie di ragioni questo elenco sarebbe probabilmente lunghissimo. O il nostro governo ci dà una black list dicendo con questi e altri non parlate o non ci sentiamo di dire no» ha riflettuto ancora Sala ribadendo che il no di ieri è arrivato «perché i fondi sono stati versati senza che il consiglio fosse al corrente che stessero arrivando». Una decisone presa all’unanimità dai consiglieri riuniti in teatro per quella che doveva essere una resa dei conti (anche e soprattutto politica) sul sovrintendente, ma che lo è stata, però, solo in parte. Nessuno in consiglio ha chiesto le dimissioni del sovrintendente. Nemmeno Philippe Daverio, rappresentante della Regione Lombardia: ancora domenica il governatore Attilio Fontana aveva definito il comportamento di Pereira «da licenziamento».

Dunque il mandato del sovrintendente non è per ora in discussione. Pereira, che avrebbe potuto passare alla storia come il primo manager licenziato non per aver creato un buco di bilancio, ma per aver portato soldi nelle casse del teatro, è nel mirino anche per le perdite registrate nell’ultimo anno dalla biglietteria con gli incassi che, nonostante l’aumento del numero di recite (in alcune, però, i posti invenduti sono arrivati a 700), sono passati dai 39 milioni di euro del 2017 ai 35 del 2018. Un calo che, in realtà, arriva dopo anni in cui gli spettatori sono passati dai 330mila del 2013 ai 450mila del 2018. Il sovrintendente – chiamato a suo tempo a Milano anche per la sua fama di catalizzatore di sponsor – ha dalla sua, però, l’aumento dei contributi privati. Lo dimostra anche il caso saudita. «Nelle relazioni con l’Arabia Pereira si è mosso in buona fede dal punto di vista della ricerca di partnership, ma la vicenda gli è scappata di mano» ha commentato ancora sala imputando al manager austriaco «una grande ingenuità: è in Italia da un po’ di anni e dovrebbe capire il meccanismo».

Il sovrintendente dunque resta al suo posto sino al 2020, quando scadrà il suo mandato partito nel 2015. Certo è che, dopo il caso Arabia, la riconferma sino al 2022 a cui puntava il manager austriaco diventa difficile. Ed è proprio su chi dovrà prendere il posto di Pereira che si scatena la lotta politica sulla Scala, quasi un braccio di ferro tra Comune di Milano e Regione Lombardia, centrosinistra da una parte e centrodestra a traino leghista dall’altra. Sala non ha mai scaricato Pereira in queste settimane di polemica sulle trattative con Riad quando molti hanno stigmatizzato il possibile ingresso nel cda scaligero di un rappresentante del governo di un paese in cui i diritti umani sono spesso calpestati. Fontana ha portato avanti la linea di Salvini che ha da subito chiesto la testa del sovrintendente. Di certo da tempo, almeno dagli anni Novanta, non si vedeva una battaglia politica così accesa intorno alla Scala: dopo le lottizzazioni partitiche era venuto il tempo dei manager, prima con Stephane Lissner e poi con Alexander Pereira.

Ora la partita, confermato Pereira sino al 2020, è tutta da giocare. Da subito le parti mettono in atto le proprie strategie per avere l’ultima parola su chi gestirà il teatro lirico più famoso del mondo. Lunedì, chiuso il caso saudita, il cda ha preso in esame la lista di possibili candidati alla sovrintendenza stilata dalla società Egon Zehnder. Una decina i nomi: tra loro Carlo Fuortes sovrintendente dell’Opera di Roma, Fortunato Ortombina della Fenice di Venezia, Dominique Meyer dell’Opera di Vienna, Serge Dorny dell’Opera di Lione, Peter Gelb del Metropolitan di New York e Filippo Fonsatti direttore dello Stabile di Torino. Ma non è detto che tra questi ci sia il prossimo sovrintendente perché forse non tutti ambiscono alla poltrona scaligera con tutte le implicazioni artistiche e politiche che comporta. «Entro un mese e mezzo saranno sondate le loro disponibilità» ha concluso Sala auspicando per il futuro una separazione di ruoli (oggi ricoperti entrambi da Pereira) tra sovrintendente e direttore artistico. Prossimo match in programma, dunque, a maggio.

Il pezzo riassume due articoli pubblicati il 19 marzo sul quotidiano Avvenire