Semiramide a Venezia e il perché di un anniversario

Diario rossiniano. 10

Alla Fenice l’opera che debuttò proprio in Laguna nel 1823 Riccardo Frizza esalta la  bellezza di Rossini con le voci di Jessica Pratt, Alex Esposito, Teresa Iervolino, Enea Scala

Viene da chiedersi: a cosa serve un anniversario? Uno dei tanti che ogni anno si celebrano. Il monopolio del 2018, nonostante le molte ricorrenze illustri, è sicuramente di Gioachino Rossini: il 13 novembre saranno centocinquant’anni dalla sua morte e tutto il mondo, già da mesi, celebra il compositore di Pesaro. Lo fa (più o meno) anche l’Italia. Dove alcuni teatri sembrano essere i grandi assenti. Altri, invece, come si dice, sono sul pezzo. Come il Teatro La Fenice di Venezia. Che in questi giorni ha in cartellone due titoli che raccontano le due facce dell’autore: c’è il Rossini pop (quello comico che ti fa uscire dal teatro con il sorriso) de Il barbiere di Siviglia e c’è il Rossini a tiratura limitata, per collezionisti (ma, forse, non troppo vista la bellezza vertiginosa della musica che conquista dalla prima all’ultima nota) di Semiramide. Titolo, quello che va sotto l’etichetta del cosiddetto Rossini serio, che fu scritto proprio per Venezia: la prima alla Fenice il 3 febbraio 1823 con la Colbran.

La partitura autografa, scampata all’incendio del 1996 (per la cronaca, il sovrintendente Fortunato Ortombina ha voluto ospiti d’onore alla prima i due tecnici del teatro che, prima che arrivassero i Vigili del fuoco, hanno spento il principio d’incendio dello scorso 1 ottobre che ha fatto tornare la paura in teatro), è ora esposta nelle Sale Apollinee. Due teche incastonate in una vela di legno nero e led luminosi, ognuna delle quali contiene il volume di ciascun atto del dramma che il librettista Gaetano Rossi trasse dalla Tragédie de Sémiramis di Voltaire.

Guardando l’autografo rossiniano ecco la domanda: a cosa serve un anniversario? A tante cose, certo. Ma sicuramente a togliere dal museo un autore e la sua musica, facendoli dialogare con il nostro presente. Perché se l’arte non ci parla e non ci interroga si svuota di senso e non adempie alla sua missione. La Semiramide della Fenice assolve, in parte questo compito. Sul fronte musicale sicuramente, non, però, su quello scenico.

Chi è (chi sarebbe) la regina babilonese oggi? ti chiedi. Ma lo spettacolo di Cecilia Ligorio non aiuta nel rispondere. Quella della regista veronese sembra essere solo una lettura estetica, a volte elegante, altre nemmeno poi così appagante per gli occhi. Una lettura a tratti tragicamente comica dove non dovrebbe esserlo (le effusioni amorose cui è costretta Semiramide durante la sua aria Bel raggio lusinghier, i congiurati con in testa cappello e veletta nera da apicoltori), spesso eccessivamente caricaturale nella caratterizzazione di alcuni personaggi – Assur su tutti, ma anche Oroe che sviene, non si capisce perché, due volte in proscenio – che in Rossini sono uomini e donne che amano e soffrono, non solo pedine impazzite di un gioco al massacro. Regia che mescola antico e moderno in un racconto astratto (costumi senza tempo di Marco Piemontese), contrappuntato dalla danza (e anche qui l’estetica non si traduce in contenuto, in necessità drammaturgica), in una scenografia/contenitore (oro nel primo atto, nera nel secondo, disegnate da Nicolas Bovey) che va riducendosi sino a lasciare alla fine il palco completamente vuoto e nero. Idea che resta, però, in superficie. Come tutto lo spettacolo, rinunciatario, verrebbe da dire, nello sporcarsi le mani (nonostante le dichiarazioni programmatiche) con una vicenda che parla di ambizione e di potere, di uomini patologicamente legati l’uno all’altro, incapaci di essere liberi e dunque pienamente se stessi.

Ci pensa la musica di Rossini a raccontare la modernità della vicenda di Semiramide. Musica che Riccardo Frizza dal podio, puntualmente e con passione, offre in tutta la sua bellezza disarmante, “nuda e cruda”, perché non ha bisogno di sovrastrutture, di “traduzioni” per arrivare dritta al cuore. Racconta i sentimenti e tanto basta. Lo fa con i meccanismi compositivi tipici di Rossini, gli stessi che l’autore metteva nelle sue opere buffe. Che qui si rivestono di drammaticità. Frizza evidenzia bene questo gioco di rimandi mostrando, nella sua lettura, come Semiramide sia il punto di arrivo, ma anche di ripartenza (l’addio all’Italia e il trasferimento in Francia) nel percorso musicale di Rossini. Restituendo la musica in tutta la sua bellezza.

Musica che, a fine serata, tocca le quattro ore – ma non ci si accorge minimamente, volano in fretta. Perché sul leggio c’è (giustamente, dato che si parla di omaggi e di anniversari) la versione integrale di Semiramide. La affronta con convinzione un cast capitanato da Jessica Pratt che mette tecnica e cuore nel personaggio della regina di Babilonia, madre prima che donna di potere nell’interpretazione del soprano australiano (che la regia vuole statica matrona, con un’acconciatura/cofana che la fa tanto simile a Joan Sutherland, storica Semiramide, ma anche alla Renata Tebaldi degli ultimi anni).

Teresa Iervolino debutta nei panni di Arsace, personaggio già ben assimilato dal contralto e destinato ancora a crescere. Con la sua voce appassionata Enea Scala (anche lui al debutto nel ruolo) disegna un Idreno vigoroso e risoluto: il tenore siciliano vince su una delle parti più impervie del repertorio rossiniano grazie a una tecnica sicura che riveste del suo timbro affascinante e caldo.

Efficace l’apporto di Marta Mari (Azema), Simon Lim (Oroe), Enrico Iviglia (Mitrane) e Francesco Milanese, voce fuori campo dell’Ombra di Nino (il re assassinato da Assur e Semiramide che torna a torneare la moglie), doppiata in scena da un mimo grondante sangue nero. La grande musicalità e l’istrionica intelligenza scenica di Alex Esposito (nonostante la regia lo costringa a essere perennemente claudicante e verista/espressionista nella recitazione, cosa che a tratti rischia di sporcare l’interpretazione musicale) sono ancora una volta a servizio di Assur. Il personaggio, forse, più moderno di Rossini, ambizioso e disposto a tutto per il potere. Lo dice la musica. Spiegando così a cosa serve celebrare un anniversario.

Articolo pubblicato in parte su Avvenire del 21 ottobre

Nelle foto @Michele Crosera Teatro La Fenice la Semiramide