Perocco, sliding doors di una catastrofe

Il composiotre trevigiano a Reggio Emilia con Lontano da qui opera contemporanea sul valore del ricordo e della meoria

Un prima e un dopo. Che potrebbe essere il prima e il dopo di un qualsiasi avvenimento. Uno spartiacque di un evento naturale, forse una catastrofe. Ma anche di un qualsiasi momento di quotidianità. In casa, nella vita di tutti i giorni. E anche qui la catastrofe incombe. Un prima e un dopo che accade in Lontano da qui, nuova opera di Filippo Perocco. «Non il racconto di un fatto preciso, ma l’eco che quel fatto, che resta volutamente nascosto e dai contorni vaghi, suscita nell’animo di chi lo vive».

Stasera, venerdì 28 settembre, arriva al Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia l’opera commissionata al quarantaseienne compositore trevigiano dal Lirico di Spoleto (dove è andata in scena a inizio mese) e dalla fondazione I Teatri di Reggio Emilia che propongono Lontano da qui nell’ambito dell’edizione 2018 del festival Aperto. «Racconto una precarietà e un cambiamento, quelle che si possono trovare in qualsiasi storia. Lo faccio mettendo in scena una madre e una figlia – poche parole nel libretto di Riccardo Fazi –, voci che entrano quasi in un cortocircuito di incomunicabilità. In un prima dove tutto è un correre verso l’evento. E in un dopo dove c’è un rewind, un tentativo di tornare indietro, di riavvolgere il nastro non tanto nella speranza che la catastrofe non accada, ma per cercare una lezione per il futuro in quello che c’è stato nel passato» racconta Perocco, direttore d’orchestra e organista, compositore arrivato all’opera dopo tanta musica strumentale.

«Dopo aver scritto due opere pocket, il mio primo melodramma è stato Acquagranda che due anni fa ha inaugurato la stagione del Teatro La Fenice di Venezia». Là l’immagine dell’acqua, a cinquant’anni dall’alluvione in Laguna del 4 novembre 1966. «Per Lontano da qui l’immagine dalla quale sono partito è quella delle campane custodite nel deposito dei Beni culturali di Santo Chiodo, località vicino a Spoleto. Tante voci mute, suoni forti costretti a tacere. Le ho fatte suonare e hanno evocato in me il ricordo di altri suoni erosi e distorti dalla memoria». Una memoria fortemente legata al territorio, racconta Perocco, quello della Val Nerina dove un’altra immagine, quella di una casa isolata, gli ha suggerito il non luogo dell’azione.

Regia, scene e luci di Claudia Sorace. Il mezzosoprano Daniela Nineva è la madre, il soprano Livia Rado la figlia, il soprano Emanuela Sgarlata è la voce della natura. Sul podio Marco Angius, specialista nel repertorio contemporaneo. «Non voglio evitare il racconto, ma preferisco una narrazione che evochi memorie e ricordi e possa dunque interrogare gli ascoltatori». Effetto dato dalla musica. «Non rinuncio all’indagine timbrica per una narrazione musicale che semplifichi l’ascolto. Nel mio scrivere entra la realtà, entrano le varie esperienze e i vari linguaggi che poi filtro e faccio miei. Non mi concentro solo sull’elemento melodico, ma sull’emozione che può arrivare, ne sono convinto, anche da una corda graffiata» spiega Perocco che in agenda ha già una commissione per la Biennale musica 2019, ma sta trattando anche con alcuni teatri per nuove opere.

«Mi piace la pienezza della forma melodramma che coinvolge più persone e crea un clima familiare intorno al lavoro» dice ancora il compositore che rivela poi «di preferire la scrittura a mano rispetto a quella a computer: il segno tracciato da una matita è più completo, trasmette qualcosa in più a quello dello schermo, inevitabilmente più arido e povero. Per questo – conclude – mi capita di consegnare agli strumentisti partiture scritte a mano».

Nelle foto (@Riccardo Spinella) Lontano da qui a Reggio Emilia e il compositore Filippo Perocco