Muti dirige Verdi con un coro di tremila voci

Tappa in casa per Le vie dell’amicizia di Ravenna festival 2025 Muti prova Nabucco, Macbeth e Lombardi con 3mila coristi professionisti e amatoriali provenienti da ogni Regione d’Italia

«Brrr…». Fa vibrare le labbra Michele. Voce scura. Da basso. Anna emette solo una vocale «Oooo..». Scuro anche il suo suono. Contralto. Scaldano la voce. Sulle sedie rosse che riempiono il parterre Aldo guarda le ultime notizie sul cellulare. Lo sguardo di Lucia, invece, è già sulla partitura. Atto terzo. Coro della processione. «Deh! per i luoghi», Riccardo Muti lo vuole in pianissimo. «E non è facile attaccare un suono in pianissimo. Io la musica la leggo, ma nella vita faccio altro, non sono musicista». Al Pala De André si prova la Gerusalem, il più bel coro de I lombardi alla prima crociata di Giuseppe Verdi. E prima che «il Maestro» arrivi sul palco si deve ripassare.

Ma è un attimo. Parte la ola. Come allo stadio. Muti arriva sul palco di corsa. Saltando a grandi passi – a luglio saranno 84 anni, incredibile. E si lascia abbracciare dall’applauso dei tremila coristi, 3116 per la precisione, che riempiono il Pala De André. Ravenna, oltre il porto, direzione mare. Ordinatissimi. I tenori in platea, soprani sugli spalti a destra, contralti su quelli a sinistra, nella gradinata che corre in fondo al palazzetto i bassi. Ognuno con il suo braccialetto colorato. Una maglietta uguale per tutti, Cantare amantis est la scritta che evoca Sant’Agostino. Hanno dai 4 agli 87 anni. Ci sono anche le voci bianche, in prima fila. La più piccola sale sul palco e lui la prende in braccio. «Oggi è il 2…?» chiede dal palco. «Giugno!» rispondono tutti in coro. «Festa della…?». «Repubblica!». «Dal latino…?». «Res publica!». Sorride e allarga le braccia. «Allora alzatevi in piedi e cantiamo l’Inno di Mameli».

Riccardo Muti fa cantare Fratelli d’Italia agli oltre tremila coristi giunti a Ravenna da tutta Italia. «Legato! Perché cantare non è sillabare, ma è sempre fraseggiare. Anche a tempo di marcia» incita la platea. Poi si gira verso la piccola tribuna, sul palco, dove è stata sistemata la stampa – il palazzetto è ingombro di coristi. «L’Italia che canta è migliore di quelli che cercano di non farla cantare» dice quasi commosso. «Maestro! Maestro!» scandiscono i tremila che prima del suo arrivo sul palco, per “scaldare” la voce avevano intonato in ordine sparso Romagna mia e Volare, Bella ciao e Quel mazzolin di fiori.

«Bisogna avere la voce calda ed essere pronti» spiega Chiara, soprano, arrivata con la valigia «perché stasera si torna a casa». Sono arrivati da tutta Italia i tremila e più corsiti chiamati a raccolta dal Ravenna festival per Cantare amantis est. Angelo Raffeli, 81 anni, è arrivato in camper. «Mi sposto sempre in camper. Ne ho approfittato per visitare Ravenna». Angelo è arrivato da Barletta. «Pugliese, conterraneo del Maestro che è molfettese». Nemmeno a dirlo e parte il coro delle “molfettesi”. «Riccardo! Riccardo!». Angelo sorride. «Un’emozione unica essere parte di questo grande gruppo». Angelo è tenore. Applaude il maestro. Che forse non si aspettava una risposta così al suo appello. «Un appello all’armonia, a cantare insieme. E visto come è andata forse vale la pena continuare anche negli anni futuri».

Quest’anno Le vie dell’amicizia di Ravenna festival, che dal 1997 (partenza dalla Sarajevo martire della guerra) gettano ponti di fratellanza nel mondo, hanno fatto il percorso inverso, portando a Ravenna una carovana di musicisti che per due giorni hanno lavorato su Giuseppe Verdi. «Il più grande e il più bistrattato di tutti» non si stanca di ripetere Muti. Lavoro. Perché il direttore d’orchestra non ha fatto sconti. Ha lavorato come fa quando lavora in teatro, con orchestre e cori di professionisti. «E molti avrebbero da imparare da voi» gli scappa dopo il Va’ pensiero che apre la due giorni di prove. Intenso. Commovente. «Il sentimento italiano è comune a tutte le regioni. Nel coro ritroviamo il senso della nostra storia. Avete sentito, è la prima volta che cantate insieme, ma lo spirito è uno» dice Muti ripartendo poi dalla prima pagina del Va’ pensiero. «Anche se non può essere come voleva qualcuno il nostro inno. Perché un inno deve scaldare i cuori». Il coro del Nabucco è invece voce di un popolo oppresso.

Primo testo, il Va’ pensiero, sul quale Muti ha lavorato con il coro dei tremila nella due giorni ravennate. Impressionante il muro di suono, ma anche la capacità, a un gesto del maestro, i farsi soffio, sussurro. «Verdi scrive Largo. Sottovoce. E tale deve essere. Al compositore ho dedicato tutta la mia vita e più lo studio più mi accorgo che nulla è lasciato al caso». Alessandro Vozza, è un basso. Prende qualche appunto sulla partitura. Sta seduto in mezzo a un gruppo della Basilicata. Ma lui viene dalla parte opposta dell’Italia. «Da Trento, dove faccio parte del coro Vogliam cantare. Dove porterò quello che ho imparato da Muti, l’importanza di riflettere sull’espressività e sul testo». Tocca al Macbeth, al Patria oppressa. Muti lavora ogni singola parola, ogni singola lettera, ogni nota. «Arrotate bene le erre… la a non apritela, deve essere quasi una o… la pausa non è silenzio, ma deve essere riempita di angoscia». Fa ripetere ancora e ancora. «Voglio sentire la campana a morto… Suona a morto ognor la squilla. Forza bassi! Sentite il colore dei contralti… questo è il colore italiano». Poi lascia il leggio e va al pianoforte – Davide Cavalli che ha accompagnato le lezioni si alza in piedi. «Sentite? Verdi lascia la quinta vuota, fa una cadenza di inganno, ma poi finisce in maggiore… la luce che arriva, la speranza. E questo va cantato». Si ripete ancora. E tutto va a posto.

«Mi sono emozionata, anche più di quello che mi aspettavo quando ho deciso di venire» dice Anna che arriva da L’Aquila mentre ripone la partitura. Giovanna, Susanna, Isabella, Elena approfittano di una pausa e mettono sul gruppo della corale Nostra Signora di Fatima le foto che si sono fatte all’ingresso del Pala De André, davanti al grande manifesto che annuncia Cantare amantis est. «Veniamo da Montiano, vicino a Cesena, dunque siamo di casa. E siamo state travolte oltre dalla grande competenza, dalla simpatia inaspettata i Muti» dicono… in coro. Sono tante. Dalla Puglia, però, sono arrivati ancora più numerosi. «Siamo in ottantuno, viaggiamo su un pullman doppio e siamo tutti del Coro regionale pugliese. Un coro amatoriale che sicuramente qui ha ritrovato la gioia e la bellezza del fare musica insieme» racconta Patrizia Pazienza di Bitonto. Contralto. Come le “colleghe” Irene Mercuri, bolognese, convinta che «la passione per la musica va condivisa e portata nei propri ambiti di vita», e Simona Spalazzi «a chilometro zero perché sono di Ravenna e canto nel coro Ludus vocalis, ma sono anche animatrice in parrocchia, a San Rocco, perché chi canta prega due volte, diceva Sant’Agostino».

Cinque minuti e si riprende. «Là sui monti dell’est…», il Puccini di Turandot, si sente da dietro le quinte. Sono i ragazzi della Scuola musicale Giuseppe Bonamici di Pisa, cantano davanti al camerino di Muti. Puccini. Ma Muti prova Verdi. E tocca a Gerusalem, il coro più bello de I lombardi alla prima crociata. Il direttore chiede ai bassi note profonde. «Legato! Sempre!». Si evoca Gerusalemme. «Il traguardo spirituale che dobbiamo raggiungere». Muti chiede che si pensi alle processioni. «Quelle del mio sud. Delle confraternite». Applaudono i molfettesi (ma anche quelli di Terlizzi e Bitonto) che, in una pausa delle prove, aspettano Muti giù dal palco. Gli cantano La santa allegrezza «quella che io cantavo da bambino». E canta anche lui. A memoria.

Così Le vie dell’amicizia, anche questa volta, anche senza aver fatto rotta verso il mondo, diventano un ponte di fratellanza. Un bagno di umanità. I coristi si scambiano i contati. Si promettono di rivedersi. «Magari facciamo un gemellaggio tra i nostri cori». Perché «Cantare amantis est, cantare è proprio di chi ama. E oggi abbiamo bisogno di bellezza e di armonia» ricorda ancora Muti mentre torna sul palco. «E il nostro amore per la musica è sconfinato» dicono a una sola voce Lucia e Rosaria, di Matera dove cantano nella Polifonica materana Giovanni Pierluigi da Palestrina. «Lo stiamo celebrano in questo 2025 bel quale ricorrono i cinquecento anni della sua nascita. E quello che oggi Muti ci trasmette, ci insegna, ci servirà per migliorare la nostra tecnica». Sulle gradinate parte la ola. Come allo stadio. E sul palco compare Muti. Tutti in piedi. Per cantare, dopo due giorni di prove, Va’ pensiero, Patria oppressa e Gerusalem. Quasi un concerto. Di tremila Voci. Che si fanno una sola. «I fiori ci sono, basta innaffiarli» dice Muti.

Che poi chiede ancora una volta al pianoforte, a fine giornata, il ritmo marziale dell’Inno. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò… «senza il sì, che Mameli e Novaro non hanno scritto». L’Italia chiamò. La missione che il direttore affida ai tremila coristi. «Abbiamo portato la nostra musica nel mondo. Non dimentichiamolo. Ricordiamolo a tuti». Ancora un applauso. Lunghissimo. Muti firma partiture. Fa selfie con tutti. Mentre il Pala De Andrè si svuota. Ma l’aria, pesante del primo caldo, non si svuota di musica.

Nelle foto @Silvia Lelli Le vie dell’amicizia 2025 Cantare amanti est a Ravenna festival