Le migliori musiche da ascoltare in Quaresima Puntata 1

Nel deserto delle tentazioni

La Parola e la musica per raccontare la Quaresima. Il tempo che arriva dopo il Carnevale. Tempo di digiuno. Tempo per lo spirito. Ecco un percorso di riflessione partendo dai testi sacri e unendo a questi le note, suggerimenti di ascolto per leggere in una prospettiva diversa la Parola. La musica sinfonica e quella operistica, quella del Settecento e dell’Ottocento, ma anche le inquietudini e le speranze del Novecento. Attraverso i Vangeli che il Rito ambrosiano propone nelle domeniche di Quaresima ecco un percorso battesimale che ancora oggi la Chiesa ambrosiana propone in preparazione alla Pasqua.

********

Immaginate la scena. Una caverna, in un paesaggio desertico della Terra Santa. Sullo sfondo le rive del fiume Giordano. In lontananza echi di guerra. Oronte, morente tra le braccia di Giselda, dopo la battaglia chiede il battesimo. Un eremita gli versa acqua sul capo. E sembra che il cielo si apra. E nel tocco di arpe e flauti quasi sembra di sentire una voce ripetere: «Questi è il mio figlio». Come nel passo evangelico che racconta il Battesimo di Gesù per mano di Giovanni.

Giuseppe Verdi, I Lombardi alla Prima Crociata, «Qual voluttà»

Qual voluttà trascorrere, sento di vena… in vena!

Più non mi reggo… aitami… Io ti discerno appena!

T’accosta!… oh nuovo incanto! Bagnami col tuo pianto…

In ciel ti attendo… affrettati… Tu… lo schiudesti a me.

Siamo nel cuore de I lombardi alla Prima Crociata. Giuseppe Verdi, in questa che è una delle sue prime opere, datata 1843, racconta sì la riconquista dei luoghi sacri, ma la intreccia con la storia di una conversione, quella di Oronte.

Riavvolgiamo il nastro. E proviamo a iniziare un percorso. Simile a quello che Ambrogio proponeva ai catecumeni che si preparavano a ricevere il Battesimo nella Veglia pasquale. Un cammino a tappe che li avrebbe condotti sulla soglia del battistero ottagonale nel quale sarebbero entrati con il loro fardello di vita per uscirne uomini nuovi.  

Rinunciate a Satana? E a tutte le sue opere? E a tutte le sue seduzioni? Parte da qui, dalla rinuncia al male, il cammino verso la nuova vita.

Arrigo Boito, Mefistofele, «Dio clemente m’allontana dal demonio»

Dio clemente, m’allontana dal demonio mio beffardo, non indurmi in tentazione!

Vola il cantico ardente del celestial drappello!

Sacro attimo fuggente, arrestati, sei bello! A me l’eternità!

Eccolo in musica, nel Mefistofele opera di Arrigo Boito, opera che debutta al Teatro alla Scala di Milano nel 1868: fiasco clamoroso, poi l’opera, rimaneggiata dall’autore, riappare in una nuova versione nel 1875 a Bologna. Nell’Epilogo, il diavolo batte cassa, chiede a Faust di mantenere il patto: la sua anima in cambio dell’eterna giovinezza. Faust, stringendo in mano il Vangelo, invoca l’aiuto del cielo. E vince. Resiste e affronta la morte con la certezza della redenzione.

Una strada difficile quella della rinuncia alle tentazioni, sulla quale, però, ci precede lo stesso Gesù. Lo racconta, proprio all’inizio del percorso quaresimale ambrosiano, il Vangelo di Matteo (4, 1-11). Mettendo l’uomo, sul cui capo ci sono ancora le ceneri per ricordare la necessità della conversione, come davanti a uno specchio.

Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo dopo aver digiunato per quaranta giorni e quaranta notti ebbe fame. Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, di’ che questi sassi diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

Richard Strauss, Salomè, «Danza dei sette veli»

Il concreto, il contingente. Che si oppone allo spirito. Una lotta che Richard Strauss mette nella Danza dei sette veli della sua Salomè, opera datata 1905 che attinge alla vicenda del Battista e di Erodiade. La figlia di Erodiade, Salomè, vuole la testa del Battista – ecco un cerchio che si chiude, Giovanni che aveva battezzato Gesù ora è in carcere – e per ottenerla tenta Erode con la sua danza. Sembra di vederle, nelle ombre sinistre che il musicista insinua tra i movimenti sinuosi della danza, le luci della tentazione che abbagliano l’uomo di oggi. Quelle materiali che quotidianamente ci si presentano.

Ma anche la tentazione di mettere a tacere la voce dello spirito. E quella, di fronte al male, al dolore, di gridare: Dio dove sei?

Il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo».

Wolfgang Amadeus Mozart, Idomeneo, «Qual nuovo terror»

Qual nuovo terrore! Qual rauco muggito! De’ Numi il furore ha il mare infierito. Nettuno, mercé!

Qual odio, qual ira Nettuno ci mostra! Se il cielo s’adira, qual colpa è la nostra? Il reo qual è?

 

Il silenzio di Dio, Mozart lo racconta nell’Idomeneo. Lo filtra attraverso il mito di Idomeneo re di Creta nell’opera andata in scena nel 1781. Di fronte alla tempesta e al mostro che sorge dal mare il popolo dell’isola innalza il suo drammatico grido: «Se il cielo s’adira, qual colpa è la nostra?».

Arnold Schoenberg, A survivor from Warsaw, «Shemà Israel»

Da Mozart al Novecento, il secolo della morte di Dio. Ed ecco Arnold Schoenberg. Il grido del Sopravvissuto di Varsavia. Che ricorda. Urla il suo dolore, stemperato dalle parole della torah: Shemà Israel. Ascolta Israele che il musicista viennese mette in conclusione del suo breve oratorio A servivor from Warsaw.

Poi il silenzio. Quello che avvolge l’ultimo episodio della pagina evangelica di Matteo.

Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai». Ma Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto».

 Giuseppe Verdi, Macbeth, «O donna mia… Caudore…» e Marcia

Macbeth: Fra poco il re vedrai. Lady: E partirà? Macbeth: Domani.

Lady: Mai non ci rechi il sole un tal domani

 

Ancora Giuseppe Verdi. Macbeth. La più nera delle opere del musicista di Busseto. Due versioni per il melodramma che attinge alla tragedia di William Shakespeare per raccontare la tentazione del potere: la prima per la Pergola di Firenze nel 1847, la seconda, definitiva per Parigi nel 1865 (approderà al Teatro alla Scala solo nel 1874). Ecco nel serrato dialogo tra Macbeth e la Lady la tentazione del potere porta al buio della mente

La musica che accompagna l’arrivo del re riporta per un attimo la pace nella corte di Macbeth, ormai segnata dal male. Così è deciso canta Macbeth prima di sferrare il colpo mortale contro il re.

Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano.

Lo scrive Matteo fermando l’immagine di Gesù nel deserto. Verdi spegne le note nel silenzio. Lo sguardo dell’evangelista si sposta. Uno stacco quasi cinematografico, con la macchina da presa che inquadra una lunga strada. Quella verso Gerusalemme. Quella verso il Calvario.