Muti a Pompei, alle radici della nostra cultura

Dalla Giordania Le vie dell’amicizia approdano a Pompei nel Teatro grande della città romana distrutta dal Vesuvio

Riccardo Muti cita il motto del cardinale Corrado Ursi. «Che battezzò i miei due fratelli gemelli e celebrò i funerali di mio padre, invitandoci a cantare l’Alleluja perché, disse, era nella gloria del paradiso». E che è stato rettore del Seminario arcivescovile di Molfetta «dove ho tenuto il mio primo concerto, ragazzino, suonando il violino davanti a un seminarista che si chiamava Tonino Bello. E la foto di quel giorno la conservo gelosamente”. Cita il Grana multa una hostia Riccardo Muti per dire che «tanti chicchi di grano, tutti diversi, formano insieme una sola ostia. Così noi, musicisti italiani, giordani e siriani suonando insieme diventiamo una sola voce. Che chiede pace per il mondo».

Il Vesuvio si staglia sul tramonto. Muti impugna la bacchetta. Ed entra nel Teatro grande di Pompei. Guarda i musicisti, italiani, giordani e siriani. Ecco il Grana multa una hostia che per il maestro racchiude il senso più profondo de Le vie dell’amicizia, quel ponte di fratellanza in musica che dal 1997, quando portò Beethoven le ferite di Sarajevo, percorre insieme al Ravenna festival per dire che «la musica può davvero unire i popoli. E anzi, può insegnare ai grandi della terra che è possibile parlare un linguaggio comune, intendersi e provare a fare la pace». Utopia? Potrebbero sembrare questo i viaggi di pace di Ravenna festival. Solo se visti da lontano, però. Dal divano di casa. Perché se ti metti in cammino, macini chilometri dormendo solo qualche ora per notte – capita che una sera sei a Ravenna, il giorno dopo ad Amman in Giordania e quello dopo ancora a Pompei… ma le rotte possibili sono tante, New York, Teheran, Kiev, Damasco, Gerusalemme, Nairobi… ventisette come le edizioni de Le vie dell’amicizia – se percorri insieme alla carovana di musicisti guidata da Muti Le vie dell’amicizia, capisci che davvero «la musica può insegnare un metodo per provare a risolvere i problemi del mondo: mettersi tutti insieme, dialogare. E questo può produrre un risultato». Come ricorda ancora una volta il direttore d’orchestra tra le pietre del Teatro Grande di Pompei sopra le quali, ormai, si sono accese le stelle. Mentre il pubblico che rimandano ancora il calore del sole.

Chi gli chiede una foto, sono i musicisti giordani che hanno suonato con lui tra l’Italia e la loro terra. Una bimba vorrebbe la sua bacchetta. «Ti prometto che quando verrai a Ravenna te ne regalerò una» sorride il maestro che ha appena chiuso il cerchio de Le vie dell’amicizia 2023. Partite da Ravenna. Volate in Giordania, nel sito di Jaresh e nel campo profughi di Zaatari, al confine con la Siria, dove i rifugiati siriani hanno proposto le musiche della loro patria e gli italiani hanno risposto con un Romagna mia suonata dagli ottoni dell’Orchestra giovanile Luigi Cherubini.

Vie dell’amicizia approdate a Pompei – il concerto, ripreso dalle telecamere di Rai Cultura, sarà trasmesso su Rai1 in seconda serata il 5 agosto. Tra le pietre arse dal sole. Che è lo stesso, a picco sulle rovine romane, di Jaresh. Rimaste a lungo sotto la sabbia del deserto, dopo il terremoto che ha fatto implodere la città, quelle giordane. Intrappolate dalla lava del Vesuvio quelle di Pompei. «Luoghi in cui mi sono sentito subito a casa, tra le tracce ancora ben visibili di quella civiltà romana che, passando imprescindibilmente per la Grecia, rappresenta le nostre radici. Che sono radici spirituali e culturali».

In questi teatri Muti ha portato Gluck e il suo Orfeo ed Euridice con il controtenore Filippo Mineccia, Bellini e la celeberrima Casta diva della Norma affidata a Monica Conesa e Il canto del destino di Brahms con i ragazzi dell’Orchestra giovanile Luigi Cherubini, i musicisti dell’Orchestra del Conservatorio nazionale di Amman – carico di affetto l’abbraccio con loro, dopo il concerto di Pompei – le voci del coro Cremona Antiqua e quelle di musicisti siriani della diaspora. «Mi ha commosso profondamente vedere la simbiosi spirituale che hanno raggiunto tutti questi musicisti suonando insieme. Loro sono la parte positiva del mondo che dà speranza mentre c’è chi continua a fare la guerra» riflette ancora Muti circondato dai giornalisti. Sorride, rilassato dopo il tour de force di questi giorni. Si lascia andare a qualche battuta.

A Pompei non una parola in pubblico – sulle gradinate il governatore della Campania Vincenzo De Luca e il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, ma anche volti noti dello spettacolo e della moda. Solo la musica. A Jerash invece il direttore aveva salutato «il popolo giordano, straordinario nell’accogliere chi scappa dalla guerra», sottolineando ancora una volta che «la musica è il miglior ponte tra i continenti e la miglior cura spirituale per i dolori che le guerre provocano». Grana multa, una hostia. Un seme che viene gettato. «Quello della pace e della fratellanza che non ci stanchiamo di gettare dal 1997 e che affidiamo ai potenti del mondo, perché sappiano coltivarlo».

Nelle foto @Zani/Casadio Le vie dell’amicizia a Pompei

Articolo pubblicato su Avvenire del 15 luglio 2023