Scala, danzano i Gioielli di Balanchine

Bravi i giovani del Corpo di ballo nel trittico del coreografo ideato nel 1967 su pagine di Fauré, Stravinskij e Cajkovskij

Si definisce, parlando di sinfonica, musica pura. Bella e basta. Da prendere così com’è. E da godere per quello che è, musica appunto. Un piacere intellettuale, ma anche estetico. Ascolto dentro il quale ci si può mettere il proprio vissuto o semplicemente abbandonarsi ad esso. Musica in tutte le sue potenzialità e le sue combinazioni. Contrapposta alla cosiddetta musica a programma… quella con una sua “trama”, esplicita o nascosta, chiara o da indagare. Capita anche nella danza. Dove c’è una danza a programma, quella che racconta una storia… soggetti classici che tutti amiamo, creazioni contemporanee che astraggono in movimenti i sentimenti. E c’è poi una danza pura. Fatta di combinazione di gesti (dove nella musica erano le note), da fruire nella sua disarmante bellezza.

La danza di George Balanchine, ad esempio. Che ha raccontato anche una “danza a programma”, certo… il suo Sogno, Il figliuol prodigo… Ma che è stato (ed è ancora) maestro di quella danza pura che ha costruito sui grandi capolavori della musica classica. Bella e basta. Da prendere così com’è. Jewels, tradotto Gioielli, ad esempio, trittico nato nel 1967 per il New York city ballet, che ora torna per la terza volta nella sua interezza (il secondo “capitolo”, Rubies, si è visto più volte tra gala e serate con vari balletti) sul palco del Teatro alla Scala. Lo propone il Corpo di ballo di Manuel Legris che, facile metafora, mette in mostra i “gioielli di famiglia”. Nessun ospite in locandina, infatti, ma primi ballerini, solisti scaligeri e giovani talenti arrivati in questi mesi in compagnia, incastonati (proprio come le pietre preziose che danno il titolo ai tre quadri, smeraldi, rubini e diamanti) in varie combinazioni nelle sette repliche in cartellone. Martina Arduino, Virna Toppi e Nicoletta Manni. Nicola Del Freo, Claudio Coviello e Timofeji Andrijashenko. Maria Celeste Losa, Alice Mariani, Caterina Bianchi. Mattia Semperboni, Gabriele Corrado, Domenico Di Cristo, Rinaldo Venuti.

Il verde degli smeraldi riluce in Emeralds con le note del Pelleas et Melisande di Gabriel Fauré. Il rosso dei rubini in Rubies è marcato dal ritmo jazz del Capriccio per pianoforte e orchestra di Igor Stravinskij. Il bianco lucente dei diamanti brilla in Diamonds con la struggente malinconia di quattro movimenti (su cinque, manca il primo, con l’effetto che si parte in medias res) della Sinfonia n.3 di Petr Il’Ic Cajkovskij. Musica (non sempre pura, alcune pagine sono chiaramente a programma) che si riveste di danza, quella creata dal genio di Balanchine che costruisce tre quadri diversi e allo tesso tempo complementari, variazioni su un tema, quello dei gioielli che si fanno paradigma di bellezza da ammirare nelle sue sfaccettate forme, declinato in tre stili di danza. Che è sempre quella neoclassica tipica di Balanchine, ma che si fa romantica in Emeralds (il modello è quello di Serenade), di carattere in Rubies (e ripensi ai Quattro temperamenti), accademica in Diamonds (linee di un’eleganza abbagliante come in Theme and vartoiations).

A restituirla – ripresa da Patrica Neary in Rubies e da Ben Huys negli altri due quadri – i ballerini scaligeri. Martina Arduino e Maria Celeste Losa le più balanchiniane nelle linee e nel temperamento, una in Emeralds l’altra in Rubies. La precisione tecnica di Nicola Del Freo e l’energia di Mattia Semperboni, unite ad un malinconico romanticismo in Emeralds. Il piglio caratteriale di Claudio Coviello in perfetta sintonia con la vervre di Virna Toppi in Rubies. La pulizia tecnica di Nicoletta Manni e Timofeji Andrijashenko nella purezza cristallina della danza di Diamonds. Balanchiniani, come molto balanchiniano è apparso il corpo di ballo (e anche qui tanti giovani, alcuni impegnati in ruoli da solisti nelle repliche) di Legris, sempre in appiombo con la musica diretta con stile (cangiante e appropriato nei tre pannelli del trittico) da Paul Connelly al quale, per lo Stravinskij del Capriccio si è affiancato il pianista Roberto Cominati.

Cornice di tendaggi grigio polvere che si illuminano dei colori dei gioielli nella scenografia di Peter Harvey, variazioni sul tema – simili, ma diversi per un’infinità di particolari – nei costumi verdi, rossi e bianchi di Karinska. Allestimento originale che riporta indietro nel tempo, alla New York del 1967 – e si avverte che è un po’ datato, senza dubbio, ma così impone il Balanchine trust – sul quale certo un po’ di polvere si è posata. Spazzata via, però, dalla danza degli scaligeri. Capaci di restituire in tutta la sua bellezza la danza pura di Balanchine.

Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala Jewels di George Balanchine