Muti porta in Armenia l’Arca di Ravennafestival

Le vie dell’amicizia sono partite da Lugo direzione Erevan ai piedi dell’Ararat dove si fermò l’imbarcazione di Noè Programma tutto spirituale con Haydn, Mozart e Schubert accanto alla prima del Purgatorio dell’armeno Mansurian

Da qui, da Lugo, nel cuore della Romagna puoi immaginare di vedere in mezzo alla foschia del cielo di Erevan stagliarsi, come un disegno dal tratto lieve, il monte Ararat. Bianco. Con i suoi 5mila metri domina la capitale armena. Lì, sull’Ararat, si dice si sia fermata l’Arca di Noè. Da lì, da quella terra di mezzo tra Turchia e Armenia dove vivono fianco a fianco diverse fedi religiose – non senza sofferenza, come ricorda il genocidio armeno perpetrato a inizio Novecento dall’impero ottomano –, da lì è ripartita la vita. Un raggio di sole, un ramoscello di ulivo dopo il diluvio universale, racconta la Bibbia. Naufragio dell’umanità che, per molti, è anche immagine del nostro tempo, un tempo nel quale stiamo attraversando le acque agitate della pandemia. E l’Ararat può diventare (ancora una volta) un approdo dal quale far rinascere la vita.

Lo dice Riccardo Muti che stasera approda a Erevan con quella che, a suo modo, è un’arca, fatta di musica e di cultura. Fanno tappa nella capitale armena Le vie dell’amicizia di Ravennafestival, il ponte di fratellanza in musica partito nel 1997 dalle ferite di Sarajevo. Poi Beirut, Gerusalemme, la New York del post 11 settembre, la Siria, Nairobi, l’Iran, Atene. Sempre con Muti al timone. Che, proprio vent’anni fa, era già stato a Erevan per celebrare i 1700 anni del cristianesimo nel paese in un Viaggio dell’amicizia che aveva unito Armenia e Turchia. «È ancora vivo il ricordo del silenzio commosso, dell’emozione intensa di fronte alla musica di Verdi. Oggi torniamo in quella terra inquieta in bilico tra Oriente e Occidente. Torniamo a lanciare un segno di speranza, convinti come allora che attraverso la musica si possano superare incomprensioni e diversità di cultura, di lingua, di religione» ha detto Muti prima di imbarcarsi sull’aereo che lo ha portato a Erevan. Dove il concerto, per molti, sarà «uno degli eventi più significativi e memorabili della vita culturale degli ultimi decenni». Un nuovo ponte di fratellanza. Sicuramente.

Perché il Viaggio di quest’anno è partito giovedì da Lugo di Romagna dove, nella cornice del Pavaglione, una grande piazza circondata da portici che per una sera si è circondata in una cattedrale a cielo aperto, Muti ha diretto in un programma «tutto spirituale» con Haydn, Schubert e Mozart le voci dell’Armenian state chamber choir e i ragazzi dell’orchestra giovanile Luigi Cherubini. A loro stasera, al Teatro dell’Opera di Erevan, si uniranno i musicisti dell’Armenian philharmonic orchestra. «Perché in musica è facile capirsi, perché la musica è la lingua di tutti, universale, come la poesia di Dante che vogliamo celebrare insieme al popolo armeno, che la conosce e la ama» ha detto ancora Muti che stasera, insieme alle pagine proposte a Lugo, sul leggio avrà Purgatorio di Tigran Mansurian, partitura in prima mondiale commissionata al compositore armeno proprio da Ravennafestival. Muti la riproporrà poi a settembre a Ravenna (città che, viole la leggenda contenuta negli Historiarum Ravennatum libri del 1527 fu fondata dai pronipoti di Noè partiti dall’Armenia), Verona e Firenze nel concerto che chiuderà le celebrazioni per i settecento anni della morte di Dante Alighieri.

Convinto, il direttore d’orchestra, che «è nella bellezza, nella poesia dell’arte che possiamo ritrovare noi stessi e l’altro, ritrovare il calore di un abbraccio, ritrovare finalmente pace» come ha detto dal palco di Lugo dopo aver diretto il Te Deum in do maggiore di Haydn, il Kyrie in re minore di Mozrat e la Messa n.2 in sol maggiore di Schubert. «Autori che nella vita hanno sofferto. Autori che rappresentano la nostra cultura che non è affatto costituita da urli, da cose che entusiasmano subito un certo tipo di pubblico attraverso una estroversione e una manipolazione del canto. Questa è pura spiritualità» ha ricordato Muti. Che a Lugo (il concerto è stato rpreso dalle telecamere della Rai) ha proposto le tre pagine (precedute dall’Incompiuta di Schubert) in un unico respiro, come una meditazione, una preghiera, seguita dal pubblico (distanziato) del Pavaglione, in solenne raccoglimento. Il Te Deum di Haydn, «il padre della sinfonia classica» come ha ricordato il direttore, è un inno di lode e di ringraziamento che si conclude con l’accorata invocazione In te, Domine, speravi. Anelito a una pace interiore che si riverbera sul Kyrie di Mozart, capolavoro giovanile del compositore, già in tonalità di re minore, quella dell’estremo Requiem. E si riverbera su tutta la Messa di Scubert, lineare e asciutta, apparentemente semplice nella sua essenzialità, ma capace di portarti dento il desiderio di pace dell’anima messo in musica dal compositore viennese, in particolare nell’Agnus Dei che chiude la Messa. Dona nobis pacem, ripetono il soprano e il baritono, che sono due artisti armeni, Nina Minasyan e Gurgen Baveyan. Hanno cantato con il tenore Giovanni Sala, un italiano. Li ha voluti, segno visibile per dare corpo e voce al significato del Viaggio dell’amicizia tra Italia ed Armenia, Muti.

Muti che ritrova la stessa ispirazione, la stessa profondità spirituale di Schubert, Mozart e Haydn, nella pagina di Mansurian. «Da sempre, sulla mia scrivania, c’è una traduzione in armeno della Commedia. Ho quindi accolto con gioia la richiesta di una composizione ad essa ispirata, ma ho sentito anche una grande responsabilità: ho iniziato la composizione di questo Purgatorio tre volte e finalmente ne ho completato la quarta stesura» racconta il compositore ottantaduenne che ha messo in musica l’incipit del Canto I «Per correr miglior acque alza le vele» e il Padre nostro che apre il Canto XI.

Note intrise di spiritualità e folklore popolare. Risuoneranno stasera a Erevan. Ai piedi dell’Ararat. Bianco. Immerso nella foschia. Come un disegno dal tratto lieve dove, quasi, ti sembra di intravedere la sagoma dell’Araca. Pronta, ancora una volta, a far sbarcare il suo carico di vita.

Nelle foto @Marco Borrelli Le vie dell’amicizia a Lugo e il Teatro dell’Opera di Erevan

Articolo pubblicato in gran parte sul quotidiano Avvenire del 4 luglio 2021