Il ballerino francese nuovo direttore del Corpo di ballo racconta il lavoro che farà con la compagnia milanese «Fedele alla tradizione dando spazio ai giovani talenti»
Strano inizio quello di Manuel Legris come direttore del Corpo di ballo del Teatro alla Scala. «Un inizio in streaming» perché il primo titolo scelto dal danzatore parigino, sino al 2009 étoile (lo aveva promosso Rudolf Nureyev) dell’Opera de Paris e arrivato a dicembre al vertice della compagnia scaligera, sarà trasmesso sabato 30 gennaio alle 20 sulle piattaforme web di RaiPlay e RaiCultura e sul sito della Scala, registrato a teatro vuoto nei giorni scorsi. Una Giselle per due ballerine, Martina Arduino e Nicoletta Manni che si daranno il cambio sul palco, una in scena nel primo atto e l’altra nel secondo. Anzi, una Giselle per tre. «Perché per preparare lo spettacolo – racconta Legris, classe 1964, arrivato a Milano dopo dieci anni alla guida della compagnia di ballo della Staastoper di Vienna – ho invitato Carla Fracci a tenere una masterclass ai danzatori del Corpo di ballo, lezione che si può vedere in streaming sui canali social della Scala».
Carla Fracci, cresciuta alla Scuola di ballo e per anni prima ballerina del Piermarini, mancava da anni dal palco della Scala…
«Non voglio entrare nelle scelte fatte in questi anni, nelle storie passate: conosco da sempre Carla Fracci è per me lei è Giselle, dunque averla in sala prove è una ricchezza perché può trasmettere il suo sapere alle nuove generazioni. Ho grande rispetto e stima per la tradizione della scuola italiana tanto che dopo la Fracci mi piacerebbe invitare altre grandi ballerine italiane come Luciana Savignano e Liliana Cosi».
La tradizione, allora, è il binario su cui si muoverà la sua direzione, Manuel Legris?
«Mi piacerebbe far capire da subito al pubblico che a Milano non voglio replicare quello che ho fatto come direttore a Vienna o come danzatore a Parigi: voglio lavorare e inserirmi nel solco della tradizione della Scala che è quella di una compagnia che danza da sempre il classico e il contemporaneo: in repertorio ci sono Nureyev, MacMillan, Petit, Bejart e Neumeier e resteranno».
E saranno affiancati da altri nomi?
«Nella mia carriera di danzatore prima e di direttore poi ho collaborato con molti coreografi, ho una buona rete di conoscenze che posso mettere in campo per la Scala. Mi piacerebbe riportare a Milano William Forsythe per una creazione per la compagnia. E poi vorrei affidare nuovi lavori a giovani talenti italiani della coreografia».
Titoli?
«Le idee, i progetti, i sogni sono tanti, ma per ora devono aspettare. La pandemia che ha portato alla chiusura dei teatri con conseguenti perdite economiche ci impone di navigare a vista nella programmazione facendo bene i conti per far quadrare i bilanci. Sicuramente quando riapriremo dovremo aumentare il numero degli spettacoli di danza in cartellone: a Vienna avevamo quindici titoli l’anno, a Milano se ne fanno meno della metà. Dobbiamo aumentare le recite per valorizzare e dare spazio ai tanti talenti presenti in compagnia: li sto conoscendo meglio dopo aver lavorato con loro nel dicembre 2019 quando ho allestito la mia coreografia di Sylvia».
Come sono state queste prime settimane di lavoro con i danzatori scaligeri?
«Strane, sicuramente per le misure legate alla pandemia. Lavoriamo per studiare, per provare spettacoli da trasmettere in streaming, ma sappiamo che non è la stessa cosa che andare in scena con il pubblico in sala. Difficile poi lavorare con mascherine, facendo sempre tamponi, osservando il distanziamento. Difficile, ma giusto per il rispetto delle norme. A Vienna, proprio per le regole anti Covid, non ho avuto un momento di chiusura ufficiale del mio mandato dopo dieci anni di lavoro».
A proposito, come è arrivata la chiamata della Scala?
«Lo scorso anno Dominique Meyer ha lasciato la Staatsoper per venire a Milano e il nuovo sovrintendente Bogdan Roščić mi ha proposto un contratto per prolungare il mio mandato, ma ho detto no perché dopo dieci anni sentivo che si era chiuso un cerchio. Guardavo all’Opera de Paris perché mi sarebbe piaciuto tornare a casa. Poi è arrivata la telefonata di Meyer: l’amico Frederic Olivieri doveva tornare alla guida della Scuola di ballo e il sovrintendente mi ha offerto la direzione della compagnia con la quale ho ballato in molte occasioni. Ho detto subito sì».
E che ricordi ha della Scala da danzatore?
«La prima volta sono arrivato di corsa da Parigi, catapultato da Nureyev per ballare il suo Don Chisciotte: meno di una settimana di prove e subito in scena in una tempesta di emozioni. Poi sono venute tante altre bellissime serate con Manon o Notre Dame de Paris accanto ad Alessandra Ferri, Massimo Murru e Roberto Bolle».
Le manca ballare?
«No, ho ballato tanto. E poi guardando i ballerini provare in sala, aiutandoli a costruire i loro personaggi e vedendoli in scena sento di aver trovato la mia dimensione ideale».
Ha sempre voluto danzare?
«Sì, a quattro anni avevo già questo desiderio nonostante in famiglia non ci fosse nessun ballerino. Ricordo di aver visto il Lago dei cigni con Rudolf Nureyev e Margot Fonteyn e di essere rimasto sconvolto dalla bellezza della danza e dalla capacità della musica di fondersi con il gesto: questa è la magia, la forza del balletto».
Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala Manuel Legris in teatro e in prova con Carla Fracci
Intervista pubblicata su Avvenire del 30 gennaio 2021