Guglielmo Tell cavalca il drago della Storia infinita

Rossini diretto da Carlo Goldstein inaugura OperaLombardia con la regia fantasiosa di Bernard che ricorda il celebre film

Il piumone bianco, nel quale è avvolto, tirato sulla testa, gli occhi fissi sul libro che ha sulle ginocchia. Occhi che divorano le parole per vedere come prosegue la storia. Che si materializza davanti a lui e lo tira dentro, lettore che diventa protagonista ed elemento chiave della vicenda stessa. La memoria va ai ricordi di bambino – che poi sono ricordi vivissimi, perché quelle immagini fantastiche, fatte di giganti di roccia e di draghi volanti, sono fisse nel cuore insieme alle note di Neverending story di Limhal. Basta un attimo e Jemmy del Guglielmo Tell di Gioachino Rossini, nella rilettura borghese di Arnaud Bernard che porta la storia dell’eroe svizzero in una casa tedesca in pieno Ottocento, diventa Bastian de La storia infinita. Quella del romanzo – anno 1979 – di Micjhael Ende e del film – anno 1984 – di Wolfgang Petersen. Bastian, il bimbo che bullizzato dai compagni si rifugia nella soffitta della scuola e legge il libro che poi lo risucchierà nella storia. Jemmy, il figlio di Guglielmo Tell – quello costretto dal cattivo Gessler a mettersi una mela in testa che il padre dovrà centrare con la sua freccia – che nella rilettura di Bernard è un ragazzino vestito alla marinara perché il regista lo immagina figlio di una famiglia borghese ottocentesca, rimproverato da mamma e papà (che nella materializzazione della storia del Tell saranno Edwige e Guglielmo), rincorso da un maggiordomo (che si trasformerà in Gessler) e consolato da una sorella (che sarà poi Matilde).

Inizia così la storia, già sulle note della celeberrima sinfonia, nell’allestimento che ha inaugurato la stagione 2019/2020 di OperaLombardia, il circuito che riunisce Como e il Teatro Sociale, Cremona e il Ponchielli, Brescia e il Grande, Pavia e il Fraschini in un super cartellone che moltiplica i titoli e divide i costi di produzione. Inizia nell’Ottocento ed è poi un continuo dentro e fuori la storia con i personaggi della leggenda medievale del Tell che escono dal camino e  dall’armadio, si materializzano in sala da pranzo e nella cameretta di Jemmy dove i giochi evocano la Svizzera con laghi e foreste. Basta un grande foglio di carta crespa a disegnare una montagna o un telo blu per evocare il lago o della bambagia per dare forma a soffici nuvole. Tutto avviene in una grande stanza dei giochi (disegnata da Virgile Koering) dove quello che il ragazzo legge prende vita. Che è poi il racconto del libretto con la lotta degli svizzeri contro l’oppressore austriaco del melodramma tragico rossiniano, trasportato, però, anche questo da Bernard (affiancato da Yamal Das Irmich come puntuale collaboratore alla regia) in pieno Ottocento. Tanto che il cattivo Gessler sembra Francesco Giuseppe e Matilde è vestita come Sissi (costumi di Carla Galleri).

Un gioco scenico sicuramente intrigante. Ma nulla di più. Niente scavo intellettuale, niente domande su quale attualità possa avere oggi il Tell. Una regia dichiaratamente leggera, senza nessuna pretesa storica: non starebbe in piedi così come non reggeva, sussidiario alla mano, la trasposizione di Nabucco ai tempi delle Cinque giornate di Milano proposta sul palco dell’Arena di Verona. Gioco teatrale, questo del Tell, che mette da parte tutto l’aspetto politico della vicenda tanto che nel coro finale si ascolta la versione più “sentimentale” del libretto, quella che fa dire ai protagonisti «Quel contento che in me sento non può l’anima spiegar», piuttosto che quella politica dove Rossini mette in musica l’auspicio «Ogni cor pel santo evento alzi al grido un ciel tonante: di tuo regno fia l’avvento sulla terra, o libertà». Gioco affascinante, indubbiamente, piacevole da seguire e inseguire per capire l’intreccio dei doppi, scoprendo chi farà cosa e immaginando come verrà raccontata la scena della mela – Jemmy, in camicia da notte come i ragazzi Darling di Peter Pan si mette nel grande lampadario della stanza che viene sollevato in alto e il padre (naturalmente) centra la mela – o come verrà risolto il finale. Che è la parte più debole (esteticamente brutti i fulmini che le lucine disegnano sulle pareti durante la tempesta, brutto il vuoto di scena con i protagonisti che cantano le ultime frasi dietro le quinte per rientrare di nuovo in abiti borghesi mentre il coro arriva in platea e canta con l’effetto stereo) di uno spettacolo che, comunque, per tre ore sa catturare l’attenzione con trovate sceniche e bel ritmo narrativo.

Ritmo che non cala mai nella lettura musicale di Carlo Goldstein sul podio dei Pomeriggi musicali (ottoni non sempre impeccabili, ma bel suono compatto) e alla guida del coro (puntuale e molto musicale) di OperaLombardia. Sul leggio la versione italiana della partitura (ulteriormente tagliata rispetto a quella ripensata dallo stesso Rossini adattando e accorciando l’originale francese) che condensa la vicenda in tre atti. Guglielmo ha la bellissima voce baritonale di Gezmin Myshketa, Matilde quella corposa di Marigona Qerkezi, Arnoldo lo squillo di Giulio Pelligra. Irene Savignano è una risoluta Edwige, autorevoli Davide Giangregorio e Luca Vianello nei panni di Gualtiero e Leutoldo. Barbara Massaro è musicalissima e sempre in stile, ma è soprattutto instancabile scenicamente perché Bernard la vuole sempre in scena per tutte le tre ore a evocare la storia e a darle forma dalle pagine del libro, Jemmy del Tell, ma molto Bastian della Storia infinita e, perché no, anche un po’ ciascuno di noi spettatori, capaci (ancora?) di sgranare gli occhi e di giocare (con il teatro e con la musica) con lo stesso entusiasmo di un bimbo.

Nelle foto @Alessia Santambrogio Guglielmo Tell del circuito OperaLombardia