Aida, Verdi su una giostra di Gardaland

Diario Verdiano. 2

A Busseto torna lo storico allestimento del 2001 di Zeffirelli affettuoso omaggio al grande regista scomparso a giugno Michelangelo Mazza dirige i giovani dell’Accademia

Effetto Gardaland. E non è un’accezione negativa. Perché l’effetto che fa l’Aida sul palco del Teatro Verdi di Busseto è lo stesso che sta in un angolo della memoria di ragazzino che ricorda quando, su un carrello che si muove su rotaie, è entrato, come in una miniera, nella Valle dei Re, l’attrazione più gettonata (al tempo, quando avevo tredici anni) del primo parco dei divertimenti italiano, costruito sul modello di Disneyland. Effetto stupore, da lasciare a bocca aperta. Lo stupore di scoprire ad ogni curva del carrello un mondo incantato dove l’Egitto dei faraoni era ricostruito, teatralmente finto, volutamente artefatto, riccamente sovrabbondante, palesemente scenografico. Come le illustrazioni colorate dei sussidiari. Documentato su fonti archeologiche, sicuramente, ma reso volutamente pop. Ci stava nel parco dei divertimenti. Ci sta nell’opera lirica dove, come cantava Lucio Dalla, ogni dramma è un falso.

Eppure quello di Aida ti sembra così vero, visto e sentito a pochissimi metri di distanza, quasi dentro la scena del Teatro Verdi. Piccola sala che azzera le distanze (pur con in mezzo la buca dell’orchestra) tra palco e realtà. La realtà del pubblico che per quasi quatto ore (tanto dura lo spettacolo visto che le ridotte dimensioni del palco e quelle imponenti delle scenografie impongono tre intervalli) si sente tirato dentro le vicende che Verdi mise in musica per celebrare l’apertura del Canale di Suez. Occasione trionfalistica – giustamente celebrata per interposte vicende nel trionfo del secondo atto – ma zampata dell’artista che conferisce alla partitura una cifra intima. Quasi dramma borghese con il classico triangolo lui, lei e l’altra ambientato non in salotto, ma tra le piramidi. E attraversato, influenzato e indirizzato da logiche di potere quelle per le quali al condottiero Radames, che ha vinto la guerra contro i nemici etiopi, viene offerta (l’uomo forte al potere sembra essere sempre una garanzia) la mano della figlia del re, Amneris. Lei che è da sempre rivale di Aida, ovvero la ragazza di cui Radames è innamorato. Che moriranno entrambi sepolti vivi lo sappiamo tutti.

Vicende raccontate, per una volta non in versione kolossal, da Franco Zeffirelli nello spettacolo pensato nel 2001 (centenario della morte del compositore delle Roncole) e ripreso per l’edizione 2019 del Festival Verdi proprio nel teatro di Busseto – che è intitolato a Verdi perché da queste parti, come a Pesaro per Rossini, tutto si chiama come il compositore di casa: il teatro, la piazza, la pizzeria… Omaggio postumo e non preventivato (il titolo era programmato da tempo e già annunciato lo scorso anno) al regista scomparso a giugno.

Fascino intatto nell’effetto Gardaland delle scene firmate da Zeffirelli, completamente restaurate (diversi elementi erano ammalorati e i laboratori del Regio di Parma li hanno riportati allo splendore originale, pronti per viaggiare, da novembre, nei teatri del circuito OperaLombardia) e dei costumi da film storico hollywoodiano disegnati da Anna Anni. Kolossal in miniatura l’Aida di Busseto con Zeffirelli che, pur non rinunciando a nulla di ciò che solitamente c’è in Aida (delle sue varie edizioni del capolavoro torna la sacerdotessa Akmé affidata a una danzatrice e la scena su due piani dell’ultimo quadro), ha lavorato sullo scavo psicologico dei personaggi, fedele alla dimensione intima della partitura. Stefano Trespidi riprende fedelmente le indicazioni del regista e rimonta lo spettacolo che sa ancora stupire nelle innumerevoli invenzioni, prima fra tutte l’idea di raccontare il trionfo dalla parte degli ultimi, del popolo che, di palle al pubblico, guarda la parata che avviene sul fondo della scena e di sui si percepisce solo al polvere che si solleva al passaggio di cavalli e condottieri.

Il primo piano al quale costringe il teatro favorisce una recitazione cinematografica, fatta i piccoli gesti, di sguardi che raccontano i sentimenti che serpeggiano nella partitura. Che, pur essendo un lavoro della maturità, ha dentro quegli slanci eroici che avevano fatto la fortuna del primo Verdi. E che a volte, se non resi con il giusto equilibrio, danno a certe pagine fastidiose connotazioni veriste, come il duetto tra Aida e il padre Amonasro del terzo atto. Michelangelo Mazza sul podio dell’orchestra del Comunale di Bologna (in scena il coro preparato da Alberto Malazzi) si tiene al riparo da questo rischio restituendo la partitura in tutta la sua cantabilità, incalzante dove occorre, ma mai urlata (aiuta sicuramente anche l’organico ridotto con un solo contrabbasso e tre violoncelli). Il direttore, un tempo primo violino dell’orchestra del Regio, conferisce al suo racconto musicale una dimensione meditativa fatta di tempi mai troppo serrati e ampi abbandoni lirici.

Lo assecondano Maria Teresa Leva e Bumjoo Lee, lei con acuti cristallini e temperamento scenico disegna un’Aida risoluta e mai piegata dal destino, lui tratteggia un Radames eroico grazie ad uno squillo generoso e ad una voce avvolgente. Voci uscite dall’Accademia verdiana (e distribuite in due cast nel corso delle dieci repliche) quelle sul palco per questa Aida. Andrea Borghini è un convincente Amonasro, Daria Chernii offre il suo temperamento ad Amneris, Dongho Kim un autorevole Ramfis, Manuel Rodriguez un Messaggero che ascia il segno pur nella fugace apparizione, Rnzo Ran il Re e Luana Grieco la Sacerdotessa.

L’Egitto dei faraoni che, pur nell’effetto Gardaland, apre uno sguardo sulla realtà di oggi. Perché, pensando al tema del potere che attraversa i quattro titoli del Festival Verdi 2019, ti chiedi se per ritrovare la bussola in tempi in cui le crisi di governo si aprono in spiaggia non sia il caso che la politica torni ad ascoltare la lezione di Giuseppe Verdi. Lezione musicale che è, però, imprescindibilmente lezione etica e civile. Compito dell’arte. Verdi non giudica, racconta i fatti e ci chiede di riflettere. E fa uno passo in più, la pietà umana la mette nella sua musica. Aida, anche con l’effetto Gardaland, ne è la riprova.

Nelle foto @Roberto Ricci Aida al Teatro Verdi di Busseto