Richter, la mia musica fa danzare Virginia Woolf

Il compositore inglese ha scritto la partitura di Woolf works lavoro di Wayne McGregor ispirato ai romanzi della scrittrice Titolo che riporta Alessandra Ferri a ballare alla Scala

I romanzi di Virginia Woolf diventano danza. Succede al Teatro alla Scala di Milano dove domenica 7 aprile arriva (repliche sino al 20 aprile) Woolf works creato nel 2015 dal coreografo Wayne McGregor per il Royal ballet di Londra: la prima al Covent Garden ha segnato il ritorno sulle scene di Alessandra Ferri. Che anche a Milano darà corpo alle eroine della scrittrice britannica. Accanto alla Ferri, già etoile del Corpo di ballo milanese, Federico Bonelli (genovese, classe 1978, principal dancer al Royal ballet) e i danzatori scaligeri. Le musiche originali sono del compositore britannico Max Richter. «Per il balletto che, dopo Londra, ora va in scena al Teatro alla Scala, ho scritto una partitura che tiene insieme tre stili e tre livelli diversi tra loro di racconto musicale. E questo perché i romanzi che abbiamo scelto sono di periodi e stili molto diversi» racconta Richter, nato in Germania nel 1966 che ha raccolto le sue musiche per Woolf worksin una suite pubblicata dalla Deutsche grammo phon nel cd Three worlds: music from Woolf works. «C’è tutto il mio stile di compositore contemporaneo – racconta il musicista –, ma non ho rinunciato, in linea con le atmosfere dei romanzi, a guardare alla musica classica, in particolare a quella inglese».

E come ha immaginato, Max Richter, di raccontare in musica le storie di Virginia Wolf?

«Mrs. Dalloway è un romanzo del 1925 ed è una storia molto personale sulla memoria e le relazioni nel corso del tempo tra le persone nel tempo. È anche un romanzo molto british, ambientato a Londra. Per questo capitolo, in scena intitolato I now, i then, ho usato tecniche tradizionali di composizione, rifacendomi agli stilemi della musica britannica, una scrittura fortemente polifonica che guarda al passato e alla memoria, con temi ricorrenti in Dalloway. Ho voluto creare una sorta di scenografia sonora: il romanzo è ambientato a Londra, città affollata dove tutto può accadere e questo affollamento si sente anche nella musica. Il secondo atto dello spettacolo è ispirato a Orlando, un romanzo del 1928 che racconta la trasformazione del protagonista attraverso i secoli. Ho pensato che un buon modo per tradurre in musica la trasformazione potesse essere la forma della variazione declinato attraverso il tema della follia.  Le variazioni di Orlando, intitolato nel balletto Becamings, sono davvero folli, metronomo velocissimo, ritmo frenetico per tradurre in musica la scrittura folle pittoresca di Virginia Woolf. Nell’ultima parte del balletto ecco The waves, un lavoro del 1931 appartenente all’ultima fase artistica della scrittrice. Il brano che abbiamo intitolato Tuesday, si chiude con la voce di Gillian Andreson che legge la lettera scritta alla Woolf al marito prima di suicidarsi, di arrendersi alle onde (questo il titolo dell’ultimo romanzo) della sua depressione: una lettera in cui la scrittrice dice addio al marito, alla vita ed anche allo scrivere, al linguaggio, alle parole: uno scritto straordinario  e molto toccante. Tuesday diventa così un requiem per voce e orchestra. Ed anche qui mi sono rifatto alla musica britannica del passato contaminandola con il suono della natura, quello delle onde che danno il titolo al romanzo della Woolf».

C’è un modo particolare di scrivere musica per uno spettacolo di danza?

«Amo il balletto, amo comporre per il balletto anche se negli anni ho scritto pochi lavori destinati alla danza. Mi piace lavorare su cose che non conosco, che non comprendo. Non sono un coreografo e non conosco il senso profondo della danza, un’arte che, certo, comunica soprattutto emozioni e sentimenti umani. Non so, però, quali siano i meccanismi che traducano un sentimento in gesto e movimento . E questo per me è un processo magico di cui mi piace far parte con la mia musica. Mi sento come uno che sperimenta per provare a raggiungere un risultato»

Cosa significa per lei raccontare storie in musica?

«Le persone sono delle creature fatte di storie da raccontare, nei modi più svariati: in un brano di musica da eseguire in un concerto, in una fiction, in un romanzo, al cinema, in teatro, all’opera. Raccontare una storia implica inevitabilmente anche raccontare se stessi, un’autobiografia in cui si riflette su se stessi, sulla vita, si razionalizza, si guarda al passato e lo si traduce in una storia. Penso che chi crea qualcosa risponde ad una domanda fondamentale della vita: come ci avventuriamo in una giornata? come ci alziamo la mattina? come affrontiamo la nostra giornata? Quelli come Virginia Wolf, di cui ho messo in musica tre racconti per questo balletto, affrontano queste domanda e le affrontano da soli. È sempre interessante paragonare la loro esperienza con la nostra, sapere come hanno risposto a queste domande che sono le stesse nostre».

È autore di colonne sonore per serie tv e per pellicole come Shutter island  di Martin Scorsese e Valzer con Bashir di Ari Folman. C’è, dunque, un’idea cinematografica nella sua musica?

«Sì e no. Direi forse che c’è più un approccio cinematografico nel mio modo di comporre. Qualche anno fa ho scritto un pezzo per la violinista Hilayi Hahn e parlando con lei mi spiegava che trovava nella mia musica un luogo, un tempo, un modo narrativo di procedere. Ci ho riflettuto e in effetti quando scrivo cerco di mettere nei miei lavoro un approccio emozionale, che è la stessa cosa che capita al cinema: un approccio identico attraverso due differenti forme d’arte».

I suoi lavori spaziano, come detto, in vari campi. Di recente ha scritto anche il tema per la fiction di Rai1 L’amica geniale tratta dal romanzo di Elena Ferrante.

«Quando il regista Saverio Costanzo e i produttori mi hanno chiesto di lavorare a questo progetto ho detto subito di sì perché i romanzi della Ferante mi appassionano, sono, così come le mie partiture, uno storytelling. Sul set c’è stato un grandissimo lavoro di squadra, tutti, soprattutto i bambini, sono stati straordinari. E per me è stata l’occasione meravigliosa per scoprire un nuovo mondo, davvero autentico e rendermi conto, ancora una volta, come proprio i bambini hanno una forza incredibile e la capacità di trovare la loro strada e il loro posto nel mondo».

Tra i suoi lavori quello sicuramente più originale è Sleep, una sinfonia di oltre otto ore da ascoltare dormendo, in pigiama e a letto. Come le è venuto in mente di scrivere una partitura del genere?

«Sleep è un progetto sperimentale, ma anche culturale. Viviamo in un ambiente molto denso di informazioni, dove quotidianamente siamo martellati da notizie e nozioni, senza quasi avere il tempo per elaborarle. Questo progetto vuole aiutarci, attraverso la musica, a bloccare le informazioni in entrata e a liberare la creatività. Dedicarsi ad essa può essere una salutare vacanza dal quotidiano: se sei in una galleria d’arte e stai guardando un’opera puoi estraniarti da tutto il resto del mondo. Lo possono fare anche una musica, un film che sono in grado di trasportarti in un altrove rispetto alla quotidianità. Il progetto di Sleep diventa quasi una critica sociale, una forma di resistenza, una via sperimentale per ripensare la relazione tra il compositore e il pubblico: la partitura dura 8 ore 24 minuti e 21 secondi, quando l’abbiamo eseguita a Berlino al centro della sala, circondata dai letti, una formazione musicale con pianoforte, organo e sintetizzatore suonati da me, poi violini, una viola, due violoncelli e la voce di un soprano. Dormire è un’attività che tutti gli uomini condividono, tanto che passano un terzo della loro vita a dormire. E il sonno gioca un ruolo importante nel modo in cui strutturiamo la nostra vita mentale: quando dormiamo si solidifica la memoria, si imparano cose. Ho lavorato a lungo con il neuroscienziato americano David Eagleman per comprendere i meccanismi che il cervello umano mette in atto durante il sonno e ne è uscita una ninna nanna per un mondo frenetico».

Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala Woolf works