Scala, la meditazione sul dolore di Chung

Arriva all’ora del vespro. In un venerdì di Quaresima, nel tempo sospeso in cui la Chiesa fa memoria, nel rito della Via Crucis, della morte di Cristo. Arriva come una meditazione sul dolore incarnato, dolore che segna la carne e l’anima in questo presente di pandemia, il concerto sinfonico proposto da Myung-Whun Chung al Teatro alla Scala. Una meditazione sulla scena del Calvario, quando il lutto si è steso come un’ombra nera sul mondo, quando Maria sotto la croce ha avuto tra le braccia il corpo del figlio morto. Dolore che si è fatto il dolore di tutte le madri. Dolore che brucia e che urla. Prima la Sinfonia n.44 in mi minore di Franz Joseph, la Trauersinfonie, la sinfonia del lutto che il compositore austriaco chiese di suonare al suo funerale. Poi lo Stabat Mater di Gioachino Rossini, quadro teatralissimo che dipinge la scena del Golgota e la impasta  con i sentimenti dei personaggi che si stagliano sulla luce livida dell’eclisse di sole che, raccontano i Vangeli e le cronache del tempo, fu vista a Gerusalemme alle tre del pomeriggio quando «si fece buio su tutta la terra».

Sentimenti di terrore, di rabbia, di paura, ma anche di consolazione cantati da un uomo che prega, un uomo che guardando alla Madre che «sta» sotto la croce, guardandola negli occhi, chiede che «quando corpus morietur» sia donata all’anima «paradisi gloria». Chung prima affronta il lutto con un Haydn ombreggiato, intimo, tutto interiore, quasi a trattenere un dolore che, comunque, c’è. E che esplode, ribollendo quasi come provenisse da un magma tormentato, nella grande pagina rossiniana. Orchestra in platea, coro (magnificamente preparato da Bruno Casoni) nei palchi (e con mascherina), solisti all’ingresso della sala, issati in alto con il palco reale a fare da quinta di fondo sulla grande pedana che ha inghiottito le poltrone. Il coro disegna la scena del Calvario, il tenore evoca la spada che trafigge l’anima a Maria, soprano e mezzosoprano si chiedono chi non piangerebbe vedendo il dolore di una madre che ha perso un figlio, il basso ammonisce che Cristo si è sacrificato per i peccati del suo popolo e il grido di terrore dell’Inflammatus, quando il soprano chiede di non essere dannato all’inferno, si placa nell’Amen finale. Chung (che dirige tutto a memoria) imprime un passo più meditativo che teatrale alla scrittura rossiniana, affonda le mani nude nei pezzi a cappella che riveste di una solenne lentezza, quasi metafisica, capace di sorprendere e spiazzare. Disegno perfettamente assecondato dai solisti, magnifica Rosa Feola nella drammaticità impressa all’Inflammatus, svetta René Barbera nel virtuosistico Cujus animam, colori cupi e pastosi, in bilico sull’abisso, per Veronica Simeoni e Alex Esposito.

La diretta di venerdì 5 marzo ancora disponibile su RaiPlay. Il concerto sarà poi trasmesso in differita su Radio3 il 29 marzo alle 20.30 e su Rai5 il 31 marzo alle 21.15.