Noi direttori, sul podio con il Verdi politico

Roberto Abbado, Sebastiano Rolli e Riccardo Frizza raccontano le opere che dirigono al Festival di Parma 2022 La forza del destino, Il trovatore e Simon Boccanegra

Sempre Verdi. Tanto Verdi nelle agende di Roberto Abbado, Sebastiano Rolli e Riccardo Frizza. Perché il musicista delle Roncole «è il compositore che meglio ha saputo raccontare l’Italia e gli italiani». Ieri come oggi, concordano i tre direttori d’orchestra – tutti italiani – impegnati sul podio nell’edizione 2022 del Festival Verdi di Parma. La forza del destino, Il trovatore e Simon Boccanegra i tre titoli del cartellone che si apre il 22 settembre e va avanti sino al 16 ottobre. Un filo rosso “politico” attraversa le opere che vanno in scena con la regia di Yannis Kokkos, Elisabetta Courir e Valentina Carrasco. La guerra ne La forza del destino, la lotta per il potere (che è anche una lotta per l’amore) nel Trovatore, la pace nel Simon Boccanegra – che va in scena, però, nella prima versione del 1857, dove manca la grande scena del consiglio con l’accorato appello del Doge «e vo gridando pace». Politico, come lo è sempre stato Verdi nel suo essere musicista. Nel suo essere voce di una coscienza civile e politica di una nazione che nasceva. E che oggi, nella sua musica, cerca di ritrovare quei valori universali che il mondo – in guerra – sembra aver smarrito. Ecco il cuore dell’intervista tripla con i tre direttori dell’edizione 2022 del Festival Verdi di Parma.

Roberto Abbado, direttore musicale del festival (il suo mandato scadrà a fine anno), nato a Milano nel 1954 in una famiglia (notissima) di musicisti, il padre Marcello, lo zio Claudio: la Scala e il Metropolitan, il Concertgebow di Amsterdam, il Gewandhaus di Lipsia e la Staatskapelle di Dresda nel curriculum del musicista che dal 22 settembre al Regio ha sul leggio l’edizione critica (curata da Philippe Gosset e William Holmes) de La forza del destino, dove cantano Gregory Kunde, Liudmyla Monastyrska, Amartuvshin Enkhbat, Annalisa Stroppa, Marko Mimica e Roberto de Candia.

Sebastiano Rolli, classe 1975 di Colorno in provincia di Parma, anche lui cresciuto ascoltando musica (il padre direttore di coro) prima degli studi a Parma e Milano. Tanta opera e una “specializzazione” sul melodramma italiano dell’Ottocento, Verdi, naturalmente, ma anche Rossini, Donizetti e Bellini. Rolli dal 24 settembre dirige Trovatore (edizione critica di David Lawton) nella sede “decentrata” del Teatro Girolamo Magnani di Fidenza con angelo Villari, Anna Pirozzi (nelle repliche ci sarà Silvia Dalla Benetta), Simon Mechlinski e Enkelejda Shkoza (nelle repliche tocca a Rossana Rinaldi).

Riccardo Frizza, bresciano, classe 1971, direttore musicale del Donizetti opera di Bergamo, ma da sempre direttore di riferimento per il melodramma ottocentesco. Che ha diretto in tutto il mondo dalla Scala al Metropolitan, da Parigi a Barcellona. Frizza, nominato di recente direttore principale dell’orchestra e il coro della Radio ungherese di Budapest, sarà sul podio del Regio dal 25 settembre per Simon Boccanegra nella prima versione del 1857 con le voci di Vladimir Stoyanov, Roberta Mantegna, Piero Pretti e Riccardo Zanellato.

 

Ecco le loro voci (le propongo in oridne di debutto dei titoli che dirigono), le loro riflessioni su Verdi e sull’attualità di un compositore che è stato «il più grande italiano dell’Ottocento»

Come spiegherebbe, a chi verrà in teatro ad ascoltare l’opera, la partitura di Giuseppe Verdi che ha sul leggio?

Abbado «La forza del destino è un’opera particolare nel catalogo verdiano, uno dei capolavori di Verdi e un unicum nella sua produzione. L’autore, mettendo in scena questa strana storia, è come se volesse dimostrare una tesi: il fato, una volta individuate le proprie vittime, le deve colpire sena dare loro tregua. Penso che Verdi sia stato attirato dalla potenza e dalla verità delle situazioni per dimostrare questa tesi, “inventandosi” un esperimento drammaturgico inevitabilmente caotico, ma che gli ha permesso di concentrarsi sulla musica che, curiosamente, appare molto coerente nella sua sperimentalità. Una partitura, che presentiamo nell’edizione critica della versione del 1869 per Milano, dove Verdi ha la possibilità Verdi di approfondire l’armonia che è molto moderna e avanzata e ha come conseguenza la scelta di intervalli melodici molto difficili da eseguire. Alla fine tutto torna, un cerchio si chiude in un’opera che negli anni Sessanta e Settanta sarebbe stata definita strutturale».

Rolli «Il trovatore, scritto nel 1853 per Roma, è un’opera di belcanto nella quale cerco di recuperare la dimensione del notturno popolare, una ballata in cui le passioni sono sublimate poeticamente dalla musica. Quest’ultima diventa, come sempre in Verdi, la sostanza del dramma. L’oggettività delle scelte armoniche, ritmiche e melodiche, ci riporta ad una macro forma sonata nella quale si affaccia il principio della musica assoluta applicata al melodramma romantico».

Frizza «Di Simon Boccanegrea proponiamo la prima versione del 1857, scritta per la Fenice di Venezia. Occorre cercare di dimenticare l’altra versione del 1881 della Scala, ascoltandola come se fosse una partitura nuova, senza avere in mente quello che diventerà poi. Certo è difficile. Ho cercato di vederla più vicina a Trovatore e al mondo di fine anni Cinquanta di Verdi che a Otello e ai capolavori della maturità. Questa versione mostra come Verdi già nel 1857 fosse alla ricerca di qualcosa di particolare, di un linguaggio nuovo e moderno: questo Simone  è già in embrione il capolavoro che sarà poi il Boccanegra del 1881. Certo, nel 1857 a Verdi mancava il vocabolario che avrebbe acquisito nel 1881. Non solo, il pubblico forse non era pronto a un linguaggio così avanzato che pure c’è in parte nella partitura: e Venezia, così come fece con Traviata, fischiò il Boccanegra. Il “colore” del secondo Simone Verdi lo trova e lo matura grazie all’esperienza francese. Pensiamo solo a come cambia l’aria di Amelia – stesse note, ma diversa orchestrazione e dunque diverso colore – che nella versione del ‘57 prevede una cabaletta che poi sarà eliminata».

Quale attualità in una partitura scritta più di un secolo e mezzo fa? E quale in generale l’attualità di un autore come Verdi?

Abbado «Il terzo atto di Forza racconta la guerra e i richiami alla nostra attualità sono drammaticamente evidenti. Non solo, una figura come quella di Don Carlo, tipico personaggio del dramma spagnolo che deve per forza avere vendetta, oggi mi fa pensare a quegli uomini, specie in alcune zone del Medioriente, che mettono la difesa dell’onore davanti a tutto. L’opera è costruita su grandi pannelli tematici, il terzo atto è tutto militare mentre il secondo è tutto incentrato sulla spiritualità. Un tema che da sempre accompagna l’uomo, che lo interroga e gli fa scaturire domande. E nella versione milanese, seguita quella di San Pietroburgo del 1862, torna l’afflato spirituale, nel finale, nel momento della morte di Leonora, così si chiude un cerchio».

Rolli «L’opera d’arte, quando è tale, interpella continuamente la contemporaneità. Il concetto di tempo non può essere applicato ai classici: Verdi e Il trovatore sono classici in quanto vivono costantemente nel presente. Verdi è autore contemporaneo, la sua opera parla all’oggi nella misura in cui parlava al tempo in cui è nata: la differenza è che ora abbiamo bisogno di più strumenti critici e culturali per decodificarne il messaggio e riportarla alla sua dimensione pubblica. Il trovatore ci parla di passioni politiche e amorose; di sentimento materno, fraterno, coniugale come di vendetta, sacrificio e gelosia. Si tratta di archetipi che vivono nella dimensione del mito (ossia del racconto). Tutto ciò è presente oggi come lo era a metà Ottocento. Il significante attraverso cui vengono veicolati questi stati d’animo è la bellezza musicale nei suoi intrecci più profondi: la musica è utilizzata quale linguaggio dell’animo umano».

Frizza «Nel Simone del 1857 non c’è la grande scena del consiglio, cuore della versione del 1881 e con una forza politica e civile unica nel panorama delle opere verdiane. Così questo primo Boccanegra perde un po’ il peso politico che avrà il rifacimento milanese. La relazione tra i personaggi si ferma all’amore, al desiderio di vendetta, alle cospirazioni. Certo Verdi ha sempre qualcosa di contemporaneo perché mette in scena qualcosa di attuale per il suo tempo che è contemporaneo anche a noi oggi. Qui a Parma la regista Valentina Carrasco ha scelto un segno molto forte, leggendo la vicenda sotto la lente dell’ambientalismo, un tema a lei caro. Mancando la grande scena politica il discorso può tornare e dare un gancio con il nostro presente».

Chi sono i personaggi che Verdi mette in scena in quest’opera? Quali i sentimenti che ce li rendono vicini?

Abbado «Leonora è una donna la ricerca della pace spirituale per trovare conforto a un dramma interiore. Quante persone oggi Vivolo la sua stessa condizione! Il Padre Guardiano, una bellissima figura per il quale Verdi sceglie una scrittura modale (Melitone ha una sua connotazione più popolare), è un uomo di fede, che indica una via, che unisce in una sola figura due figure dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni, Fra Cristoforo e il cardinale Borromeo. Figure che, se guardiamo bene, ci sono ancora nel nostro mondo».

Rolli «Nel Trovatore i sentimenti sono incarnati da personaggi tipici del teatro romantico: Manrico Leonora e il Conte di Luna, i due innamorati e il terzo incomodo. vivono una passione sognante e pronta all’estremo sacrificio. E sono gli stereotipi del romanticismo europeo. La cadenza liederistica del Trovatore si fa sentire proprio nell’essere eterno wanderer di Manrico, quanto nella declinazione leopardiana dei versi di Cammarano cantati dagli altri personaggi. Azucena è il motivo estraneo a tale simmetria: lei si esprime sempre nella tonalità di mi minore in ritmo ternario (addirittura il racconto di Ferrando che a lei allude in apertura dell’opera è in 3/4 nella tonalità di mi minore quasi a voler svelare l’assassino prima che i fatti si svolgano). A sottolineare l’idea radicata di forma sonata in Verdi è il racconto di Azucena Condotta ell’era in ceppi. Si tratta di un 6/8 (ritmo binario a suddivisione ternaria) nella tonalità di la minore: dopo l’esposizione nella tonalità d’impianto (mi minore) ecco apparire il secondo tema alla sottodominante come in una classica sinfonia di Haydn (non è certo casuale, dal momento che Haydn è uno degli autori da capezzale di Verdi). Così, a dramma quasi consumato quando l’epilogo e il trionfo di Azucena si avvicinano, ecco il mi minore trasformarsi alla relativa maggiore (sol maggiore) nell’Ai nostri monti ritorneremo. Aggiungo che le quattro arie dei personaggi principali due di Leonora, una di Manrico e una del Conte, hanno come indicazione 50 di metronomo alla semiminima, mentre 100 (esattamente il doppio) nella cabaletta (Azucena è l’unica a non partecipare di ciò). Questa simmetria, immersa in una cornice tonale così forte (Leonora e Manrico cantano le proprie arie entrambi in fa minore) ci restituisce un’idea di quanto la struttura formale in Verdi fosse l’architettura vera e propria del dramma. Un’impalcatura di relazioni e interazioni assolutamente oggettive e mai casuale, Verdi era troppo grande musicista».

Frizza «Amelia è il personaggio a cui il pubblico e tutti noi vogliamo da subito bene appena entra in scena. Simone – più nella seconda versione, certo, dove chiede pace – è l’uomo politico illuminato di cui il nostro mondo avrebbe bisogno».

C’è un personaggio dell’opera al quale si sente particolarmente vicino? E c’è qualche personaggio, invece, dal quale si sente particolarmente distante?

Abbado «Fra Melitone è sicuramente il personaggio di quest’opera che amo di più, un uomo di fede, ma anche con quella schiettezza popolare, quell’ironia e quella verve che non guastano. È un francescano e ha proprio le caratteristiche dei religiosi di quest’ordine. Nella sua verve sferzante e tagliente ci rivela anche tutte le sue debolezze, le gelosie, il non sentirsi all’altezza di altri nel convento, ce lo mostra in tutta la sua umanità Lo abbiamo già detto a proposito del Padre Guardiano, in Verdi c’è un’influenza di Manzoni e nel caso di Melitone di un personaggio come Don Abbondio, anche se Melitone non è codardo come il curato manzoniano. Da Melitone, poi, avrà origine quel gigantesco personaggio che è Falstaff».

Rolli «Non mi immedesimo nei personaggi dell’opera. O meglio: in ognuno di essi ritrovo qualcosa della mia vita in quanto espressione di un’umanità complessa e sfumata. Allo stesso modo non sento una distanza fra loro e me, perché anch’io faccio parte dell’umanità e come loro vivo tutte le passioni che li muovono».

Frizza «Diciamo il personaggio da cui mi sento assolutamente distante, Paolo un personaggio infame che attraverso l’asservimento al potere cerca di ottenere quello che vuole. Verdi lo dipingerà ancora meglio nella seconda versione, quando nella scena finale sarà condannato a morte per le sue malefatte. Qui invece a un certo punto Paolo scompare e se ne perdono le tracce, resta irrisolto, ma pur sempre un personaggio negativo».

Quale la “novità” musicale di questo titolo?

Abbado «La forza del destino è un’opera kolossal, dura più di tre ore. Un fiume in piena di musica intensa e molto moderna, un Verdi sperimentale e molto avanzato. Già dalla sinfonia. Che non appare una composizione rapsodica, una fantasia sui temi dell’opera, ma, pur essendo stata scritta al termine della composizione riassumendo i temi del melodramma, ha in sé una potenza e una forza trascinanti. Non solo, ha una drammaturgia che fa sì che i temi che poi torneranno nel corso dell’opera suonino come un’emanazione dalla sinfonia. Tutto nasce da lì. Verdi scolpisce i personaggi nella musica e ce li presenta isolati (come nel Ballo in maschera dove le arie dei tre protagonisti arrivano solo nel terzo atto quando i personaggi sono soli e il loro destino è segnato): si confrontano con il popolo (e nei grandi pannelli, nei grandi quadri Verdi dipinge delle miniature, piccoli ritratti umani come Trabuco ), ma compiono da soli il loro percorso. E alla fine i protagonisti trovano una sorta di unità grazie alla figura del Padre Guardiano che riporta tutto a una dimensione spirituale, ultraterrena, che lascia da parte odi e vendette: ad Alvaro che vedendo spirare Leonora dice “Morta!” lui risponde “Salita a Dio”».

Rolli «Verdi crea un teatro civile da subito. La novità consiste nel mettere in primo piano il personaggio inserito in un contesto sociale e politico: gli uomini di Verdi agiscono in relazione al loro ruolo storico. Non si tratta più degli eterni innamorati che bruciano la loro esistenza nell’attimo scenico, ma di uomini e donne in carne ed ossa dei quali possiamo intuire un passato e un futuro. La rivoluzione drammaturgica avviene prima nelle note della partitura, poi nel travestimento di esse in cui consiste la messinscena. Le innovazioni in Verdi partono sempre prima dalla musica per ripercuotersi nel dramma (che non è altro che la traduzione visiva della musica). La politica prende il sopravvento su tutto, l’amore non è che un pretesto per parlare d’altro, per creare un personaggio conscio del proprio ruolo storico e civile. Manrico giace nella torre “ove di Stato gemono i prigionieri”. Da genere di intrattenimento, il melodramma in Verdi diventa motivo di riflessione etica, di dibattito sociale, di educazione e formazione civile. Questa la rivoluzione. Ma tutto parte dalla musica e solo in virtù di questa si traduce in rappresentazione visiva. Dopo Il trovatore il protagonista verdiano verrà inserito sempre più in un affresco storico e quest’ultimo acquisterà ruolo protagonista nella drammaturgia del maestro».

Frizza «Le novità musicali in Simone sono parecchie. Certo ce ne sono più nella seconda versione, quella con un “colore” tutto suo. Non solo. Nel secondo Boccanegra il canto di Gabriele Adorno nel primo atto è fuori scena mentre qui è un tempo di mezzo della cabaletta di Amelia. Il concertato finale del secondo, costruito benissimo con una grande sapienza musicale, ha echi donizettiani».

Quale l’opera verdiana che sente più vicina? E quale quella che le piacerebbe interpretare, ma non ha ancora diretto?

Abbado «Sino ad ora non l’ho mai diretta, ma un giorno mi piacerebbe affrontare Otello. Ho nell’orecchio la lettura ancora oggi insuperata di Carlos Kleiber. Un’opera che amo e che mi dà sempre soddisfazione dirigere è sicuramente Macbeth che ha sempre una sua urgenza, una sua attualità… un titolo anhce più facile da realizzare rispetto ad Otello che resta un mio traguardo».

Rolli «Difficile dire quale opera sento più vicina. Sicuramente l’opera verdiana che più mi commuove è Falstaff, una riflessione amara e crepuscolare sulla vecchiaia. È la vita che sfugge fra le mani di un personaggio che sente il tempo passare senza poterlo arrestare. L’epilogo del teatro verdiano, il testo in cui si fa sintesi fra il categoriale e il trascendentale, per dirla con Manzoni, dove Verdi “possiede il sugo della storia”: un’autobiografia in forma di apologo. Fra le opere che non ho mai diretto e che vorrei dirigere ci sono La forza del destino, opera cruciale nella parabola drammaturgica verdiana, Don Carlo e Simon Boccanegra.

Frizza «Sicuramente l’opera che amo di più è Otello. Insieme ad Aida. Che sono poi i due titoli verdiani che ho diretto di più. Opere dalla costruzione musicale perfetta. In Otello, ad esempio, ci sono pagine che quando le dirigi stimolano in te  qualcosa capace di portarti in un’altra dimensione: la musica ti rapisce e dimentichi il livello tecnico. Diciamo che, a parte i titoli poco frequentati come Alzia ed Aroldo, ho diretto praticamente quasi tutto il catalogo verdiano, manca Ernani che farò a marzo alla Fenice di Venmezia. E mancano I vespri siciliani che è una di quelle partiture che vorrei davvero affrontare».

Chi è Verdi, per lei, artista e uomo del 2022?

Abbado «Come artista Verdi mi sorprende ogni volta che l’ho sul leggio perché non si ripete mai, cerca sempre di rinnovarsi. Anche dopo un successo non si replica, ma si rinnova. Il suo faro, la sua tensione principale è stata sempre la ricerca. Come uomo, specie in un periodo delicato come quello che l’Italia e il mondo stanno attraversando, non posso non apprezzare il compositore che come nessun altro ha rappresentato la coscienza civica dell’italiani».

Rolli «Verdi è stato senza dubbio il più grande italiano dell’Ottocento. Il suo epistolario ha come unico paragone quello di Leopardi. Verdi ha percorso un secolo di vita passando dal dominio napoleonico sino al penultimo re d’Italia. Quando è nato l’unico mezzo di locomozione era la carrozza trainata dai cavalli, alla sua morte la Fiat aveva già un paio d’anni e le automobili giravano per le strade delle grandi città. Verdi rappresenta un ideale di italiano con grande senso della comunità sociale, un uomo con i piedi ben radicati nella terra, ma allo stesso tempo con un’anima capace di dare vita a realtà in grado di spiegare a noi stessi la nostra realtà. Fu un genio assoluto, un grande uomo di teatro in quanto grande musicista, non viceversa. Verdi fu come Mozart e Beethoven, un grande compositore che ha saputo utilizzare il proprio linguaggio artistico per rivelare all’uomo la propria profondità e dargli strumenti per leggere il mondo».

Frizza «Verdi e la sua musica hanno segnato la mia vita, sin da quando ero bambino: anche se nella mia faniglia non ci sono musicisti abbiamo sempre ascoltato i cori verdiani in auto. Mettendo nell’autoradio le musicassette. Poi è rimasto impresso nella mia memoria lo sceneggiato Rai su Verdi, passato in tv quando ero ragazzo e già studiavo musica: mi ha affascinato il fatto di vedere come Verdi sia riuscito a far emerger il suo grande talento in un contesto contadino e povero come quello in cui nacque il compositore emiliano. Mi ha segnato l’immaginario e ho sempre seguito questa idea, credendoci».

Ci sarà ancora Verdi nella sua agenda?

Abbado «Verdi sicuramente ci sarà sempre. Autori grandi ce ne sono, ma il compositore emiliano è quello che suscita sempre la mia ammirazione. E insieme a Mozart e Wagner rappresenta le tre vette assolute della musica».

Rolli «Sicuramente il mio rapporto con Verdi è costante. Mi aspetta un Rigoletto in novembre. Poi spazio a Rossini e Donizetti. Soprattutto il mio dialogo proseguirà con Haendel Haydn, Mozart, Beethoven e  Wagner in sede sinfonica prima di tornare alla Fenice di Venezia con I due Foscari che debutterò il prossimo anno».

Frizza «Sempre Verdi. Una volta fatta la prima di Simone  a Parma farò il pendolare con Barcellona per Trovatore. Dirigerò poi Traviata a Bologna e Ernani a Venezia. Tanto Verdi, l’autore che ho diretto di più in assoluto… insieme a Donizetti che continuo ad affrontare al Donizetti opera di Bergamo di cui sono direttore musicale».

Nelle foto @Roberto Ricci La forza del destino, Il trovatore e Simon Boccanegra