Siri, la mia Adriana riporta il pubblico a teatro

Il soprano in scena al Maggio fiorentino con la Lecouvreur prima opera con gli spettatori in sala dopo le chiusure

Alla ribalta, quando il buio piombato sul palco alla fine della musica di Francesco Cilea viene rischiarato da una luce che squarcia il nero, esce da sola. Gli occhi lucidi. Il viso rigato dal sudore che, insieme alle lacrime, fa sciogliere il trucco. Dice qualcosa. Cerchi di leggere il labiale. «Grazie». Un semplice: «Grazie». In italiano. «Lo dico, ogni volta che esco a raccogliere gli applausi, nella lingua del posto dove mi trovo a cantare». Le braccia aperte che poi si chiudono in un abbraccio. «Avrei voluto scendere in buca ad abbracciare gli orchestrali uno per uno. Poi in platea, a stringere ciascun spettatore: erano in cinquecento, ma sembravano cinquemila, ho sentito una tensione positiva, una grande concentrazione di ascolto». Maria José Siri racconta così l’emozione della prima di Adriana Lecouvreur al Teatro del Maggio di Firenze. Il soprano uruguaiano veste i panni della attrice della Comedie francais (raccontata in musica da Cilea ispirandosi a Scribe) nell’opera inaugurale del Maggio musicale fiorentino edizione numero ottantatré. Primo titolo lirico (con regia, scene e costumi) ad andare in scena in Italia con il pubblico in sala dopo sei mesi di chiusura dei teatri. Merito del sovrintendente Alexander Pereira, vulcano di idee, sempre pronto a programmare e riprogrammare, a inventarsi progetti, a mettere in calendario appuntamenti quasi dall’oggi al domani. Lo ha fatto con il Maggio, festival pronto sulla carta, pronto soprattutto in teatro, perché si è provato a porte chiuse per andare in scena anche in streaming. Ma poi varato con gli spettatori in sala a tempo di record, subito dopo il via libera del governo. «Pereira – gli rende merito Maria José Siri – in questi mesi non ha mai fermato la macchina del Maggio per non lasciare il pubblico senza musica e noi artisti senza lavoro».

Ma lei, Maria José Siri, ci credeva? Pensava che sareste riusciti ad andare in scena con il pubblico?

«Avevo un sogno ed era quello di fare Adriana Lecouvreur con il pubblico. E quando ho un sogno ci credo. Per me era scontato che saremmo andati in scena con le persone in sala. Non provavo nemmeno a pensare il contrario. La notizia che eventualmente aspettavo sarebbe stata quella di fare l’opera a porte chiuse, trasmettendola in streaming. Ma per fortuna non è arrivata e abbiamo fatto più repliche del nostro spettacolo».

Come ha vissuto questi mesi senza il pubblico in sala? Ma anche i primi, difficili, quelli senza il teatro?

«La pandemia per me è iniziata proprio con Adriana Lecuovreur. Avevo scelto il Teatro Petruzzelli di Bari per il mio debutto nei panni del personaggio di Cilea. Il 4 marzo 2020 era in programma la prima, ma quando sono arrivata in teatro, tre ore prima dell’inizio della recita, non si sapeva se quella sera il sipario si sarebbe alzato. Siamo andati in scena, ma con poche persone in sala. Quella è stata l’unica replica dello spettacolo, poi i teatri hanno chiuso. E, come tutti, mi sono chiusa in casa: ho studiato, preparando nuovi ruoli, ma ho fatto molto fatica perché mi mancavano il teatro, le prove, il confronto con i colleghi. Un anno fa come ora si vedeva solo il buio, nemmeno una luce piccolissima alla quale aggrapparsi. A giugno finalmente ho ripreso a cantare e la prima cosa che ho fatto dal vivo è stato un concerto in chiesa a Verona, dove vivo. Poi in estate gli appuntamenti all’Arena e mi è sembrato di rinascere. Non è durato a lungo, però. I teatri hanno richiuso in ottobre. Ora ritrovare il pubblico è ritrovare il senso del nostro lavoro, perché da artista il pubblico è la mia altra metà, quello per cui la nostra arte ha senso di esistere».

Parlando di arte, Adriana è un’attrice…

«E la vera Adriana era anche mamma. Come me. Per questo la sento ancora più vicina come donna, come mamma, come artista: Adriana è un personaggio che aiuta Maria José ad essere migliore. Come “umile servitrice” dell’arte sono sempre alla ricerca della bellezza, voglio sempre di più, non voglio mai un limite e questa sete di ricerca poi mi dà tanta libertà dal punto di vista musicale».

La Lecouvreur alla fine vede «la luce che mi seduce». Cos’è per lei questa luce?

«La luce dell’arte, la luce del teatro. Basta che ci sia questa luce, pur piccola che fa vedere il palco dove c’è già l’arte. E così parte il mondo magico del teatro. Il teatro è un posto vuoto e buio da illuminare e da riempire, un luogo che si trasforma in realtà parallela dove tutti possiamo sognare. Io lo faccio con Adriana, un personaggio, un vestito che mi si adatta sempre meglio nel corso delle repliche».

Come si è cucita addosso questo vestito durante le prove?

«Lavorando tanto. Come faccio sempre, perché sono una che vuole provare molto, per cadere e imparare poi a rialzarsi. E i miei colleghi, con i quali mi piace scherzare, avendo sempre la battuta pronta, sanno che se c’è una mezz’ora libera io chiedo di continuare a lavorare. Sono sempre l’ultima ad andare a casa. Se penso ad Adriana, penso a Magda Olivero, a Raina Kabainvaska, a Mosertrat Caballé, ma a un certo punto devi spogliarti di questo passato e fare la tua Adriana, spogliarsi da qualsiasi tipo di preoccupazione per far nascere qualcosa di vero. Con il regista Frederic Wake-Walker abbiamo scavato a fondo nel personaggio, una donna che più che amare Maurizio ama l’arte. Poi è arrivato Daniel Harding e ha spazzato via manierismi e tradizioni guardando lo spartito per come è scritto. In una prova d’insieme mi sono commossa e non sono più riuscita a continuare: la musica mi ha provocato un pianto che non sono riuscita a fermare. Mi era capitato anche la prima volta che ho fatto Madama Butterfly. In prova ce lo possiamo concedere, ma durante la recita dobbiamo fermare l’emozione dentro per poi trasmetterla fuori».

A proposito di Madama Butterfly, il titolo pucciniano l’ha vista inaugurare nel 2016 la stagione del Teatro alla Scala con la bacchetta di Riccardo Chailly. Una svolta per la sua carriera?

«Per quella Butterfly ho fatto l’audizione il 1 aprile, pensavo ad uno scherzo. Mi sembrava anche strano che Riccardo Chailly avesse chiesto di sentire me. Quando mi scelse pensai che mi volesse plasmare e fare con me il personaggio che aveva in mente, riproponendo la prima stesura della partitura. Quel ruolo sicuramente mi ha dato una grande visibilità grazie anche alla diretta di Rai1, però avevo già una carriera avviata e avevo già cantato al Teatro alla scala».

Come è iniziata la sua carriera?

«Avrei dovuto fare la pianista, ma poi ho scelto il canto. In Uruguay ho cantato per dieci anni come corista. Poi mi sono trasferita in Italia, da dove uno dei miei antenati era partito alla volta dell’Uruguay. Il debutto è stato al Carlo Felice di Genova, Leonora ne Il trovatore diretto da Bruno Bartoletti che mi prese mentre studiavo ancora con Ilena Cotrubas. Ricordo che era un periodo di scioperi, ma due recite riuscii a cantarle. Ho cantato molto in Italia. Ricordo un Aida a Palermo, dopo l’audizione mi avvicinò Franco Zeffirelli e mi disse: Se riesci a farti piccina piccina farai i miei Pagliacci a Firenze. Li cantai e in scena facevo anche la ruota. Sempre a Firenze cantai Aida con Zubin Mehta: Ferzan Ozpeteck firmava la sua prima regia lirica e noi del cast gli spiegavamo molte cose di questo mondo per lui nuovo».

Dopo la Lecouvreur di Firenze cosa l’aspetta?

«Prima di Firenze ho fatto Adriana a Las Palmas con l’orchestra un po’ ridotta e la partitura accorciata perché il pubblico li può stare al chiuso solo per due ore. Purtroppo all’estero stanno cancellando molti spettacoli. In Italia si sta provando a posticipare le produzioni. Questa estate sarò in Arena per Aida, ma anche per Cavalleria rusticana e Pagliacci. Sto studiando Lady Macbeth anche se non la farò a breve e poi preparo La fanciulla del west di Puccini. Mi piacerebbe fare in Italia La juive di Halévy. E sto cercando di muovermi su più fronti perché mi piace essere quello che posso fare: verdiana, pucciniana, verista… senza etichette».

Nelle foto @Michele Monasta Maria José Siri in Adriana Lecouvreur al Teatro del Maggio