Micheletti, io factotum del palcoscenico

Figlio d’arte cresciuto nella compagnia di famiglia I Guitti l’attore e baritono bresciano debutta nella regia lirica firmando una Carmen in bianco e nero a Ravenna festival

Per tutto il tempo delle prove di Carmen ha fatto su e giù dal palco del Teatro Alighieri. Un po’ a metà platea, seduto al tavolo di regia, poi in scena a provare il celeberrimo «Toreador» di Escamillo. «Di solito mi capita di farlo in prosa, a Ravenna è successo per la prima volta con la lirica, ma con la rete di protezione di un personaggio che ho già cantato e di una squadra di collaboratori formidabile». Luca Micheletti firma la regia della Carmen di Bizet, titolo che domani chiude il primo ciclo di repliche della Trilogia d’autunno, appendice del Ravenna festival – in scena anche Norma di Bellini e Aida di Verdi con la regia di Cristina Mazzavillani. «Fu proprio lei a scritturami lo scorso anno per il ruolo di Jago nella sua versione dell’Otello verdiano. E poi mi propose di firmare la mia prima regia lirica» racconta Micheletti che sarà anche in scena nei panni di Escamillo. «Un modo per continuare a vivere dal di dentro la propria creatura che un regista, solitamente, abbandona alla sua strada alla fine della prova generale» dice Micheletti, bresciano, classe 1985, figlio d’arte, attore e regista di prosa, scrittore e drammaturgo, cresciuto nella compagnia di famiglia, I Guitti: «Siamo eredi della tradizione del teatro di giro di fine Ottocento, attori nomadi che portavano in tutta Italia i grandi capolavori del teatro di tutti i tempi da Shakespeare a Goldoni a Pirandello. Sin da piccolo li ho amati e appena ho potuto sono salito sul palco con mamma e papà, prima come attore e poi come regista».

E come, Luca Micheletti, si è scoperto baritono?

«Nel 2016 Marco Bellocchio mi ha chiamato per il suo film, presentato a Venezia, ispirato ai Pagliacci di Leoncavallo. Ero un attore che cantava, facevo Brecht e L’histoire du soldat di Stravinskij, ma dovendo interpretare il ruolo di Silvio, baritono, sono andato a lezione da Mario Malagnini: il tenore – che è diventato il mio maestro – mi ascoltò e mi disse di continuare a cantare. L’ho fatto e dopo Jago oggi sono Escamillo e mi preparo per Rigoletto al Teatro del Maggio di Firenze e Don Giovanni a Sidney».

Intanto, dopo tanti spettacoli di prosa, dal Parlamento di Ruzante al Peer Gynt di Ibsen, oggi firma la sua prima regia lirica. Che Carmen  ha immaginato?

«Ho voluto partire dalla mia esperienza nella prosa e provare a lavorare su libretto e partitura da diversi punti di vista. Anche per questo abbiamo scelto la versione opéra-comique con i dialoghi parlati. Mi è piaciuto indagare la dimensione intima e sotterranea di Carmen, non direi cameristica perché è giusto assecondarne anche l’imponenza delle scene di massa. Ho acceso i riflettori sui destini delle persone, creature fragili che vivono passioni autentiche che le fanno naufragare. Ho messo da parte il folklore legato alla Spagna per uno scavo psicologico nei sentimenti sui quali incombe un destino di morte».

Che è poi lo stesso che segna la vita delle altre eroine protagoniste della Trilogia d’autunno, Norma e Aida.

«Carmen è il terzo pannello di un polittico che mette al centro tre donne combattenti, una scelta chiara di un percorso e una chiave di lettura alla quale mi sono attenuto anch’io come regista. La mia sarà una Carmen in bianco e nero, con una sola concessione al colore che sarà il rosso, il colore dell’amore e della morte, ma anche il colore del teatro, del sipario e dei velluti delle poltrone, perché Carmen è attrice e regista della sua stessa vita. Sarà così un omaggio al mondo dal quale vengo, il teatro».

Ha lavorato con Luca Ronconi e Umberto Orsini, come attore ha vinto il Premio Ubu nel 2011 per Arturo Ui di Brecht e con un suo testo è stato finalista al Premio Riccione. Una strada obbligata, il teatro, per un ragazzo cresciuto in una famiglia di attori?

«Sicuramente il mio destino e la mia carriera sono stati segnati dall’essere nato in una famiglia di attori da quattro generazioni. Ma occorre anche scegliere di percorrere quella strada segnata: siamo in quattro fratelli e solo in due abbiamo deciso di andare in scena con mamma e papà. Sin da piccolo ho sentito il teatro come la mia casa, prendendo con molta serietà questo bellissimo gioco. Mi ritengo fortunato perché ho avuto la possibilità di conoscere i capolavori di Shakespeare e di Molière prima dei miei coetanei che avvicinavano questi testi al liceo, mentre io li ascoltavo sin da piccolo. Come la musica, che ho sempre studiato e ascoltato da appassionato. Mio nonno, poi, recitava testi come Tosca di Sardou o La signora delle camelie da Dumas, storie conosciutissime e popolari nelle versioni in musica di Puccini e Verdi».

Attore e cantante, regista e drammaturgo. Ma cosa vuole fare “da grande” Luca Micheletti?

«Sono un teatrante e vorrei sempre lavorare in teatro, facendo tutti i mestieri del teatro, nessuno escluso. Quello a cui non voglio rinunciare è la possibilità di esplorare sempre nuove strade sia attraverso i testi di prosa, classici e contemporanei, che attraverso le partiture che interpreto e metto in scena per dare qualcosa a chi viene in teatro».

Nella foto @Silvia Lelli Luca Micheletti in prova per Carmen a Ravenna Festival

Intervista pubblicata su Avvenire del 2 novembre 2019