Addio a Franco Zeffirelli, se ne è andato a 96 anni

Addio a Franco Zeffirelli. Stamani il regista fiorentino si è spento nella sua casa a Roma. Aveva 96 anni. Era nato a Firenze il 12 febbraio 1923. Il mio ricordo con un articolo apparso il 4 gennaio 2017 sul quotidiano Avvenire nel quale racconto una giornata passata in casa sua

Fa un respiro profondo. E guarda lontano, verso il cielo che è azzurro, di quell’azzurro che non si vede così spesso. «Dobbiamo sperare. Solo quello. Affidarci e sperare. La fede è un dono, ne sono certo. L’ho avuto e devo tenerlo stretto». Il sole illumina e riscalda uno dei tanti pomeriggi romani durante i quali a Franco Zeffirelli piace passare qualche momento in giardino. «Mi metto qui. Guardo la natura. Il cielo. E penso. Penso che il passato non torna. Ma non mi intristisco perché ho avuto una vita piena, nonostante sia partita in salita: figlio illegittimo, una mamma morta quando avevo solo sei anni, cresciuto da una zia». Le parole sono poche. Centellinate e quasi sussurrate. L’esuberanza di un tempo si è fatta tutta interiore. La vedi, però, nella vivacità dello sguardo del maestro. Fa uno strano effetto ritrovarsi oggi a chiacchierare con il regista fiorentino, 93 anni «e molti acciacchi, ma andiamo avanti».

I progetti sono sul tavolo. Ancora molti. «Ci ho lavorato fino a poco fa con la mia segretaria». Fa uno strano effetto chiacchierare con Zeffirelli perché senti che qui, nella casa romana in zona Appia Antica, c’è un pezzo di storia del Novecento. Le foto con la regina Elisabetta e Hillary Clinton, «quando era la first lady della Casa Bianca dove questa volta non ce l’ha fatta a tornare». Gli scatti con «quelle donne che sono state prima di tutto amiche sulle quali contare», Anna Magnani e Maria Callas, «non poteva reggere il peso della vita, se ne è andata troppo presto, ma la porto ancora nel cuore». C’è Luchino Visconti «che per me fu come un padre ». Gli attori di prosa e i volti del cinema, Laurence Olivier e Giorgio Albertazzi, Peter Ustinov e Giancarlo Giannini, Anne Bancroft e Valentina Cortese. Ci sono Sandro Pertini e Silvio Berlusconi. «Sono sempre stato appassionato nelle mie lotte civili, dalla militanza partigiana sino all’impegno politico con il centrodestra». Ma è come se la storia di cui Zeffirelli ha fatto parte, scritta sulle prime pagine dei giornali e spesso già sui libri, ora contasse meno. «Quello che davvero mi manca è il contatto spirituale con le persone. Il pensare insieme, il creare insieme arte».

Il freddo un po’ si fa sentire. Rientriamo. Una grande sala. Un bicchiere di succo di mela. Zeffirelli indica una foto. Non di un artista. Ma di un papa. Il sorriso sul volto scavato di Paolo VI. «Lo conoscevo già quando era Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano. Amava frequentare gli artisti. Poi divenne papa. Il 24 dicembre 1974 era mia la regia tv della messa solenne della notte di Natale con l’apertura della Porta Santa per l’inizio del Giubileo» ricorda Zeffirelli che poi con la sua carrozzina, «un tormento necessario», si avvicina a un tavolino. Un’altra foto, quella di Robert Powell nel Gesù di Nazareth. «Quando lavoravo alla preparazione del film mi rivolsi più volte a papa Montini per avere un confronto e per essere certo di camminare sulla strada giusta». Il maestro resta un attimo in silenzio. Poi torna a parlare di fede, «quella alla quale mi sono aggrappato nei momenti difficili, da peccatore certo, ma soprattutto da uomo che ha sempre riposto la fiducia nel Signore. Anche per questo penso che il mio “capolavoro” resti il Gesù di Nazareth. E anche ora, che mi sposto su una sedia a rotelle, vivo l’inevitabile sofferenza nello spirito evangelico dell’affidamento, del saperci figli di un Dio che ci ama, ci ammonisce, ci sprona». Nel salotto una Pietà settecentesca. «Tutti i dolori e i drammi che ho vissuto nella mia vita, penso a quante persone care ho dovuto accompagnare nell’ultimo viaggio, li ho vissuti in una dimensione di speranza». Sorride guardando un’altra foto. Quella del recente incontro con Papa Francesco, «un regalo che mi ha fatto la vita. In Bergoglio ho ritrovato quello spirito francescano che ho voluto mettere in Fratello sole, sorella luna».

Ancora il cinema. È ora di pranzo. «Quante cose ho fatto – sospira –. Mi stupisco guardando indietro. Anche se c’è un progetto che resta nel cassetto». Zeffirelli chiede di portargli un raccoglitore. «È la sceneggiatura per un film sull’Inferno di Dante. L’ho progettato nel 1962, ma non l’ho mai realizzato ». Lo apre con cura e si materializza la Selva oscura. Il tratto inconfondibile del maestro evoca la prima scena di questo film che non è stato mai girato. Un luogo buio, prima tappa di un viaggio dell’anima come è la Divina Commedia. Il nero lascia spazio al grigio delle rocce, la porta dell’oltretomba come l’ha immaginata Zeffirelli. Poi, mano a amano che si attraversano i gironi e si scende verso il centro dell’Inferno, il rosso si fa sempre più intenso. Creature mostruose «che prenderanno vita a Firenze. Perché una sala della fondazione che stiamo allestendo nel palazzo di piazza San Firenze sarà dedicata proprio all’Inferno». Elaborazioni in 3D proveranno a dar corpo, anche se solo virtualmente, il progetto del film dopo più di cinquant’anni. «Lavoro ogni giorno alla mia fondazione. E sono contento che Firenze ci abbia dato ospitalità».

Alle pareti della casa romana di Zeffirelli stampe d’epoca con i palazzi e le piazze del capoluogo toscano. In uno scatolone le foto scattate nei giorni dell’alluvione del novembre del 1966. «Firenze se ti è amica ti esalta, ma se ti è ostile è capace di distruggerti». Nelle sale dell’ex tribunale si stanno collocando i bozzetti delle opere che Zeffirelli ha disegnato per il Teatro alla Scala e per il Metropolitan. «La mia Bohème va ancora in scena e ogni volta che si apre il sipario sul quartiere latino mi dicono che scatta l’applauso » racconta orgoglioso. Così come capita con Aida. «La mia versione preferita resta quella in miniatura fatta per Busseto nel 2001». Anche Aida doveva diventare un film. «Me lo chiese il presidente egiziano Sadat. Per due mesi feci i sopralluoghi, ma poi, l’uccisione del presidente mandò tutto a monte». Ogni tanto, però, il maestro chiede di rivedere il suo Don Giovanni dell’Arena di Verona. «Non smette di farmi paura perché Mozart ha la capacità di gettarti nel dubbio di fronte alla morte, ma anche di infonderti speranza nelle forze celesti che aiutano a superare le nostre miserie umane». Lo sguardo va ancora lontano. «Il Paradiso? Non penso che sarà un luogo dove la storia si ripeterà, ma immagino possa essere un luogo dei ricordi dove la nostra vita sarà compiuta dall’incontro con Dio». Gli occhi si chiudono. Dopo pranzo il maestro riposa.