Rossini fa cantare il trap a Cenerentola

Alla Scala torna lo storico e perfetto allestimento di Ponnelle con Ottavio Dantone sul podio per la modrenissima partitura In scena Marianne Crebassa, Maxim Mironov e Nicola Alaimo

La mano, il tratto che disegna nero su bianco la scenografia, sono quelli di Jean-Pierre Ponnelle. Scene di carta, stampe, incisioni che dal foglio prendono forma sul palcoscenico e da due dimensioni passano a tre. Per raccontare una favola. Che però, avverte Gioachino Rossini nel sottotitolo de La Cenerentola, ha una morale, ossia La bontà in trionfo. Messaggio quanto mai necessario in questi tempi di respingimenti e porte (meglio dire porti?) chiuse.

Cenerentola apre la sua porta ad Alidoro vestito da straccione, gli offre un po’ di colazione. Non vuole nulla in cambio. Ma la sua bontà la porterà dritta sul trono del principe Ramiro. Tanto che la ragazza cresciuta tra la cenere non ha nulla dell’arrampicatrice sociale come alcuni dissacratori la vogliono dipingere. Ma nemmeno del cartone di Walt Disney con i topini e gli animali che parlano e le zucche che si trasformano in carrozza e la scarpetta di cristallo persa sulle scale del palazzo – qui Rossini e il librettista Jacopo Ferretti usano un braccialetto che la ragazza consegna al principe invitandolo a cercarla riconoscendola per il fatto di avere al polso il compagno.

Niente magia, solo quella dei rapporti umani. Un bianco e nero, quello utilizzato da Ponnelle nello spettacolo datato 1973 (ma freschissimo e godibilissimo ancora oggi dopo più di quarantacinque anni), per raccontare valori di una volta che (forse) non ci sono più. Da riscoprire con il sorriso (ma anche con le lacrime, quelle che alla prima hanno solcato il viso di Nicola Alaimo, trionfatore perché rossiniano doc), quello che Rossini ha messo nella sua musica. Modernissima, dalla prima all’ultima nota, tanto che, ancora con nella testa le note del Festival di Sanremo, è impossibile non vedere nel Nodo avviluppato il bisnonno di rap e trap.

Altra buona ragione per riascoltare e rivedere La Cenerentola al Teatro alla Scala (lo spettacolo che ha debuttato il 10 febbraio sarà in scena sino al 5 aprile). Facendo memoria di Claudio Abbado, scomparso cinque anni fa, che nel 1973 varò questo allestimento, ora rimontato per il palcoscenico milanese (tutto sommato restando fedele all’originale) da Grischa Asagaroff. Leggero, divertente, capace di strappare più di una risata perché in perfetta sintonia con musica e libretto: ci sono il musical e il varietà, ci sono il comico e il patetico, ci sono il cinema muto e la commedia sofisticata. Tutto sulle note di Rossini.

Sul leggio Ottavio Dantone ha l’edizione critica che esegue pressoché integralmente (pochi i tagli chirurgici soprattutto nei recitativi) con il suo stile “filologico” che si traduce in una lettura affascinante nelle sonorità e negli equilibri orchestrali, cauta, forse non così follemente rossiniana, nelle dinamiche e nei tempi. Lettura, comunque, sempre appropriata e modellata sul palcoscenico (ogni tanto qualche appiombo sfugge, ma è un attimo riprendere la carreggiata) e sui cantanti.

Su tutti trionfa Nicola Alaimo (Dandini, il servo che si finge principe) per simpatia e naturale verve comica, certamente, ma soprattutto per la grande resa vocale (felicemente ritrovata dopo un non felice Pirata come lo stesso baritono ha scritto su Facebook – da qui le lacrime di commozione e liberazione agli applausi finali), per lo stile rossiniano sin nei respiri e nelle pause teatralmente impeccabili.

Impeccabile anche la tecnica di Maxim Mironov che non sbaglia un gol (inteso come acuto) e sa sfruttare al meglio la naturale predisposizione cameristica della sua voce per disegnare un principe Ramiro sempre nobile e misurato. Marianne Crebassa è un’Angelina, la Cenerentola del titolo, tutta giocata sui toni patetici e dolenti: misura e gusto per una voce bella nei centri e nei bassi, ma un po’ trattenuta negli acuti non sempre svettanti e lucenti. Carlos Chausson è un ruspante Don Magnifico, Erwin Schrott un composto Alidoro. Le sorellastre, che si chiamano Clorinda e Tisbe, sono Tsisana Giorgadze e Anna-Doris Capitelli, diligenti allieve dell’Accademia del Teatro alla Scala.

Alla fine trionfa la bontà «sarà mia vendetta il loro perdono» canta Angelina di fronte alle sorelle e al padre che l’hanno sempre maltrattata. Morale evangelica nella sua disarmante semplicità. E trionfa, con quasi dieci minuti di applausi, tutta la squadra messa in campo dal sovrintendente Alexander Pereira, scatenato a ritmo di musica in palco di proscenio durante tutte le tre ore dello spettacolo.

Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala La Cenerentola