I vestiti usati dell’imperatore

A Bologna una scenografia “riciclata” per il Don Carlo di Verdi con la deludente (e contestata) regia di Henning Brockhaus Profonda la lettura di Mariotti. Luca Salsi eccellente Rodrigo

Quella scenografia, una sezione trasversale di un cilindro grigio brillante, ha (forse) qualcosa di conosciuto. Unico elemento che ruota, si apre e si chiude ed evoca (o quantomeno nelle intenzioni del regista dovrebbe evocare) tutti gli ambienti del Don Carlo di Giuseppe Verdi, in scena sino al 14 giugno al Teatro Comunale di Bologna.

Don Carlo musicalmente eccellente, diciamolo subito, affidato alla profondità di Michele Mariotti sul podio e a un buon cast che ha una vetta di eccellenza nel Rodrigo umanissimo (dunque pienamente verdiano) di Luca Salsi. Ma con una regia deludente. E contestatissima dal pubblico della prima.

Basta un giro su un motore di ricerca in Internet – potenza dello smartphone che in due secondi ti connette con il mondo – per trovare la strana somiglianza. Otello del 2014 al Teatro San Carlo di Napoli. Stesso regista, il tedesco Henning Brockhaus. Stesso scenografo Nicola Rubertelli. Stesso cilindro. Ieri ad evocare Cipro. Oggi l’Escorial. All’insegna del “non si butta via niente” l’opera si ricicla. Idea venuta al sovrintendente bolognese Fulvio Macciardi di fronte ai bozzetti che Brockhaus ha chiesto a Rubertelli. Così da Napoli la scenografia è arrivata a Bologna facendo risparmiare notevolmente il Comunale. Qualche aggiustamento, alcuni elementi di scena aggiunti per esigenze di libretto e l’allestimento è pronto, senza dover costruire da zero tutta l’imponente macchina scenica. L’intuizione di Macciardi – nata da una contingenza, ma sicuramente vincente in un periodo in cui le fondazioni liriche devono fare i conti al centesimo in un contesto di incertezza dopo il recente cambio politico – potrebbe ripetersi presto, dando nuova vita ad allestimenti chiusi nei magazzini. La sfida è di trovare registi che sappiano davvero renderli carne e sangue. Che è poi la ragione per la quale un melodramma di ieri appassiona ancora oggi, il suo saperci parlare di noi.

Brockhaus (contestato dal pubblico a fine serata) non ci è riuscito con un Don Carlo già debole nell’idea di rendere atemporale – o vagamente novecentesca – una vicenda che ha una sua imprescindibilità storica, quella legata alla Spagna del 1560 di Filippo II. Nessuna drammaturgia a sostenere e giustificare (o anche solo a spiegare) uno spostamento (a)temporale in un luogo non definito dove si aggirano personaggi vagamente dannunziani che potrebbero essere collocati negli anni Trenta del secolo scorso. Qualche idea c’è, come la presenza ossessionante dell’Inquisitore, il potere che striscia. Ma ci sono anche errori come la scelta di mostrare sull’introduzione del quarto atto Eboli che entra in convento incrociando così Elisabetta che attacca la sua Tu che le vanità quasi rivolta alla donna che prende il velo perché rea di adulterio. Movimenti di massa da melodramma tradizionale, immagini cupe, estetica espressionista inquietante (a volte da film horror) spesso in contrasto con una musica che riflette sì sul senso della vita, sul dolore, sul tempo che passa, sull’impossibilità di essere felici, ma che non chiude certo la porta alla speranza.

Come dice dal podio Mariotti (che affrobta per la prima volta Don Carlo), protagonista ancora una volta di una prova che lascia il segno. Il direttore d’orchestra (che sa trascinare i musicisti bolognesi in una prova in crescendo) scava a fondo nella partitura verdiana, la mette sotto la lente di ingrandimento esaltandone la scrittura perfetta e necessaria in ogni particolare, amplificandone la bellezza melodica con dinamiche sempre misurate e pensate, portando in primo piano dettagli inaspettati e dando alla musica quella capacità di scavare nell’anima dei personaggi che la regia, invece, sembra tralasciare.

Personaggi che gli interpreti giocano quasi esclusivamente sul versante musicale. Su tutti Luca Salsi, baritono verdiano per eccellenza di oggi, che offre un’umanità che commuove a Rodrigo, uno dei giganti verdiani per la sua capacità di amare e sacrificarsi. Salsi, che alla bellezza della voce affianca sempre tecnica salda a servizio di un’intelligenza interpretativa, scolpisce la parola così come fa Veronica Simeoni, convincente Eboli. Maria José Siri è una professionista affidabile in ogni ruolo che affronta e anche con Elisabetta offre un’interpretazione che arricchisce la sua galleria di personaggi femminili. Roberto Aronica offre squillo e trasporto a Don Carlo, Dmitry Beloselskiy piega la sua voce piena per disegnare un misurato Filippo II, Luiz-Ottavio Faria è l’onnipresente Inquisitore.

Nelle foto di Rocco Casaluci il Don Carlo al Comunale di Bologna