Chiarot: Ecco il mio piano per il Maggio fiorentino

Il sovrintendente racconta lo stato di salute della fondazione: «Bilanci in pareggio, ma pesano i debiti pregressi»

Le parole d’ordine guardano tutte al futuro. Le mette una in fila all’altra Cristiano Chiarot: «Musica contemporanea, nuove commissioni, giovani, sperimentazione, multidisciplinarità». Un guardare al futuro che in realtà per il Maggio musicale fiorentino è «un ritrovare le proprie radici». Stasera l’edizione numero 81 del festival apre con Cardillac di Paul Hindemith: regia di Valerio Binasco, sul podio Fabio Luisi, «che inaugura proprio stasera il suo mandato di direttore musicale» dice Chiarot chiamato a risollevare le sorti del Maggio musicale sull’orlo del baratro dopo aver portato La Fenice di Venezia in vetta alla classifica dei teatri lirici italiani ed europei. «Ma ogni istituzione ha la sua storia dalla quale occorre partire. Qui l’ho fatto grazie alla grande voglia di ripartire che ho trovato in tutti i lavoratori».

Come sta il Maggio musicale ad un anno dall’inizio della “cura Chiarot”?

«Abbiamo aumentato il numero di nuove produzioni e sviluppato la capacità di reperire fondi. La stagione invernale che si è chiusa da poco ha visto un notevole recupero di spettatori, anche al di là delle nostre aspettative. Stiamo recuperando un rapporto di fiducia con la città che era venuto meno».

A livello di bilancio?

«Abbiamo chiuso in pareggio quello del 2017 e quello del 2018 è in equilibrio. Su 32 milioni di euro il 30% deriva da contributi privati e ricavi di biglietteria. Una quota che dovrà sicuramente aumentare grazie a un maggior sforzo produttivo: ci aspettiamo circa 6 milioni di euro in due anni. Ci siamo dati una fisionomia produttiva che sarà il modello per i prossimi cartelloni: una stagione sinfonica tematica che sfocia nel festival, la stagione d’opera e balletto invernale, il festival che resta il cuore del Maggio, una stagione estiva di riprese e una mini stagione a settembre che quest’anno vedrà Luisi dirigere la Trilogia popolare di Verdi».

Quali criticità permangono?

«Sul Maggio pende la spada di Damocle dei debiti del passato, 65 miliardi di euro tre legge Bray, debiti con i fornitori, l’erario e l’Inps. Tutto questo ricade sulle casse tanto che non riusciamo ancora pagare con regolarità gli artisti. Con il Comune e la Regione pensiamo a un piano per far fronte al pagamento di questi debiti. Non posso nel contempo non fare un appello allo Stato»

Anche nella sua veste di presidente dell’Anfols, l’Associazione delle fondazioni lirico-sinfoniche?

«L’indebitamento complessivo delle fondazioni italiane è di 400 milioni di euro. Lo Stato in questi anni ha investito 158 milioni di euro. Noi abbiamo dimostrato, anche a fronte di sacrifici, di esserci ricollocati sul mercato con l’aumento di produzione, con l’apertura ai giovani e alle scuole, con la capacità di fare sistema. La legge Bray è stata fondamentale, ma ha affrontato un qui ed ora, adesso occorre un passo in più. L’incertezza politica, con lo stallo sul nuovo governo, certo non aiuta».

Cosa chiede la cultura alla politica?

«Certezza dei finanziamenti triennale, di essere ritenuti un investimento e una risorsa, non un peso. Nelle fondazioni liriche ci sono persone che lavorano: al maggio ci sono 270 assunti e una cinquantina di contratti a termine. Se uno Stato non finanzia la cultura rischia di eliminare la propria storia e di non dare spazio ai giovani che sono così costretti inevitabilmente ad andare all’estero».

Se, però, la politica interviene troppo nella gestione dei teatri il rischio è il caos come sta capitando ai vertici del Regio di Torino.

«La politica deve dare i limiti della nostra autonomia, ma entro questi limiti noi dobbiamo essere liberi di muoverci. E poi essere giudicati sul nostro operato».

Ha portato a Firenze l’esperienza della Fenice di Venezia?

«Quando si arriva ai vertici di una fondazione occorre capirne la storia, conoscere la città e mettere le ambizioni di tutti al servizio dell’istituzione stessa. Ci deve essere sempre una voglia di rinnovarsi, magari facendo anche errori, ma rischiando su nuove proposte e trovando soprattutto una cifra distintiva dalle altre fondazioni. Il bello di avere in Italia quattordici fondazioni liriche è quello di poter differenziare le proposte in un clima di sana competizione culturale».

Che Maggio musicale sarà quello che inizia stasera?

«Sarà un festival multidisciplinare: abbiamo proposte che vanno dal barocco al contemporaneo alla sperimentazione. Prime esecuzioni e grandi classici: guardiamo agli autori internazionali per provare a capire le influenze che hanno avuto sull’Italia. Abbiamo coinvolto le istituzioni del territorio e cercato di interpretare il presente guardando al futuro on i brandi artisti del panorama lirico e sinfonico».

Ci sarà il maestro Zubin Mehta, direttore principale del Maggio dopo aver guidato a lungo l’istituzione, ora fermo per motivi di salute?

«Ci sentiamo ogni due giorni, mi tiene informato dopo i problemi che lo hanno costretto a cancellare i suoi impegni. Il suo più grande desiderio è quello di riaprire il suo ciclo artistico proprio a Firenze, ripartendo da qui dopo lo stop forzato».

Articolo pubblicato su Avvenire del 5 maggio 2018