Ahmad Joudeh, la mia danza per la vita

Il ballerino nato a Yarmouk minacciato di morte dall’Isis studia e lavora ad Amsterdam ed è in tv con Roberto Bolle Il sogno di tornare in Siria e insegnare il ballo ai ragazzi

Sulla nuca si è fatto tatuare la scritta «Danza o muori». L’ha voluta proprio nel punto dove i terroristi dell’Isis affondano la lama quando decapitano un prigioniero. «Dovesse succedere avranno ben chiaro davanti agli occhi il mio grido di libertà». Sulla testa di Ahmad Joudeh pende la condanna a morte dello stato islamico. La colpa? Essere un ballerino. «I jihadisti non concepiscono che un musulmano possa decidere da solo il suo futuro. La cultura islamica proibisce la danza, attività ritenuta poco adatta per gli uomini» racconta Ahmad, classe 1990, siriano di origine palestinese, nato e cresciuto nel campo profughi di Yarmouk a Damasco. La sua casa, dove anche sotto le bombe non ha mai smesso di ballare e di insegnare passi di danza ai ragazzi palestinesi. Yarmouk dove un giorno sono piombati i terroristi dettando le loro regole, portando morte e distruzione. Una casa distrutta dalle granate che Ahmand, come tanti che bussano alle porte dell’Occidente, ha dovuto lasciare per sfuggire alla violenza di chi «vuole distruggere le nostre menti». Oggi il Billy Elliot siriano è un rifugiato. Gli ha aperto la porta l’Olanda. Vive e studia ad Amsterdam.

«Sono felice, ma la mia felicità è proporzionale all’infelicità di chi ho lasciato perché la mia famiglia continua a vivere in Siria» racconta il ballerino che domani 1 gennaio 2018 sarà tra gli ospiti di Roberto Bolle nel programma Danza con me, pensato dall’étoile del Teatro alla Scala per la prima serata di Rai uno. «Danzare con Roberto è un sogno che si realizza. A Yoarmouk, anche sotto le bombe, guardavo i suoi video su YouTube, cercando di imparare i passi di danza. In quelle immagini trovavo la forza per andare avanti e se oggi sono un ballerino lo devo a lui» racconta Ahmad che ballerà con Bolle sulle note di Inshallah di Sting, brano che il cantautore britannico ha scritto proprio pensando al dramma dei migranti e che domani eseguirà dal vivo per accompagnare i passi di danza.

«Poco più di un anno fa ero in sala prove al Dutch national ballet di Amsterdam e mi hanno detto che c’era un giovane danzatore che voleva incontrarmi. Era Ahmad che mi ha raccontato tutta la sua storia. Mi ha colpito profondamente, mi ha commosso perché la sua è una vicenda emblematica di grande determinazione e coraggio. Ho deciso di farla conoscere e di portarlo sul palco con me» ricorda Bolle. «Quando l’ho visto entrare in sala sono scoppiato a piangere» ricorda Ahmad Joudeh che è nato nel campo profughi di Yarmouk da una famiglia palestinese giunta in Siria nel 1948.

«Mio padre e i miei fratelli sono musicisti, per tradizione familiare. Io, però, non mi sentivo portato per la musica. A uno spettacolo vidi un gruppo di ragazze danzare e capii che quella sarebbe stata la mia vita: avevo 8 anni». Difficile, però, farlo capire alla famiglia. Ahmad studia di nascosto, si esercita sui tetti delle case – esperienza che nel 2016, prima di lasciare il suo paese, ha voluto ripetere fissandola in un video che circola su YouTube. Un giorno, però, il padre lo scopre e lo prende a bastonate determinato a impedirgli, anche fisicamente, di danzare. Ma il ragazzo non si scoraggia. Il padre lo chiude in camera, ma lui trova il modo di scappare. Sempre di nascosto si allena all’Enana dance theatre e si diploma all’Higher institute for Dramatic arts di Damasco.

La guerra irrompe in Siria nel 2011, distrugge case, uccide persone, anche amici e parenti di Ahmad che, però, continua a danzare anche sotto le bombe e a dare lezione ai piccoli orfani, «un modo per salvarli», attirandosi le ire dell’Isis che lo minaccia di morte su Facebook. E per sfidare i terroristi, «perché il vero islam è un’altra cosa», danza anche a Palmyra, luogo delle decapitazioni dello stato islamico, nel teatro che proprio i jihadisti distruggeranno. «Danza o muori» il grido di libertà che si fa tatuare sulla nuca perché «non ci sono altre strade per me se non la danza». E che porta anche in tv perché nel 2014 Ahmad partecipa alla versione araba del talent So you think you can dance, fermato in semifinale perché, nonostante le indubbie qualità, gli fu detto che un palestinese non avrebbe potuto vincere il trofeo.

Ma la tv amplifica la sua storia e il giornalista Roozbeh Kaboly decide di realizzare un reportage che va in onda sulla tv olandese. Lo vede Ted Brandsen, direttore  del Dutch national ballet, che invita Ahmad a studiare in Olanda. Ma l’esercito siriano richiama in patria il ragazzo. Parte allora una raccolta fondi attraverso il sito danceforpeace.nl dove scatta una gara di solidarietà per accogliere il ballerino che da settembre del 2016 frequenta l’Accademia di danza classica del teatro olandese e studia contemporaneo alla Modern theatre dance. E ha già debuttato in piccoli ruoli sul palco della Dutch national opera.

«Qualche settimana fa mio padre mi ha visto danzare per la prima volta ad Amsterdam. Ha cercato di scusarsi per tutto quello che ha fatto per impedirmi di danzare. A Yarmouk non avrei mai immaginato tutto questo. Mi sono però detto che se sono riuscito a far cambiare idea a mio padre posso provare anche a cambiare il punto di vista di altre persone, per far capire che la danza davvero salva la vita» riflette Ahmad che sogna un giorno di poter tornare a ballare, da uomo libero, in Siria.

Articolo pubblicato su Avvenire del 31 dicembre 2017