Gibboni, vi racconto come ho vinto il Paganini

Il violinista campano debutta a soprepsa con Santa Cecilia dopo la recente vittoria al prestigioso Concorso di Genova «La musica dovrebbe avere lo stesso spazio dello sport»

«Da una decina di giorni nella mia vita sono successe talmente tante cose…». Talmente tante che Giuseppe Gibboni quasi non ha ancora realizzato bene di aver vinto l’edizione 2021 del Concorso internazionale di violino Premio Paganini di Genova. Glielo ricordano, però, i fatti. «Interviste, chiamate, richieste di concerti, ingaggi… tanto che l’agenda si sta riempiendo rapidamente». Gibboni, nato a Campagna in provincia di Salerno nel 2001, ha avuto la meglio su ventisei violinisti provenienti da tutto il mondo e arrivati alle fasi finali del Premio Paganini, fondato nel 1954 e giunto quest’anno all’edizione numero cinquantaquattro. «Uno dei concorsi più importanti per noi violinisti, con una storia immensa di cui anch’io, ora, faccio parte» racconta orgoglioso Gibboni che ha riportato in Italia dopo ventiquattro anni il prestigioso trofeo. «E prima di me nella storia del concorso erano stati solo tre gli italiani a vincerlo, Giovanni Angeleri nel 1997, ventiquattro anni fa appunto, Massimo Quarta nel 1991 e, nel 1958, Salvatore Accadro, il mio maestro» ricorda il violinista tra una prova e l’altra sul palco del Parco della musica di Roma. Dove è arrivato in corsa per un debutto inaspettato. «Un’altra delle tante cose che stanno capitando nella mia vita da una decina di giorni a questa parte» sorride il musicista ventenne, capello spettinato, orecchino, felpa. Sul leggio – che, però, non c’è, perché Gibboni suona tutto a memoria – il Concerto per violino e orchestra in re maggiore di Petr Il’Ic Cajkovskij che il musicista campano propone per tre sere, dal 4 al 6 novembre, con l’Orchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia diretta da Lorenzo Viotti – e anche per il direttore svizzero, figlio del compianto Marcello Viotti, è un debutto con la formazione sinfonica romana. Chiamato in corsa Gibboni a sostituire Veronika Eberle. «In programma – spiega il violinista – c’era il Concerto per violino di Erich Korngold, ma, visti i tempi stretti di preparazione, abbiamo scelto la pagina di Cajkovskij che ho in repertorio».

Come è arrivata, Giuseppe Gibboni, la chiamata di Santa Cecilia?

«Assolutamente per caso. Ero a Roma per registrare un programma tv. Era venuto nella Capitale senza violino. Mi è arrivata la chiamata con la proposta e non ci ho pensato due volte, ho detto subito sì. E mi sono attivato immediatamente per avere il mio violino, un Balestrieri del 1752, che nella notte è arrivato in auto da Grosseto. Giusto in tempo per le prove. E per scegliere il Concerto di Cajkovskij, pagina che ho eseguito anche in gara a Genova insieme al Concerto n.1 per violino e orchestra in mi bemolle maggiore di Paganini. È vero, avrei potuto proporre una pagina del musicista genovese, ma forse sarebbe stato troppo scontato dopo la vittoria al Concorso».

A proposito, com’è andata a Genova? Ha creduto da subito in una possibile vittoria?

«Volevo vincerlo sin da subito, questo sì. Sono arrivato alle finali carico. Per quasi due anni, durante il periodo della pandemia, non ho fatto concorsi, così come tanti miei colleghi. E quasi due anni di stop sono un periodo lunghissimo per un musicista, soprattutto per chi come me è all’inizio della carriera perché si cresce in fretta e il rischio è di perdere occasioni importanti. Appena ho visto il bando del Paganini mi sono iscritto e mi sono preparato per un anno intero. Una volta arrivato a Genova la preparazione è stata più che altro mentale perché è importante reggere la tensione di un concorso che è enorme. Le prime prove mi sono servite per rompere il ghiaccio poi nelle finali mi sono rilassato e ho cercato di divertirmi e godermi il momento che stavo vivendo».

Rivalità con gli altri concorrenti?

«No, anzi, ho intrecciato una bella amicizia, seppure nel poco tempo tra una prova e l’altra, con Chung Nurie, un sedicenne della Corea del Sud, grandissimo talento che si è classificato secondo. Ho avuto modo di conoscere colleghi di tutto il mondo. Certo durante il concorso cercavo di non pensare al fatto di essere l’unico italiano in gara perché mi avrebbe caricato di responsabilità ulteriore. Ma poi quando ho vinto l’orgoglio di aver riportato il Paganini in Italia è stato grandissimo».

Proprio su questo, dopo la sua vittoria, c’è chi ha fatto notare che la notizia – insieme a quella del secondo e del quinto posto al Concorso Chopin di Varsavia dei pianisti Alexander Gadjiev e Leonora Armellini – non ha avuto lo stesso spazio che, quest’estate, hanno avuto i molti trofei che gli italiani hanno conquistato nello sport. Cosa ne pensa?

«Dalla vittoria al Paganini stanno accadendo così tante cose nella mia vita che non ho avuto tempo per pensarci. Da parte mia c’è il grande orgoglio di aver portato il nome dell’Italia in un concorso internazionale così prestigioso. Lo stesso dei tanti sportivi che quest’estate hanno vinto medaglie e trofei, immagino. Non mi sento di fare polemiche, non è il caso. Poi lo sappiamo, lo sport in Italia è molto sentito e vissuto: sono sportivo anch’io. Certo, l’impressione è che a volte non ci sia la giusta attenzione per l’arte e la musica, ma mi sembra che le cose stiano cambiano. Io cercherò di fare la mia parte».

Anche attraverso la tv? Lei nel 2015 ha vinto un talent su Rai1… dunque il piccolo schermo può fare qualcosa per diffondere la musica?

«Sì, avevo 16 anni e ho vinto il programma Prodigi condotto da Antonella Clerici, una vittoria che mi ha dato la possibilità di registrare un disco per la Warner classics. La televisione ha un ruolo fondamentale e dovrebbe fare ancora di più per l’arte e per la cultura. È vero, ci sono canali tematici, ma sono ancora pochi. Anni fa era normale ascoltare su una rete generalista un’opera o un concerto di musica classica, oggi devi andarteli un po’ a cercare su altri canali».

La sua è una famiglia di musicisti. Quella di suonare il violino è stata una scelta obbligata?

«Ho iniziato a suonare a tre anni per gioco. Papà Daniele è violinista, mamma Gerardina suona il pianoforte e le mie sorelle, le gemelle Annastella e Donatella, sono anche loro violiniste. Così papà mi ha proposto di suonare il violoncello. Io volevo suonare il violino, ma non mi sono opposto dicendo a papà che avrei studiato il violoncello, ma che da grande il mio strumento sarebbe stato il violino. Lui con grande intelligenza capì questa mia predisposizione e l’assecondò. Ho iniziato a studiare a casa con lui poi con Maurizio Aiello al Conservatorio Martucci di Salerno per poi passare all’Accademia Stauffer di Cremona con Salvatore Acccardo. Ora, perché mi sento ancora in formazione, mi sto perfezionando al Mozarteum di Salisburgo con Pierre Amoyal: non si finisce mai di studiare».

Una vita di sacrifici per arrivare a grandi traguardi. Sono state molte le rinunce che ha dovuto affrontare?

«Certo, ci sono state, ma più che rinunce le chiamerei scelte perché sono state fatte con consapevolezza per raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissato sin da ragazzo».

La musica è la sua unica passione?

«No, mi piace molto lo sport. Praticavo arti marziali e ora faccio escursioni in montagna, lunghe camminate oltre ad andare in palestra. Lo sport e il movimento sono fondamentali per noi musicisti che studiamo ore e ore ogni giorno in posizioni che certo non sono naturali per il corpo».

Come vede il suo futuro?

«Sicuramente pieno di impegni che mi stanno arrivando dopo la vittoria del Paganini. La speranza è di poter suonare sempre di più e soprattutto in Italia. E di suonare quegli autori che amo e che sono vicini alla mia sensibilità. Uno in particolare? Dico Paganini e non perché ho vinto il concorso, ma per il fatto che il musicista genovese mi ha sempre affascinato sì per il suo virtuosismo, ma soprattutto per il bel canto e per la teatralità che emerge dalle sue partiture».

Come fa a stare con i piedi per terra sapendo di essere il violinista numero uno al mondo?

«Ancorandomi ai principi che mi hanno sempre guidato, il rigore, lo studio quotidiano e il rispetto per la musica».

Nelle foto @Musacchio/Ianniello/Pasqualini Giuseppe Gibboni in prova con Lorenzo Viotti a Santa Cecilia