Scala, la danza riparte da quattro coreografi

Le coreografie di Legris, Lukács, Bubenícek e Ratmansky nella serata che riporta in teatro il pubblico del ballo Applausi ai talenti di ieri e di oggi della compagnia

L’impressione, leggendo la locandina della Serata grandi coreografi, è quella di essere arrivati ad un bivio. Di fronte al quale è, oggi, il Corpo di ballo del Teatro alla Scala. O meglio. La sensazione, mano a mano che la serata procede, è quella di aver già imboccato un’altra strada, il bivio alle spalle, appena superato. Sensazione già provata, peraltro, alla presentazione della stagione 2021/2022 del Piermarini quando sono stati annunciati titoli e coreografi del prossimo cartellone della danza. Le “indicazioni” della strada imboccata da Manuel Legris, nuovo direttore, dallo scorso dicembre, del Corpo di ballo scaligero. Strada diversa da quella percorsa con passione e successo da Frédéric Olivieri. Diversa. E, come capita sempre ad ogni cambio, stimolante. Ma anche con le (giuste) incognite. Una strada sulla quale i ballerini milanesi si sono lanciati con entusiasmo (basta fare un giro sui social per capirlo, in un continuo scambio di repost con Legris).

Lo avverti – quasi energia che circola nell’aria, tra i 500 spettatori del Piermarini – al varo di questa Serata quattro coreografi: tre repliche (sino all’11 giugno) per il ritorno del pubblico in sala anche per la danza, dopo tanti streming realizzati in questi mesi, su tutti la Giselle di gennaio, seguita alle masterclas di Carla Fracci. A dare il bentornato agli spettatori è proprio Manuel Legris, perché è lui il primo dei Quattro coreografi (tutti viventi, tutti presenti alla Scala dove hanno rimontato le loro coreografie e dove hanno raccolto gli applausi del pubblico) in locandina. La sua Verdi Suite, nata ampliando il brano proposto lo scorso 7 dicembre nel gala tv A riveder le stelle, è un biglietto da visita del nuovo direttore, che mette insieme il dna lirico della Scala, Giuseppe Verdi appunto, e la vocazione del Piermarini ad essere da sempre custode della tradizione italiana della danza classica. Neoclassica, diresti in questo caso, perché il linguaggio che Legris mette nel suo lavoro guarda sicuramente a George Balanchine – e scene e costumi, forse non a caso, sono quelli che Luisa Sopinatelli ha disegnato per l’allestimento scaligero del 2002 del Sogno di una notte di mezza estate del coreografo russo. Si danza su pagine prese dai Ballabili di Don Carlo, Jerusalem e I vespri siciliani, mixate in una giusta concatenazione di ritmi e atmosfere. Velocità e freschezza, patetismo e allegria, tecnica e cuore, c’è tutto in questi venti minuti dove a strappare l’applauso più convinto sono gli intrecci impeccabili tra Maria Celeste Losa e Gabriele Corrado, la trasparenza e il nitore della danza di Martina Arduino e gli assoli mozzafiato di Mattia Semperboni e Nicola Del Freo.

La luce – e i colori pastello – della Verdi Suite viene poi inghiottita dal nero di Movements to Stravinskij, coreografia di András Lukács nata a Vienna nel 2017 (l’aveva commissionata al coreografo ungherese proprio Legris, al tempo direttore del balletto della Staatsoper), riproposta ora dagli scaligeri per ricordare i cinquant’anni della morte del compositore. L’idea di un nuovo Rinascimento nel balletto che segna il debutto alla Scala di Lukács (sue anche le luci e i costumi, uno diverso dall’altro, neri con alcune gorgiere bianche una delle quali diventa il tutù della prima ballerina) e che riunisce in scena diverse generazioni del Corpo di ballo: Mick Zeni (incredibile come il primo ballerino 46enne negli anni non abbia intaccato la sua prestanza fisica, unendola sempre di più a una statura interpretativa di rara intelligenza e potenza) ed Emanuela Montanari, Vittoria Valerio e Matteo Gavazzi, i primi ballerini Nicoletta Manni e Timofej Andrijasenko impegnati nel passo a due principale, sino alle nuove leve tra le quali spicca il movimento magnetico e il carisma scenico di Andrea Risso. Linguaggio classico spezzato e ricomposto, un continuo cambio di piani visivi del racconto, dal campo lungo con i dodici danzatori ai primissimi piani con un passo a due e un assolo che Lukács porta in proscenio, chiudendo il palco con un sipario nero che si apre e si chiude come un diaframma che offre alla narrazione un ritmo cinematografico. Azione che, nel finale, si sfilaccia un po’ non trovando sempre, dissonanza forse voluta, una corrispondenza del movimento sulla musica.

Il bianco, abbagliante, con Canon in D major, otto minuti che Jirí Bubenícek ha realizzato sul celeberrimo Canone di Johann Pachebell – brano che Roberto Bolle, in un palco ad applaudire i suoi colleghi, ha danzato più volte nei suoi gala e in tv. Angeli vestiti di bianco (solo i pantaloni perché i tre interpreti, uomini, danzano a torso nudo) che accompagnano in cielo un’anima che ha il volto delle Madonne leonardesche, proiettate su uno schermo. Un intreccio di movimenti (a canone appunto) affidato alla forza rivestita di delicata malinconia di Nicola Del Freo, Gioacchino Starace e Mattia Semperboni, danzatore formatosi alla Scuola di ballo della Scala, tecnica impeccabile che in questi anni ha affinato mettendola al servizio dell’interpretazione.

Dopo il bianco e il nero si torna ai colori, il rosso e l’arancione, il verde e l’azzurro di Concerto DSCH che Alexey Ratmansky ha modellato sulle note del Secondo concerto per pianoforte di Dmitrij Sostakovic. Affidato al pianista Davide Cabassi e, come le altre pagine, all’orchestra (ancora sistemata sulla pedana che sovrasta la platea per le regole di distanziamento) guidata da Kevin Rhodes. Colori, e una luce di speranza, nel lavoro nato nel 2008 per New York e già visto alla Scala. Velocità, disegni corografici spettacolari e complessi, dialogo sempre in equilibrio tra solisti e corpo di ballo in un vortice di ritmo e musica. Svetta il giovane Domenico Di Cristo, piglio e presenza scenica da consumata étoile; impeccabile e sempre (con il sorriso) sulla musica e sull’ironia della coreografia Alessandra Vassallo; sorriso e piglio anche per Valerio Lunadei. Passo a due affidato al lirismo di Nicoletta Manni e Timofej Andrijasenko. Tutti contrappuntati (inappuntabilmente) dal Corpo di ballo. Pronto a proseguire sulla (nuova) strada intrapresa.

Nelle foto Brescia/Amisano Teatro alla Scala la Serata quattro coreografi