Roma, l’Opera riparte da Verdi e da Mariotti

Il direttore sul podio del teatro che ha riaperto al pubblico Luisa Miller e i ballabili da Don Carlos, Macbeth e Vepres Orchestra in piedi ad applaudire gli spettatori in platea

Vola in platea la bacchetta di Michele Mariotti al termine dei Ballabili del Don Carlos di Giuseppe Verdi. Per la foga che il direttore mette nella chiusura serrata del pezzo. La spettatrice in prima fila che se l’è vista piombare addosso si alza e la restituisce a Mariotti che, dal podio, sorride. Sì, perché dopo sei mesi il pubblico è tornato in sala anche all’Opera di Roma. Qualcuno in platea, dove si allunga il palco che ospita l’orchestra distanziata. Molti nei palchi. A loro il «Bentrovati. Bentornati» del sindaco di Roma, Virginia Raggi, presidente del cda della fondazione lirica. Presente alla ripartenza del teatro, pronta a chiedere al pubblico «un applauso per tutti i lavoratori dell’Opera» che in questi sei mesi di chiusure non si sono mai fermati tra streaming e opera/film trasmesse in tv. Ora si riparte con il pubblico in sala. Con un concerto tutto verdiano, i Ballabili dalle opere francesi del compositore, Don Carlos, appunto, Macbeth e Les vepres siciliennes. E si parte con una sorpresa. Mariotti sale sul podio. Lo saluta l’applauso del pubblico. L’orchestra si siede, il direttore fa per dare l’attacco, ma si interrompe – quasi come accade con Sul bel Danubio blu al Concerto di Capodanno di Vienna. Sul palco tutti si alzano. E iniziano ad applaudire. Un applauso tutto per il pubblico che è tornato.

Tutto Verdi per Mariotti, il cui nome è stato fatto come direttore musicale del Teatro dell’Opera una voltya che scadrà il mandato di Daniele Gatti (ma nulla è ancora deciso). E non solo per il concerto del 28 maggio che ha riportato il pubblico a teatro. Ma anche per l’opera. Perché il direttore il 30 aprile è salito sul podio per la Luisa Miller – che avrebbe dovuto essere eseguita una settimana prima, spettacolo bloccato, però, da due casi di positività tra i coristi. Miller in forma di concerto, ma senza pubblico, per consentire di collocare il coro distanziato in platea e nei palchi. Ballabili, invece, con gli spettatori conquistati dalla lettura trascinante di Mariotti. Tutta in crescendo. Don Carlos raffinato e tinto di esotico per il Ballo della Regina del terzo atto, quando Elisabetta ed Eboli si scambiano il velo. Macbeth sinistro e sghembo nel racconto del sabba delle streghe, che diventa (in Verdi) il racconto di una mente, quella di Macbeth, offuscata dal male. Les vepres siciliennes di colori cangianti, come Le quattro stagioni che raccontano. Come sono cangianti i sentimenti grazie al racconto musicale di Mariotti che restituisce tutto lo spessore sinfonico della scrittura danzante verdiana.

Scrittura che arriva immediata, nella sua bellezza disarmante nella Luisa Miller che Mariotti restituisce nel suo fascino di terra (partitura) di mezzo, tra il Verdi che è stato e quello che verrà, debitore alla tradizione del belcanto, ma anche innovatore (per sempre) del linguaggio musicale e teatrale. Tempi teatrali, a volte serrati, altre più dilatati per raccontare, in una corsa verso l’abisso, l’amore destinato alla morte di Luisa e Rodolfo. L’amore disinteressato (e ideale e impossibile) nelle voci di soprano e tenore, il potere e le sue trame nere nei colori scuri dei due bassi (e di Miller, padre, baritono) che prefigurano i grandi affreschi politici della maturità verdiana.

Esecuzione in forma di concerto, tutta concentrata sulla musica e sulla parola teatrale, dunque per i cantanti. Roberta Mantegna, interprete in continua e costante maturazione, disegna una Luisa risoluta con tecnica e intelligenza musicale che le consente di uscire vincente dal (temibile) confronto con il personaggio al quale Verdi riserva una scrittura complessa e a tratti impervia. Antonio Poli offre il suo squillo (prima emozionato e poi sempre più sicuro) a Rodolfo. Qualche cedimento vocale qua e là non impedisce a Roberto Frontali di disegnare un Miller umanissimo. Michele Pertusi non ne sbaglia una, interprete verdiano di riferimento: qui è un sinistro Conte di Walter, personaggio che il basso parmense disegna misurato, insinuante, sottile e, dunque, ancora più inquietante grazie ad una voce pastosa e a una tecnica solidissima, sempre a servizio del canto e della parola scenica. Come Marko Mimica, capace di rendere anche solo con un accento e un colore la bassezza morale di Wurm. Accento affascinante e colore pastoso quello che Daniela Barcellona (che è Federica) usa per disegnare il ritratto di una donna ferita negli affetti.

Nella foto @Yasuko Kageyama Michele Mariotti al Teatro dell’Opera di Roma