Firenze, il dramma di Otello in un reportage tv

L’opera di Verdi trasmessa a potre chiuse dal Maggio nell’intima e meditata lettura del direttore Zubin Mehta Profughi e atmosfere anni Trenta nella regia di Binasco

Un posto ai confini del mondo. E forse della realtà. Viene in mente Lesbo, con i migranti tenuti in un limbo. Qualcosa che sembra non esistere per chi vive nel caldo delle proprie case, situazione raccontata (ma ultimamente nemmeno troppo) dai tg. Dramma che c’è, che si consuma. Così il regista Valerio Binasco immagina Cipro, l’isola sulla quale Giuseppe Verdi (e William Shakespeare, naturalmente) colloca le tragiche vicende di Otello. Un posto ai confini del mondo, forse un’anticamera dell’aldilà, dove il coro, vestito proprio come i profughi che ci raccontano i reportage, è fermo, immobile, sul viso la mascherina, ad aspettare qualcosa. Ad aspettare – spettatore muto diresti dato che la mascherina copre le labbra – il compiersi della tragedia.

Otello inaugura la stagione autunnale del Teatro del Maggio di Firenze. Lo fa in televisione, su Rai5 perché i teatri sono chiusi. Lo ha stabilito il dpcm del 24 ottobre che tiene fuori il pubblico dalle sale, ma non ferma la musica: si può produrre e andare in scena. Lo si fa a porte chiuse, in streaming o in tv – lo spettacolo di Firenze è disponibile su RaiPlay. Così il Maggio non ha cancellato il titolo verdiano, appuntamento centrale della stagione invernale, ma ha realizzato la messinscena in formato tv. O meglio, ha aperto le porte alle telecamere Rai che hanno ripreso e mandato sul piccolo schermo (in differita di tre ore) lo spettacolo andato in scena nel teatro vuoto. Regia tv non impeccabile con inquadrature per lo più frontali, con qualche movimento di carrello e con alcune inspiegabili andate a nero e campi lunghi sull’orchestra con l’effetto di allontanare l’azione del palco – ma questo è anche un “difetto” originario del Teatro del Maggio che distanzia molto il palco dalla sala.

In teatro settimane di prove in sicurezza con continui tamponi e presidi sanitari. In orchestra archi con la mascherina e fiati isolati da pareti di pelxiglass. Perché Otello, penultima opera di Verdi, prevede un organico imponente. Lo governa, con il piglio meditativo che da qualche tempo contraddistingue le sue letture, Zubin Mehtra. E la solennità scelta dal direttore indiano funziona a meraviglia, perché restituisce la bellezza timbrica della scrittura verdiana (la si assapora lentamente), bellezza cupa e sghemba perché la storia è quella che tutti conosciamo, l’uccisione di Desdemona da parte di Otello spinto sul baratro della gelosia da Jago.

Ma nella regia di Binasco (per essere politicamente corretti?) Otello non è il «moro dalle gonfie labbra», è un militare occidentale che ha una moglie che veste anni Trenta – costumi di Gianluca Falaschi che hanno richiamato alla mente l’immaginario dell’Attila scaligero di due anni fa. I piani temporali si mischiano e un po’ confondono, così come gli spazi fisici si incastrano l’uno nell’altro: Otello e Desdemona e tutta la truppa veneziana e abitano in porzioni di case che entrano ed escono nella scenografia di Guido Fiorato, anche questa ammiccante a un inizio Novecento abitato, però, da figure contemporanee. Spettacolo che ha dovuto inevitabilmente tenere conto delle regole di distanziamento e che forse non è pienamente riuscito.

Il cast è quello che Alexander Pereira (ora sovrintendente a Firenze dopo cinque anni a Milano) aveva scritturato per l’Otello originariamente previsto per la Prima della Scala di quest’anno – il titolo verdiano è stato poi sostituito con Lucia di Lammermoor, cancellata anche questa per un Gala trasmesso lunedì prossimo da Rai1. Cast, dunque con Fabio Sartori, Marina Rebeka e Luca Salsi (arrivato durante le prove a sostituire Ludovic Tezier), atristi che disegnano personaggi misuratissimi, mossi da tormenti che sono prima di tutto interiori. Sartori, con voce e tecnica, vince la sfida di uno dei ruoli verdiani più impervi, disegnando un Otello dagli slanci lirici. Marina Rebeka è una Desdemona delicata anche se non immune da pecche, specie nella grande scena del quarto atto tra Canzone del Salice e Ave Maria. Salsi, Jago insinuante che incute paura dal suo primo apparire in scena (qui giocano bene i primi piani tv), scolpisce la parola verdiana, misura calibratissimo il canto, lo sfuma (da brivido i pianissimi che sfoggia) e mostra (in modo inaspettato e illuminante) quanto il personaggio abbia in sé la tragicomicità di Falstaff. Dall’Accademia della Scala arrivano Caterina Piva e Riccardo Dalla Sciucca, perfetti nei ruoli di Emilia e Cassio. Guidati da Mehta in un viaggio tutto interiore – ottimo il coro e le voci bianche di Lorenzo Fratini – di (ri)scoperta di un capolavoro come Otello.

Nelle foto @Michele Monasta Otello al Teatro del Maggio di Firenze

Articolo pubblicato in parte su Avvenire del 2 dicembre 2020