Perdersi e ritrovarsi nello specchio di Donizetti

Riccardo Frizza dirige Belisario in forma di concerto secondo titolo del festival tutto in streaming sulla web tv

Il teatro Donizetti che si specchia in se stesso. Effetto ottico della “scenografia” scelta per il Belisario in forma di concerto, secondo titolo dell’edizione 2020 del Donizetti opera, una gigantografia della sala bergamasca (da poco restaurata) posta alle spalle del coro sul fondo del palco. Non solo effetto visivo, però. Dichiarazione programmatica di un teatro, e dunque di una società (così si auspica), che trova (in se stesso) nelle proprie radici le motivazioni per ripartire. O meglio, pe non fermarsi.

Perché se il dpcm del 24 ottobre ha chiuso le sale al pubblico, non le ha chiuse alla musica e alla parola. Non le ha chiuse all’arte. E istituzioni coraggiose come il Donizetti opera – e potremmo dire come il Municipale di Piacenza con il suo Aci, Galatea e Polifemo, come il Rossini opera festival a breve in scena con Il barbiere di Siviglia e Il viaggio a Reims, come il Maggio musicale fiorentino che vara il 30 novembre un verdiano Otello o come l’Opera di Roma che lavora a un Barbiere diretto da Daniele Gatti in formato film curato da Mario Martone, ma l’elenco potrebbe continuare con Palermo, Verona.. – istituzioni coraggiose come il Donizetti opera, si diceva, hanno lavorato per produrre, per provare e per andare in scena. In streaming. E in diretta tv. Per non fermarsi, scegliendo di portare avanti, con altre modalità, la programmazione messa da tempo nero su bianco.

Tutto in streaming sulla web tv messa coraggiosamente in campo dal festival dove, accanto alle opere, al dietro le quinte e la guida all’ascolto delle partiture, c’è anche un abbastanza imbarazzante Citofonare Gaetano, una sorta di Quelli che il calcio della lirica con il racconto delle opere (le partite di pallone…) senza mostrarle, ma entrando con le telecamere in sala per alcuni assaggi. Imbarazzante per lo stile scelto che vuole mischiare alto e basso – nella diretta sul Belisario si esordisce, per dire, parlando di «rutto libero», cosa che non è popolare, ma solo volgare. Formula, questa già sperimentata in altri ambiti social con il Festival di Sanremo o con il programma cult Pechino express, dove però l’opera lirica, seppur nell’intento di ridarle la sua dimensione pop tra note storiche e cruciverbone da contenitore tv, rischia di diventare solo caricatura di se stessa e di un certo mondo che le gira intorno, eccessivo e drammaticamente caricaturale, appunto. E fa specie che a questo gioco si sia prestato anche il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, tra gli ospiti di questo stralunato salotto.

Per fortuna la musica riesce ad avere la meglio. E a Bergamo, dopo il Marino Faliero inaugurale (qui la mia recensione di Marino Faliero) è toccato al Belisario, opera scritta da Gaetano Donizetti per Venezia nel 1836. Un nuovo andare alle radici, quello messo in campo dal Donizetti opera, che ancora una volta ha messo sul leggio una partitura di raro ascolto. Il leggio del direttore musicale Riccardo Frizza, impegnato anche per il secondo titolo della rassegna – titolo già previsto (anche prima della tempesta Covid) in forma di concerto, che avrebbe dovuto avere come protagonista Placido Domingo, ritiratosi a pochi giorni dal debutto.

E come nel Marino Faliero (sempre nella sala vuota e carica del peso del silenzio) protagonista, Frizza, di una prova eccellente, capace di restituire tutta la bellezza e al tempo stesso la complessità di una partitura che guarda alla tradizione, ma sperimenta anche nuove soluzioni musicali. Opera di cori imponenti, di arie complesse e virtuosistiche, di duetti commoventi. Frizza guida con mano salda, con gusto e stile impeccabile orchestra e coro del Donizetti opera, questa volta in formazione “da concerto”, orchestra sulla buca rialzata, coro sul palco. Cantanti, invece, in platea davanti a leggii e microfoni (quasi in assetto da studio di registrazione). Intensi nel raccontare solo con la loro voce e i loro sguardi il dramma di Belisario, condottiero di Bisanzio al servizio di Giustiniano, condannato a morte per una congiura ordita dalla moglie Antonina che lo ritiene colpevole della morte del figlio. Figlio che è a fianco del padre sotto mentite spoglie con il nome di Alamiro. Ma nemmeno i nodi che vengono al pettine salveranno Belisario che morirà senza perdonare la moglie.

Cast eccellente, capitanato dal Belisario di Roberto Frontali, misurato e commovente, umanissimo negli intensi duetti con l’Irene di Annalisa Stroppa, con l’Alamiro di Celso Albelo, pronto a confrontarsi con il Giustiniano di Simon Lim e a fronteggiare la moglie Antonina della temperamentosa Carmela Remigio alla quale Donizetti (sul modello delle sue Regine) riserva una scena finale che il soprano scolpisce nella parola e nella musica.

Tutti perfettamente donizettiani. Tutti a guardare il palcoscenico dove si specchia la sala del Donizetti. E dove, nella musica e nella cultura, ancora una volta, con Donizetti, la nostra società si specchia alla ricerca delle proprie radici.

Nelle foto @Gianfranco Rota Belisario al Donizetti opera di Bergamo