Dopo il Covid la Netrebko riparte dalla Scala

Quella di Anna Netrebko l’altra sera al Teatro alla Scala era un po’la prova del nove, quella che a scuola ci hanno insegnato a fare per vedere se l’operazione svolta era corretta. Perché il concerto che il soprano russo ha tenuto al Piermarini con l’orchestra milanese diretta da Riccardo Chailly era l’occasione per verificare se la voce che le è valsa la fama mondiale era uscita indenne dal Covid. La Netrebko, come ampiamente documentato sui suoi canali social, un mese fa si è ammalata di coronavirus ed è stata ricoverata in ospedale. Oggi, dopo una rapida convalescenza è tornata in scena. E per questo test ha scelto Milano, giocando d’anticipo su un concerto già in calendario per il 15 novembre: a novembre musica da camera, l’altra sera il melodramma italiani, Verdi, Ponchielli, Cilea e Puccini.

Prova superata? Decisamente sì. La voce, riascoltata dal vivo, è quella di un tempo, immutata nella sua amalgama brunita, nella sua ampia ed armonica estensione, nella sua capacità di correre e di farsi sentire a qualsiasi volume, dal forte al (fascinoso) pianissimo. E anche i “difetti” sono rimasti, a iniziare dalla frequente incomprensibilità del testo. Ma la Netrebko (che ha la capacità e la furbizia di trasformare i gap in pregi che fanno andare in visibilio il suo pubblico) ci mette sempre una zampata da grande interprete. Anche in concerto, in modo da far diventare teatro ogni aria. Così, da Aida a Musetta, in un’ora e mezza Anna Netrebko (che sfoggia due vestiti, uno rosso Scala e uno nero) disegna sette ritratti di donne in musica. Intensa nelle pagine di Giuseppe Verdi, donna divisa in due nel Ritorna vincitor di Aida, amante rassegnata e pacificata nel Tu che le vanità del Don Carlo. Commovente nel Verismo di una disillusa Lecouvreur di Cilea, nelle certezze pronte a sgretolarsi di Butterfly o nella disperazione di Manon dove, comunque, senti un attaccamento alla vita in un «Non voglio morir» detto con tanta dolcezza. Perché (ecco la zampata dell’artista) la capacità della Netrebko è anche quella di farti guardare sotto una luce diversa alcune arie, grazie a una sfumatura della voce inaspettata – il «e questa eternità un giorno sol durò» della Valois. Certo, il Suicidio della Gioconda convince meno, ma a restituire un Poinchielli sontuoso ci pensa Chailly con una lettura che esalta il sinfonismo (inaspettato’) della Danza delle ore. Ma vengono benissimo anche i due Puccini di Butterly (preludio atto III) e Manon Lescaut (Intermezzo). Concerto – inutile dirlo – applauditissimo che diventerà un disco.

Nelle foto @Brescia/Amisano Teatro alla Scala il concerto di Anna Netrebko