Un brodo scalda il Macbeth che parla francese

Diario verdiano.2/2020

Il Festival Verdi di Parma aperto dalla versione per Parigi del melodramma ispirato alla tragedia di Shakespeare Opera in forma di concerto con Tézier nel Parco Ducale

Capita più di una volta, ascoltando il Macbeth di Giuseppe Verdi nella versione francese del 1865, di attaccare (nella mente, magari muovendo le dita quasi a tenere il tempo della musica) insieme al coro o a i solisti. Restando, però, puntualmente spiazzati. Perché in testa hai la versione italiana del melodramma che Verdi ha scritto nel 1847 per Firenze, rimaneggiandolo per Parigi per riadattarlo poi in italiano. Finito il preludio ti si affaccia alla mente il «Che faceste? Dite su. Ho sgozzato un verro. E tu?» con il quale le streghe ti buttano dentro prepotentemente il racconto dell’orrore che è la tragedia shakespeariana, ma il coro canta «Que fais-tu la? Dis le-moi. J’ai tué la chèvre. Et toi?». E la differenza non è solo nel fatto che il maschio della specie suina citato nella versione italiana in francese diventa una capra. A cambiare – e non solo in questo incipit – è il colore che la parola assume, morbida e aerea nella stesura francese di Charles-Louis Étienne Nuitter e Alexandre Beaumont, tagliente e spigolosa nel libretto di Francesco Maria Piave, ancestrale, con certi passaggi alla Testori verrebbe da dire se non fosse che lo scrittore di Novate – che pure ha scritto un Macbetto – è di un secolo successivo, in pieno Novecento.

Così fa un certo effetto non sentire il celeberrimo, carnalissimo «Nel dì della vittoria io le incontrai» (e l’accento perfetto, inutile negarlo, è quello – e solo quello – di Maria Callas) nella lettura della lettera che suona invece più onirico nel «Je les vis apparaîtreau jour de la victoire» – lo dice, registrato e sussurrato, Cassandra Berthon, moglie di Ludovic Tézier che fa Macbeth, lasciano preparare l’attacco dell’«Oui tu prétends, Macbeth» (l’«Ambizioso spirto») a Silvia Dalla Benetta. E si continua così, sino al «Victoire!» finale – come in italiano, in verità.

Al di là dello spiazzamento l’occasione è preziosa per ascoltare per la prima volta in epoca moderna la versione francese del verdiano Macbeth proposto (compito di un festival che si muove tra ricerca scientifica e esecuzione dal vivo) nella revisione di Candida Mantica sull’edizione critica di David Lawton. Occasione offerta, appunto, dal Festival Verdi di Parma rimodulato per l’edizione 2020 per far fronte alle restrizioni imposte dall’emergenza Covid. Opera in forma di concerto, all’aperto, nel Parco Ducale. Certo, cornice un po’ umida nelle sere di inizio settembre, ma nell’intervallo al bar vendono (dieci euro, in verità, non è proprio un prezzo popolare) una scodella di anolini in brodo per scaldare lo stomaco ed è un attimo che il clima festivaliero sconfini allegramente nella sagra sul modello Salisburgo dove, fuori dagli edifici del Festspiele, si vendono panini con würstel e senape innaffiati da spritz.

Risuona Macbeth nella sua veste musicale più nota (più raro ascoltare la versione di Firenze del 1847 con il Mal per me, l’arioso finale dell’antieroe, e l’aria Trionfai della Lady), versione francese con i ballabili del terzo atto (Parigi chiedeva le danze sul modello del grand-opéra), ma per il resto sovrapponibile a quella poi tradotta in italiano. Nella storia e nella concezione drammaturgico-musicale, forse meno nel gusto. Almeno ascoltandone la lettura che dal podio offre Roberto Abbado, direttore musicale del Festival Verdi che guida la Filarmonica Toscanini e il coro del Regio, disposti (e distanziati) sull’ampio palco costruito davanti al Palazzo del Giardino, illuminato nella prima parte di blu (la notte) e nella seconda di rosso (il sangue) che sono i colori e le atmosfere della partitura. Tenui, non prepotenti quelli dei fari che proiettano la luce sull’edificio. Così come tenui e non muscolarmente marcati sono i colori che Abbado sbalza, nella sua elegante direzione, dalla partitura. Che suona così meno ancestrale e sghemba, meno inquietante del solito (della versione italiana?), non certo rassicurante, perché racconta pur sempre di menti malate, di delitti per ottenere il potere, di uomini che perdono la loro essenza sino ad annientarsi.

Così il Macbeth francese nella sua asettica leggerezza diventa più psicologico che carnale, più di testa e meno di pancia. Meglio? Peggio? Diverso. Sicuramente da ascoltare. Tanto più che a Parma, per il titolo inaugurale del Festival Verdi 2020 (insieme a concerti, opera sul caravan, letture, ci sono Messa da Requiem ed Ernani), c’è un cast capitanato da Ludovic Tézier, baritono francese di Marsiglia, che scolpisce nella musica la parola, restituendo un ritratto intimo e ripiegato di Macbeth, con una voce sempre timbrata e avvolgente, forse poco comunicativa a livello emotivo, se una pecca si deve trovare. Più interprete (anche nella capacità di sistemare qualche acuto per trasformare quello che potrebbe essere un piccolo limite in risorsa drammaturgica) Silvia Dalla Benetta, Lady dalla voce tagliente e svettante, burattinaia del destino (tragico) del marito. Riccardo Zanellato conferisce nobiltà di accento a Banquo, Giorgio Berrugi rende carne con il suo timbro limpido l’entusiasmo, poi lo sconforto e infine il dolore di Macduff. Malcolm ha la voce squillante e corposa (e la tecnica solida) di David Astorga, la Comtesse il colore brunito di Natalia Gavrilan, “comprimari” di lusso come Francesco Leone e Jacobo Ochoa, tutti ben calati nella loro parte come le voci banche di Pietro Bolognini e Pilar Mezzadri Corona.

E se non ci sono scene e costumi c’è Verdi che fa teatro con ogni singola nota e con ogni sillaba del testo, impasto inscindibile musica e parole che racconta, evoca, suggerisce, rimanda ad altro. E per un attimo ti viene il dubbio che (a volte, molte volte) non serva regia – tanto più che lo schema con i cantanti in proscenio e il coro alle loro spalle come c’è in questa versione da concerto è lo stesso che tanti registi adottano nei concertati e nei finali di atto dei loro allestimenti. Ma, lo sai l’opera non è solo musica, è azione e musica. E allora, quando la Lady canta il suo dolore trasfigurato in pazzia, alzi lo sguardo a cercare uno spicchio di luna mentre nell’aria, salendo dall’erba, si volatilizza un profumo di menta. In lontananza un’ambulanza, a dire che c’è ancora chi soffre e muore. Ed ecco il teatro, che, mostrandoti storie senza tempo, ti ributta in pieno nel tuo tempo. Anche solo con un’opera in forma di concerto.

Nelle foto @Roberto Ricci Macbeth al Parco Ducale di Parma per il Festival Verdi