Dopo il Covid il Rof riparte dal Rossini sacro

A Pesaro la Petite Messe solennelle per ricordare le vittime e ringraziare gli operatori impegnati durante l’emergenza

Intorno (intorno a piazza del Popolo dove risuona una preghiera) la vita prova a riprendere. Bar e negozi aperti – anche se qualche saracinesca resta abbassata –, la passeggiata che porta al mare frequentata, ma non affollata (di biciclette con teli mare nei cestini) come sempre. Perché a Pesaro qualcosa è cambiato. Il coronavirus ha colpito pesantemente la città marchigiana, specie all’inizio della pandemia con contagi e vittime. E l’estate non è (non può essere) la stessa di sempre. Come (si spera, perché vorrebbe dire che la lezione è stata assorbita) in tutta Italia. Anche l’estate musicale che a Pesaro da quarantuno anni è tutta del Rossini opera festival. Nato per celebrare il genio di casa che ha sempre qualcosa da dire con la sua musica. Anche in questa ripartenza.

Una parola (una musica) che è tutta dell’anima. Non poteva che essere così. Perché ci si guarda dentro in momenti come questi. E si guarda (inevitabilmente) in alto. «Agnus Dei qui tollis peccata mundi miserere nobis» la richiesta di pietà dell’uomo che guarda a Dio nel momento del dolore. «Agnus Dei qui tollis peccata mundi dona nobis pacem» l’invocazione accorata di pace di chi cerca di guardare con serenità al tempo che verrà. Parole e note che si levano dal cuore di Pesaro. Piazza del Popolo, il teatro all’aperto dell’edizione 2020 (riveduta e corretta per poter andare in scena nonostante le restrizioni per contenere il Covid) del Rof, che non ha voluto partire senza prima rendere omaggio alle vittime della pandemia, ma anche a tutti gli operatori che in questi mesi difficili si sono messi al servizio della collettività, medici e infermieri, volontari della Protezione civile. Che sono seduti in platea, sedie distanziate e mascherine indossate sino a non si raggiunge il proprio posto.

Uno sguardo dentro, per trovare la forza per rialzarsi. E uno in alto, verso un cielo limpido di stelle. Che sono poi le due dimensioni, quella orizzontale e quella verticale appunto, che Rossini mette nella sua Petite Messe solennelle, datata 1863, quando le opere liriche sono ormai un lontano ricordo (il Guillaume Tell è del 1829). La dimensione umana, umanissima di chi guarda alla propria vita e cerca di lanciare lo sguardo oltre, a una dimensione trascendente per “guadagnarsi” il paradiso. Come scrive lo stesso Rossini una volta chiusa la partitura. «Buon Dio, ecco terminata questa mia piccola messa. È una musica benedetta quella che ho appena fatto o è solo della benedetta musica? Ero nato per l’opera buffa, lo sai bene. Poca scienza, un poco di cuore, tutto qua. Sii dunque benedetto e concedimi il Paradiso».

Risuona la Petite Messe come preghiera per chi non c’è più – il Kyrie chiede pietà, l’Agnus Dei pace – e come ringraziamento per chi si è speso per gli altri – il Gratia agimus tibi del Gloria arriva da un cuore riconoscente. Risuona nella sua versione più intima e raccolta, quella originale per due pianoforti ed harmonium (lo stesso Rossini la orchestrerà nel 1867). Quasi scarna. Certo, il genio e l’invenzione del compositore ci sono tutti, ma la sensazione è quella di una rinuncia all’effetto per concentrarsi sul cuore, sulla capacità della musica di farci riflettere sul nostro presente ed aprirci, allo stesso tempo, una finestra sul paradiso. Come capitato in piazza, all’anteprima del Rof quando Pesaro si è raccolta (in prima fila anche la senatrice a vita Liliana Segre, cittadina onoraria, salutata da un lungo ed affettuoso applauso) per fare memoria: il sindaco Matteo Ricci, il sovrintendente del Rof Ernesto Palacio, cittadini comuni, tutti in piedi (quando gli artisti erano schierati sul palco) per un minuto di silenzio.

Spazio poi alla musica. Alessandro Bonato sul podio del coro del Teatro della Fortuna di Fano, del trio di strumentisti – Giulio Zappa e Ludovico Bramanti ai due pianoforti, Luca Scandali all’harmonuim – e del quartetto di solisti, Mariangela Sicilia, Cecilia Molinari, Manuel Amati, Mirco Palazzi. Concentrati e intensi (e amplificati vista la collocazione all’aperto) nel restituire la musica/preghiera di Rossini. Perché il vero significato di questa Petite Messe, al di là del piacere di ascoltare una pagina di grande musica, era tutto qui, nel ritrovarsi e fare memoria, nello stringersi (idealmente) dopo settimane di distanza e (provare a) ripartire. E anche l’emozione che ha screziato la voce di qualcuno non era (almeno questa volta) fuori luogo. Perché tutti abbiamo vissuto momenti di apprensione in questi mesi. E, consapevoli che l’emergenza non è ancora finita, continuiamo a viverli – un raffreddamento dovuto a un colpo di aria condizionata mette in allarme e se la voce non risponde arrivano i sudori freddi. Intense Mariangela Sicilia e Cecilia Molinari: la prima commuove con la sua voce screziata nel Crucifixus del Credo e nell’O salutaris hostia, la seconda avvolge e porta dentro lo sguardo di speranza nell’Agnus Dei finale. Più emozionati, invece, gli uomini, quasi trattenuti nel dispiegare le loro (bellissime) voci, Mirco Palazzi nel Quoniam del Gloria e Manuel Amati al quale, quasi a freddo, tocca l’impervio Domine Deus (montagne russe per il tenore rossiniano) che il tenore pugliese (reduce da un malessere) porta a casa (lottando) rendendolo ancora più umano.

Lo sguardo ripiegato che, non manca, poi, di alzarsi. Di cercare una speranza, un motivo per andare avanti, quell’O salutaris hostia (che non è parte dell’Ordinarium della Messa, ma che Rossini inserisce nella sua partitura) che spalanca all’uomo «le porte del Cielo».

Nella foto @Studio Amati-Bacciardi la Petite Messe solennelle a Pesaro